giovedì, aprile 28, 2011
Per il ciclo di articoli in occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II, Federica Scorpo ci racconta il discorso del 2003 di papa Wojtyla ai governanti di tutto il mondo

“Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: ‘Mai più la guerra!’, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità”(Angelus 16 marzo 2003). Così Papa Giovanni Paolo II due anni prima della sua scomparsa. Le sue parole riecheggiano ancora nelle nostre vite e rappresentano un vero e proprio testamento spirituale lasciato ai posteri, in mano ai giovani e alle generazioni future. Parole ancora vive, come lui, presente nel mondo oggi più che mai.



Venticinque anni di pontificato tra attentati, critiche, guerre e malattie: Giovanni Paolo II era un uomo che portava con sé il pesante fardello della sofferenza umana. Su questa ha basato la sua missione nel mondo per unire i popoli e alleviarne le sofferenze. E nella sua morte (nel 2005) ha unito i cuori di tutti i fedeli che gridavano “Santo Subito”, perché santo e beato lo è già nel cuore di tutti.
Oggi, come non mai, le sue parole diventano come una strada da percorrere, come un urlo non di dolore ma di grande convinzione e senso di responsabilità. Ai governanti, nel discorso del 13 gennaio 2003 presso la Santa Sede, chiese di prendersi carico del bene della gente e di assumersi questa stessa responsabilità affermando: “Tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in se stesso il proprio potenziale di fede, di probità, di rispetto altrui, di dedizione al servizio degli altri. Dipende chiaramente anche dai responsabili politici chiamati a servire il bene comune”.
Il bene comune per Papa Giovanni Paolo II diventa la colonna portante di chi guida le nazioni: “Non vi sorprenda il fatto che, di fronte ad una platea di diplomatici, io proponga al riguardo alcuni imperativi, ai quali mi sembra necessario ottemperare, se si vuole evitare che popoli interi, forse addirittura l’umanità stessa, precipitino nel’abisso”. Severità e compassione nelle sue parole, che diventano veri e propri imperativi di un uomo che aveva guardato lontano: un Sì alla vita, al rispetto del diritto e al dovere della solidarietà. Così ammonisce e guida i diplomatici presenti all’incontro. E ancora incalza:” Si impongono pertanto alcune scelte affinchè l’uomo abbia ancora un avvenire: i popoli della terra e i loro dirigenti devono avere talvolta il coraggio di dire ‘no’”. I “no”, a cui Papa Wojtila chiama non solo i politici ma tutti gli esseri umani, sono: no alla morte, no all’egoismo, no alla guerra.
La guerra più di ogni altra è una forma di viltà e crudeltà, e come dice lui stesso nel discorso appena citato, la guerrà è sempre una sconfitta per l’umanità. Essa nasce dal cuore degli uomini e dalla fiducia illusoria che bastino le armi, come quelle nucleari, a risolvere i conflitti. Invece dire no alla guerra significa riconoscere lo splendore della vita, i risvolti positivi del dialogo e l’interdipendenza degli esseri umani con la loro stessa esistenza.
Papa Giovanni Paolo II continua a ricordarci la direzione da seguire affinchè l’umanità intera non cada nell’abisso, e in questa sua dichiarazione alla vita lascia il suo testamento spirituale, soprattutto ai giovani. Raccogliere questo testimone significa promettere, ognuno nel proprio cuore, “Mai più la guerra!”.

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