In Perù si fa sempre più difficile la condizione di vita dei missionari stranieri che operano al fianco degli indigeni in difesa dei diritti umani e della foresta Amazzonica. Le autorità li accusano di essere agitatori politici più che operatori pastorali. L’ultimo caso riguarda il passionista italiano Mario Bartolini che rischia di essere espulso dal Paese dopo una lunga vicenda giudiziaria basata sull’accusa di aver istigato gli indios a ribellarsi.
RadioVaticana - La sentenza non è stata ancora pronunciata. La pubblica accusa ha chiesto 11 anni di carcere. La magistratura locale, il 15 giugno scorso, si è riservata di decidere entro la fine di luglio. Il timore è che anche padre Mario Bartolini, parroco di Barranquita, nella regione del Yurimaguas, dopo oltre 30 anni trascorsi nelle comunità locali del Perù, sarà costretto ad abbandonare il Paese. Una sorte identica a quella di Paul Mc Auley, un lasalliano britannico, che dovrà impugnare il provvedimento di espulsione a suo carico notificatogli lo scorso 2 luglio dopo anni di denunce sul fronte ambientale. Identico anche il quadro accusatorio: le autorità li considerano leader occulti delle proteste indigene degli ultimi tempi, culminate con quelle della primavera del 2009 in cui, dopo l’intervento della polizia, persero la vita decine di persone. I nativi mirano a difendere l’unica risorsa a disposizione: la propria terra, una porzione della foresta Amazzonica in cui vivono 27 tribù per un totale di 11 mila persone. Le autorità, invece - affermano gli indios - in nome dell’Accordo di Libero Scambio con gli Stati Uniti, vogliono disboscare la zona per concederla alle multinazionali del petrolio. Si tratta di 30 mila ettari di terreni che saranno destinati anche alla coltivazione di alberi oleosi per la produzione di biodiesel. Le comunità locali, temono l’inquinamento, e, soprattutto, dopo l’esproprio, la deportazione dai luoghi in cui abitano da molte generazioni. Padre Bartolini ha sempre negato l’accusa di dedicarsi ad attività politiche contro lo Stato e di aver ostacolato i servizi pubblici nel corso della mobilitazione del 2009. “Sono accuse infondate” ha affermato il religioso in una recente intervista concessa al Gruppo missionario parrocchiale di Codroipo (Udine) in cui parla del suo impegno:
“Ci troviamo dinanzi ad un altro problema. Per quelli che hanno il potere economico e il potere politico il pericolo consiste in questo: questi signori hanno intenzione di ridurre la nostra gente in schiavitù. Vogliono togliere la terra alla nostra gente, per darla ad una impresa. Abbiamo fatto nostra la causa della gente umile, che non sa come difendersi. Abbiamo fatto nostra questa causa per coscienza e come sacerdoti. Una causa che ha significato insulti, oltraggi, calunnie. Questo non ci interessa, perché l’importante è salvaguardare e difendere i diritti della nostra gente”.
In questi anni sono stati diversi gli esponenti della Chiesa che hanno appoggiato le rivendicazioni delle popolazioni locali. Tutti, ultimamente, sono finiti nel mirino delle autorità: è così per il vescovo di Yurimaguas, mons. José Luis Astigarraga Lizarralde, per quello di Chulucanas, mons. Turley Murphy Daniel Thomas, e per il sacerdote gesuita Francisco Muguiro.
RadioVaticana - La sentenza non è stata ancora pronunciata. La pubblica accusa ha chiesto 11 anni di carcere. La magistratura locale, il 15 giugno scorso, si è riservata di decidere entro la fine di luglio. Il timore è che anche padre Mario Bartolini, parroco di Barranquita, nella regione del Yurimaguas, dopo oltre 30 anni trascorsi nelle comunità locali del Perù, sarà costretto ad abbandonare il Paese. Una sorte identica a quella di Paul Mc Auley, un lasalliano britannico, che dovrà impugnare il provvedimento di espulsione a suo carico notificatogli lo scorso 2 luglio dopo anni di denunce sul fronte ambientale. Identico anche il quadro accusatorio: le autorità li considerano leader occulti delle proteste indigene degli ultimi tempi, culminate con quelle della primavera del 2009 in cui, dopo l’intervento della polizia, persero la vita decine di persone. I nativi mirano a difendere l’unica risorsa a disposizione: la propria terra, una porzione della foresta Amazzonica in cui vivono 27 tribù per un totale di 11 mila persone. Le autorità, invece - affermano gli indios - in nome dell’Accordo di Libero Scambio con gli Stati Uniti, vogliono disboscare la zona per concederla alle multinazionali del petrolio. Si tratta di 30 mila ettari di terreni che saranno destinati anche alla coltivazione di alberi oleosi per la produzione di biodiesel. Le comunità locali, temono l’inquinamento, e, soprattutto, dopo l’esproprio, la deportazione dai luoghi in cui abitano da molte generazioni. Padre Bartolini ha sempre negato l’accusa di dedicarsi ad attività politiche contro lo Stato e di aver ostacolato i servizi pubblici nel corso della mobilitazione del 2009. “Sono accuse infondate” ha affermato il religioso in una recente intervista concessa al Gruppo missionario parrocchiale di Codroipo (Udine) in cui parla del suo impegno:“Ci troviamo dinanzi ad un altro problema. Per quelli che hanno il potere economico e il potere politico il pericolo consiste in questo: questi signori hanno intenzione di ridurre la nostra gente in schiavitù. Vogliono togliere la terra alla nostra gente, per darla ad una impresa. Abbiamo fatto nostra la causa della gente umile, che non sa come difendersi. Abbiamo fatto nostra questa causa per coscienza e come sacerdoti. Una causa che ha significato insulti, oltraggi, calunnie. Questo non ci interessa, perché l’importante è salvaguardare e difendere i diritti della nostra gente”.
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