sabato, gennaio 22, 2011
Del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio

“Siamo una sola famiglia umana!” era lo slogan quest’anno della “Giornata mondiale dell’emigrazione”. Riportare all’attenzione la dimensione familiare e indicare il mondo come un’unica, grande famiglia ha oggi un effetto estremamente benefico. Viviamo in una società dispersa e globalizzata, dove i migranti sembrano destinati a essere, secondo un´espressione popolare, ma indicativa nel suo accento spregiativo, “l´ultima ruota del carro”.

Nelle nostre comunità si vive un equilibrio instabile tra apertura all’altro e ripiegamento su se stessi, tra forze centripete e centrifughe, dove le stesse radici culturali delle comunità vengono messe in concorrenza, talvolta in contrapposizione. In Francia, per esempio, il Ministero dell’immigrazione è stato denominato anche Ministero della identità nazionale, per suggerire forse il recupero dell’origine. Non si riesce a capire, così, che la storia e la vita vanno avanti, avanzano come questa umanità che emigra. Siamo portati all’incontro dell’altro, al “métissage”, alla lenta trasformazione di noi stessi e delle nostre esistenze. Siamo proiettati verso una “identità plurale”, una famiglia.

Ricordare la famiglia ci rimanda allo spirito di famiglia, che è il dinamismo interiore che la rende tale. Il senso di famiglia, la sua comunione, la sua apertura e il suo senso dell’altro sono un eccellente esempio di vita. La famiglia è il luogo dove le due differenze radicali dell’essere umano si ritrovano, si rivelano, e paradossalmente si compongono in armonia. La sessualità, ossia l’essere uomo o donna, e le generazioni, essere adulto o bambino, si confrontano in una lotta e in una danza quotidiane. Lo spirito di famiglia interviene qui. Concilia, riconcilia, concerta, unifica, stimola e crea armonia. Lo spirito di famiglia è l´anima e il principio ispiratore. Applicato altrove esso imprime a qualsiasi rapporto di differenza o di distanza un’intesa e un accordo speciali. Non dimenticando quell´apertura al diverso che proviene dalla sua forte “vis unitiva” che compone tutti in una grande fratellanza. Sarà sempre utile chiedersi, allora: “Ma nella nostra comunità, nella nostra opera, parrocchia, paese... vive lo spirito di famiglia?!”

Quattro sono i passi necessari a coltivare questo spirito: la comunicazione, la condivisione, la compartecipazione e la co-decisione. Di fronte alla differenza di ognuno lo spirito di famiglia indica il bene comune. Davanti a punti di vista differenti stimola a una visione d’insieme. Di fronte alla logica dell’ognuno per sé dà il senso dell’unità come un tesoro irrinunciabile. Anche la minoranza ha il suo valore. Mentre la legge della divisione o della marginalizzazione diventa un virus mortale.

Giovanni XXIII riviveva questo spirito di famiglia, coltivato nella sua rurale origine bergamasca, come uno sguardo sempre positivo sugli uomini e gli avvenimenti, privilegiando ciò che unisce a ciò che divide. La famiglia e il suo spirito sono sempre stati un capitale autentico della nostra cultura italiana, immensamente apprezzato all’estero nei nostri migranti. Soprattutto quando i figli cominciano a sposarsi con gente di altre culture...
Riuscire a superare barriere e differenze con questo invisibile senso di intesa avvicina l’altro. Perchè entrare in una famiglia sarà entrare in una danza e accompagnarne il respiro, ognuno al suo ritmo. Libertà, comunione ed armonia sanno miracolosamente ritrovarsi insieme.
Lo spirito di famiglia, unificatore per eccellenza, diventa oggi semente vitale nella nostra stessa terra italiana. Questo spirito umanizza una comunità, trasmette uno sguardo positivo a chi è differente, integra chi viene da fuori. In fondo, sa preparare un avvenire per tutti. Ed è sempre un salto di qualità. Il miracolo dei nostri giorni.

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