lunedì, luglio 19, 2010
“Cosa accadrà fra tre mesi quando il permesso di soggiorno scadrà?” chiede padre Mussie Zerai, direttore a Roma dell’organizzazione non governativa Habeshia ed eritreo come la gran parte dei migranti rilasciati dal centro di Braq.

Agenzia Misna - Nel fine-settimana, dopo la liberazione, padre Mussie ha parlato con diversi di loro. Alla MISNA dice che i permessi di soggiorno concessi da Tripoli consentono alla Libia e all’Italia di “abbassare la tensione” su una vicenda scomoda, della quale si erano finalmente occupati anche agenzie di stampa e giornali nazionali. Secondo l’ambasciatore libico a Roma, Hafed Guddur, gli oltre 200 profughi eritrei liberati dal centro nella regione di Sabha “potranno reinserirsi nel tessuto sociale trovando lavoro e alloggio”. Il direttore di Habeshia, però, sottolinea che allo scadere dei tre mesi i migranti rischiano di tornare a essere “clandestini” in un paese dove non possono neanche presentare domanda di asilo politico. “L’unica soluzione – sostiene padre Mussie – è il reinsediamento degli eritrei in Italia o comunque in Europa, dove è rispettata la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati”. Sabato, dopo il rilascio dei migranti, diversi organismi impegnati nella difesa dei diritti umani avevano sottolineato l’importanza che non fossero state decise deportazioni in Eritrea. Un fatto positivo anche secondo padre Mussie, che però avverte: “L’Europa ha costruito un muro senza porte, che tiene fuori perfino i migranti in fuga da conflitti o regimi autoritari, dalla Somalia, dall’Eritrea o dal Darfur”.


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