Una serie di attacchi terroristici per colpire, in modo coordinato, alcune delle principali città europee. Questo il progetto, sventato, di un gruppo terroristico con base in Pakistan, secondo quanto rivelato da fonti dell'intelligence britannica.
Radio Vaticana - Nel mirino ci sarebbero state la Gran Bretagna, la Germania e la Francia. Poco fa le autorità di Berlino si sono dette al corrente dell’allarme, ma per rischi a lungo termine. A quasi dieci anni dall’inizio della guerra contro il terrorismo, dunque, al Qaeda e altri movimenti dell’estremismo islamico continuano a rappresentare una seria minaccia alla pace e alla sicurezza. Sui motivi di questi nuovi allarmi, Stefano Leszczynski ha intervistato Andrea Margelletti, presidente del CeSI - Centro Studi Internazionali: (ascolta)
R. – Quello che appare evidente è come, ormai, dal Vecchio Continente si guardi con attenzione e preoccupazione ai problemi economici, mentre il problema del terrorismo è tutt’altro che risolto. E’ ormai chiaro che esista una generazione di realtà, di cellule che guardano alle aree tribali, al confine tra Afghanistan e Pakistan, come ad un riferimento.
D. –La guerra contro il terrorismo va avanti ormai da quasi un decennio. Possibile non siano stati prodotti risultati concreti, anzi la situazione sembra quasi più pericolosa di prima?
R. – Occorre fare una precisazione, la guerra al terrorismo continuerà – ho la sensazione – ancora per molti anni. Al Qaeda, che era il principale obiettivo di questo confronto, ha subito dei colpi non duri ma addirittura durissimi. E’ stata pressoché annientata in Iraq e in Afghanistan è oggettivamente sulle difensive. Cosa differente, invece, è il problema politico-militare che la coalizione internazionale sta affrontando in Afghanistan in questi giorni, proprio perché in quel caso i fatti non sono stati così concreti, quanto le idee: politiche sbagliate, una mancanza di visione a lungo termine e soprattutto pochissima ricostruzione rispetto a tanti bombardamenti.
D. – Politiche difficili, anche perché sembra quasi che i cervelli del terrorismo internazionale si siano spostati in un Paese che formalmente dovrebbe essere alleato nella guerra contro il terrorismo: il Pakistan...
R. – Il Pakistan è un Paese molto fragile, che però sta cercando di fare una politica estremamente efficace contro i terroristi, che per noi sono una minaccia. Per loro invece la minaccia è quella alla stabilità interna. Naturalmente però immaginare che i pakistani possano essere da soli in questo confronto è pericolosissimo.
D. – L’allarme terrorismo riguardava Inghilterra, Francia e Germania. Salta subito agli occhi l’assenza di Paesi mediterranei nel mirino del terrorismo internazionale...
R. – Se dobbiamo parlare di casa nostra, bisogna dire innanzitutto che le cellule terroristiche sono state in buona parte messe sotto controllo e soprattutto nel nostro Paese manca, a differenza di Francia, Germania e Gran Bretagna, un tessuto di realtà di seconda e terza generazione di immigrati, peraltro con affiliazioni in Pakistan, che invece rappresentano in quei Paesi il principale terreno di coltura, per chi vuole operare con la violenza e non con la diplomazia.
Radio Vaticana - Nel mirino ci sarebbero state la Gran Bretagna, la Germania e la Francia. Poco fa le autorità di Berlino si sono dette al corrente dell’allarme, ma per rischi a lungo termine. A quasi dieci anni dall’inizio della guerra contro il terrorismo, dunque, al Qaeda e altri movimenti dell’estremismo islamico continuano a rappresentare una seria minaccia alla pace e alla sicurezza. Sui motivi di questi nuovi allarmi, Stefano Leszczynski ha intervistato Andrea Margelletti, presidente del CeSI - Centro Studi Internazionali: (ascolta)R. – Quello che appare evidente è come, ormai, dal Vecchio Continente si guardi con attenzione e preoccupazione ai problemi economici, mentre il problema del terrorismo è tutt’altro che risolto. E’ ormai chiaro che esista una generazione di realtà, di cellule che guardano alle aree tribali, al confine tra Afghanistan e Pakistan, come ad un riferimento.
D. –La guerra contro il terrorismo va avanti ormai da quasi un decennio. Possibile non siano stati prodotti risultati concreti, anzi la situazione sembra quasi più pericolosa di prima?
R. – Occorre fare una precisazione, la guerra al terrorismo continuerà – ho la sensazione – ancora per molti anni. Al Qaeda, che era il principale obiettivo di questo confronto, ha subito dei colpi non duri ma addirittura durissimi. E’ stata pressoché annientata in Iraq e in Afghanistan è oggettivamente sulle difensive. Cosa differente, invece, è il problema politico-militare che la coalizione internazionale sta affrontando in Afghanistan in questi giorni, proprio perché in quel caso i fatti non sono stati così concreti, quanto le idee: politiche sbagliate, una mancanza di visione a lungo termine e soprattutto pochissima ricostruzione rispetto a tanti bombardamenti.
D. – Politiche difficili, anche perché sembra quasi che i cervelli del terrorismo internazionale si siano spostati in un Paese che formalmente dovrebbe essere alleato nella guerra contro il terrorismo: il Pakistan...
R. – Il Pakistan è un Paese molto fragile, che però sta cercando di fare una politica estremamente efficace contro i terroristi, che per noi sono una minaccia. Per loro invece la minaccia è quella alla stabilità interna. Naturalmente però immaginare che i pakistani possano essere da soli in questo confronto è pericolosissimo.
D. – L’allarme terrorismo riguardava Inghilterra, Francia e Germania. Salta subito agli occhi l’assenza di Paesi mediterranei nel mirino del terrorismo internazionale...
R. – Se dobbiamo parlare di casa nostra, bisogna dire innanzitutto che le cellule terroristiche sono state in buona parte messe sotto controllo e soprattutto nel nostro Paese manca, a differenza di Francia, Germania e Gran Bretagna, un tessuto di realtà di seconda e terza generazione di immigrati, peraltro con affiliazioni in Pakistan, che invece rappresentano in quei Paesi il principale terreno di coltura, per chi vuole operare con la violenza e non con la diplomazia.
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