Quinto giorno consecutivo di scontri in Somalia, tra soldati del governo transitorio e ribelli islamici. L’emittente televisiva satellitare “al-Arabiya” ha reso noto che il bilancio odierno è di almeno 10 morti. Negli scontri sono rimaste uccise, finora, oltre 90 persone.
Radio Vaticana - Senza l’intervento della comunità internazionale, la situazione in Somalia rischia di diventare un nodo inestricabile. Il vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, mons. Giorgio Bertin, ha detto che soldati e ribelli potrebbero continuare a combattere per anni. Gli insorti – ha affermato il presule – non riusciranno ad assicurarsi il controllo della capitale fin quando seimila caschi verdi della missione Africana resteranno a Mogadiscio. Il governo transitorio – ha poi aggiunto mons. Bertin – difficilmente potrà riprendere il controllo di ampie zone nel centro e nel sud del Paese, occupate da ribelli islamici. In questo scenario, spiega il vescovo di Gibuti, due sembrano le alternative possibili. La prima è quella di un intervento militare da parte di contingenti inviati dalla comunità internazionale. Ma si tratta di una strada che rischia di provocare un altissimo numero di vittime. La seconda ipotesi, indicata dal presule, è quella di rendere più stabili le regioni del Somailand e del Puntland. In questo modo, si potrebbe favorire la creazione, nel Paese, di un corridoio umanitario impedendo anche l’arrivo di estremisti provenienti da Paesi limitrofi. Ieri, durante l’udienza generale a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha lanciato un accorato appello per la fine delle violenze nel Paese africano. Il Papa ha auspicato che, con l’aiuto della comunità internazionale, “non si risparmino sforzi per ristabilire il rispetto della vita e dei diritti umani”. Il Santo Padre – ha detto mons. Bertin – ha lanciato un appello “strettamente umanitario senza alcun recondito interesse politico”. Ma il timore è che i ribelli, “accecati dalla loro ideologia estremista”, lo interpretino “come un’interferenza cristiana in terra islamica”.
Radio Vaticana - Senza l’intervento della comunità internazionale, la situazione in Somalia rischia di diventare un nodo inestricabile. Il vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, mons. Giorgio Bertin, ha detto che soldati e ribelli potrebbero continuare a combattere per anni. Gli insorti – ha affermato il presule – non riusciranno ad assicurarsi il controllo della capitale fin quando seimila caschi verdi della missione Africana resteranno a Mogadiscio. Il governo transitorio – ha poi aggiunto mons. Bertin – difficilmente potrà riprendere il controllo di ampie zone nel centro e nel sud del Paese, occupate da ribelli islamici. In questo scenario, spiega il vescovo di Gibuti, due sembrano le alternative possibili. La prima è quella di un intervento militare da parte di contingenti inviati dalla comunità internazionale. Ma si tratta di una strada che rischia di provocare un altissimo numero di vittime. La seconda ipotesi, indicata dal presule, è quella di rendere più stabili le regioni del Somailand e del Puntland. In questo modo, si potrebbe favorire la creazione, nel Paese, di un corridoio umanitario impedendo anche l’arrivo di estremisti provenienti da Paesi limitrofi. Ieri, durante l’udienza generale a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha lanciato un accorato appello per la fine delle violenze nel Paese africano. Il Papa ha auspicato che, con l’aiuto della comunità internazionale, “non si risparmino sforzi per ristabilire il rispetto della vita e dei diritti umani”. Il Santo Padre – ha detto mons. Bertin – ha lanciato un appello “strettamente umanitario senza alcun recondito interesse politico”. Ma il timore è che i ribelli, “accecati dalla loro ideologia estremista”, lo interpretino “come un’interferenza cristiana in terra islamica”.| Tweet |
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