mercoledì, gennaio 19, 2011
Per La Perfetta Letizia, Giovanni Finazzi da Londra

Come giovane pasticciere di origine bergamasca amo viaggiare e anche, da un certo tempo, vivere qui a Londra. Spesso mi trovo - soprattutto qui all’estero - a riflettere sul nostro atteggiamento italiano nei confronti del resto del mondo. Da qui, il nostro Belpaese sembra un Paese diviso, troppo ricco di campanilismi per essere vero, dove l’erba del vicino è forse più verde e guardata con invidia. I paragoni tra le persone da noi sono di casa. Alcuni aspetti della nostra vita, tuttavia, hanno la forza di unirci sotto il tricolore. Come la Nazionale di calcio. Oppure la nostra tavola, dove pane, pasta e pizza non possono mancare.
Siamo campioni del mondo. Figli di una storia densa, ricca di manufatti, opere d’arte e testimonianze grandi. Numeri uno in settori come gastronomia e moda. Un popolo di sani principi come famiglia e lavoro... nonostante i nostri governanti, aggiungerà qualcuno.

Sicuramente molti nostri connazionali credono che “in Italia si sta bene, ci sta il sole, il mare e l’amore, da quando nasce a quando muore.” Rino Gaetano canta così: questo è bello e sempre attuale. Troppe volte, però, ci soffermiamo tanto sulle cose belle che la natura ci ha dato, da non accorgerci di quello che invece realmente sta accadendo... Non ci rendiamo conto, allora, che non siamo in grado di salvarle, utilizzarle o investirle per il bene della comunità. Siamo, forse, accecati da una strana presunzione.

Per questo penso che la crisi in Italia sia ben peggiore di quanto la gente creda. Troppi non hanno la capacità di osservare il mondo reale e di confrontarsi. I media dominati dalla politica fanno tutto tranne che una vera informazione e i nostri italiani invece di aprirsi tendono a chiudersi sempre più nel loro guscio chiamato casa o famiglia. Sì, troppa paura ci prende per il diverso o l’estraneo.

La famiglia è qualcosa di straordinario e di importante, che ci unisce sempre (anche a tavola!). Dovrebbe essere sempre alla base del nostro mondo. Ma non il nostro piccolo mondo da cui non possiamo uscire perché fuori piove e tutto è più brutto, pericoloso e ingiusto. Ciò che aiuta ad uscire da questo piccolo guscio protettivo è il viaggiare. Che non vuol dire fare una vacanza ma rigenerare se stessi, andando in un posto diverso, tornando a casa avendo imparato cose nuove, con la voglia di riscoprire la nostra quotidianità. Bisognerebbe esser sempre curiosi e desiderosi di capire come vivono gli altri. Si diceva un tempo: “Chi cammina il mondo tutto vede e chi resta a casa non lo crede!”

Un modo immediato, poi, di immergersi in una cultura è scoprire le sue usanze alimentari. Da sempre nella storia dell’uomo il cibo preparato secondo le proprie abitudini è un aspetto sociologico di grande rilievo. Una magnifica porta di entrata nel mondo dell’altro. Ritorno con piacere allora al tempo trascorso in Marocco: luoghi meravigliosi, un delizioso tè alla menta (la bevanda nazionale) e cibi buonissimi, così diversi dai nostri, dal profumo di una tradizione antica. Ricordo una cena in compagnia, sulla terrazza di un ristorante affacciato alla famosa piazza di Marrakech, resa ancor più piacevole dall’aver preferito qualcosa di semplice, di tradizionale e vero al posto della cucina turistica dell’albergo. Diceva, infatti, qualcuno: “Chi viaggia senza incontrare l'altro non viaggia, si sposta semplicemente.”

Troppe volte mi è capitato di sentir parlare male delle altre cucine del mondo, senza nemmeno avere avuto il tempo di gustarle. “Ma come si fa a mangiare giapponese o coreano?”senti qualcuno chiedersi a volte. Molti nostri connazionali, infatti, vanno all’estero cercando di trovare i loro piatti, a cui sono abituati da sempre, come pasta e pizza. Dimenticando che lontano da casa non troveremo mai i sapori che conserviamo nella memoria e nel palato.

I piatti migliori per noi, infatti, sono quasi sempre quelli della nonna, della mamma o di una zia. Il loro valore non sta solo nei condimenti, ma anche nella nostra memoria, per quanto ci riportano a istanti felicemente vissuti insieme. Mangiare italiano all’estero non sarà mai pienamente soddisfacente come potrebbe esserlo degustare qualcosa di completamente nuovo come un buon couscous o un pollo al curry.

Il viaggiare, il provare, lo scoprire porta alla conoscenza degli altri e di noi stessi. L’idea, invece, di essere i migliori ci impedisce di osservare gli altri e di prendere spunto per migliorarci. Così, ci stiamo isolando: sempre più soli alla nostra tavola. E di questi tempi la solitudine non è certo un bene. Ciononostante, in fondo, “il viaggio più lungo è quello che conduce alla casa di fronte!”.

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