giovedì, agosto 26, 2010
del nostro collaboratore Bartolo Salone

Con l’ultima legge di modifica del codice della strada (la legge n. 120 del 29 luglio 2010) sono state introdotte innovazioni di rilievo, alcune delle quali riguardanti proprio il mondo animale. Viene infatti introdotto da un lato l’obbligo per chi cagiona o è comunque coinvolto in un incidente di soccorrere l’animale rimasto ferito nella dinamica del sinistro stradale; dall’altro, viene consentito ai mezzi di soccorso animale di usare sirene e segnalatori luminosi per farsi avanti nel traffico, cosa fino ad oggi consentita ai soli mezzi di soccorso umano; infine, viene estesa la tradizionale nozione di stato di necessità al trasporto di un animale “in gravi condizioni di salute”, ancorché effettuato da privati.

Esultano le associazioni animaliste, in particolare la LAV (Lega Anti Vivisezione) che si è fatta promotrice dell’iniziativa di riforma, essendosi indubbiamente ottenuto un progresso nella tutela dei nostri amici a quattro zampe. Ma si tratta realmente di una conquista di civiltà, come taluno l’ha entusiasticamente definita?
Non si può negare, invero, che negli ultimi decenni si sia creata una sensibilità nuova per gli animali, soprattutto per quelli che ci fanno compagnia nelle nostre case. E’ normale che ci si preoccupi del loro benessere, che risultino odiosi atti di gratuita violenza e che l’abbandono stesso nonché il maltrattamento di animali risulti ad oggi penalmente sanzionato. Tutto questo è comprensibile e giusto. Tuttavia non si può sottacere il rischio che, sull’onda di una ideologia animalista spinta all’estremo, si vada verso forme di indebita equiparazione fra l’uomo e gli altri esseri viventi. In questa pericolosa direzione si muove, a dire il vero, la recente modifica del codice della strada, a partire da quell’obbligo di soccorso di cui vengono gravati gli automobilisti che urtano inavvertitamente un animale, provocandone il ferimento. In tal caso, l’automobilista ha l’obbligo di fermarsi e “di porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso” (art. 189, comma 9-bis del Codice della strada), proprio come se avesse investito una persona. Il mancato adempimento di tale obbligo è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 389 ad euro 1559. Ma qual è il comportamento richiesto dalla norma? Sarebbe sufficiente una semplice chiamata al 118 per ottenere l’immediato invio di un mezzo di soccorso o, in mancanza, il malcapitato dovrebbe provvedere direttamente al trasporto soccorritore? Ad essere sinceri, il testo di legge è formulato in modo talmente generico da rendere possibile anche questo secondo tipo di interpretazione e, allo stato attuale, è difficile prevedere come si orienterà in futuro la giurisprudenza. Certo che, se si affermasse l’interpretazione più rigorosa secondo la quale l’automobilista è tenuto, per salvare l’animale investito, a farsi carico del trasporto dello stesso sulla sua autovettura, notevoli e ingiustificati sarebbero i disagi derivanti al cittadino. Caricare un animale ferito nella propria autovettura può non essere operazione semplice, poiché possono subentrare le variabili più diverse (non ultima la paura degli animali).

Se non poche perplessità suscita l’obbligo di soccorso degli animali in sé e per sé considerato, molto più censurabili risultano le altre due innovazioni sopra menzionate, relative all’uso dei segnalatori acustici e luminosi da parte dei mezzi di soccorso animale e al riconoscimento dello stato di necessità al privato soccorritore. Qui, più che ad una equiparazione della salute “animale” a quella umana, assistiamo ad un più radicale ribaltamento dei valori. Non si contesta, invero, l’opportunità in sé dell’uso dei predetti segnalatori da parte delle ambulanze veterinarie per districarsi nel traffico con diritto di precedenza: ciò che si contesta è l’effetto scusante che consegue, ex lege, all’uso dei medesimi, dal momento che, per tale via, viene riconosciuto ai mezzi di trasporto animale il diritto di violare impunemente la segnaletica stradale e i limiti di velocità, con gli immaginabili rischi che ne derivano per la sicurezza degli altri utenti della strada. Rischio che, ovviamente, è ancor più accentuato nell’ipotesi in cui sia il privato soccorritore a violare le regole della strada, potendo invocare lo stato di necessità anche contro eventuali addebiti di responsabilità penale per i sinistri cagionati nel “lodevole” intento di salvare l’animale in pericolo di vita.

Tutto questo è inaccettabile in un sistema costituzionale come il nostro, che pone al centro la persona umana, e suscita non pochi dubbi sulla legittimità costituzionale della nuova disciplina, la quale – come visto – ammette la messa in pericolo di beni primari, quali la vita e la salute dell’uomo, per salvaguardare beni, la vita e la salute animale, di rango inferiore. Ma è ancor più inaccettabile in una prospettiva cristiana, per la quale mettere in pericolo la vita di un essere umano per salvare quella di un animale costituisce un grave peccato e non un atto di civiltà come al contrario vorrebbe convincerci, anche a “colpi di legge”, certo estremismo animalista.

Gli animali vanno rispettati in quanto creature di Dio, e il maltrattarli costituisce senz’altro una offesa al Creatore, un peccato da cui guardarsi. Ma gli uomini in più sono figli di Dio, per cui attentare alla vita o alla integrità della persona per salvare o proteggere un animale, è peccato ancor più grave. Amare gli animali non è un male, purché ci ricordiamo di amare i nostri fratelli. Contro certo estremismo di marca animalista, il solo rimedio sembra essere ancora oggi quello di andare alla prima pagina della Bibbia, al racconto dell’Inizio, e ripercorrere i pensieri di Dio, il quale, pur avvedendosi della “bontà” di ogni cosa creata, solo dopo aver creato l’uomo, constata con gioia grande “che era cosa molto buona”. E’ la stessa meraviglia che pervade il salmista: “Se guardo il cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare”, per poi prorompere nella lode a Dio: “O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!” (Salmo 8). La lode a Dio passa non solo attraverso la contemplazione del Creato, ma anche attraverso la comprensione della profondità del mistero dell’uomo, quale essere creato “a immagine e somiglianza di Dio”. Recuperare questo sguardo contemplativo sarebbe oggi un bene per tutti!

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