Violenza anticristiana fuori controllo in Indonesia. Nei primi sette mesi del 2010 si è registrato il più alto numero di attacchi contro la comunità cristiana.
Radio Vaticana - Secondo il rapporto stilato dall’indonesiano Setara Institute for Peace and Democracy, si sono verificate da gennaio a luglio 28 violazioni della libertà religiosa a danno di diverse chiese cristiane. In tutto il 2009 erano stati 18 gli attacchi, 17 nel 2008. Bekasi è la città dove sono avvenuti più incidenti, sette, seguita dai sei della capitale Jakarta. Se il trend dovesse continuare, alla fine dell’anno si avrebbe il triplo di incidenti rispetto al 2009. Diminuiscono invece i casi di violenze contro gli ahmadi, considerati eretici dai musulmani, perchè venerano Mirza Ghulam Ahmad come ultimo profeta dopo Maometto: 33 nel 2009, solo quattro nel 2010. Ismail Hasani, ricercatore del Setara, spiega ad AsiaNews che i numeri riportati dal rapporto in realtà sono inferiori rispetto a quelli reali: “Noi facciamo affidamento sulla nostra rete per registrare gli incidenti, ma di certo ne avvengono altri al di fuori dell’area che copriamo”. Secondo Bonar Tigor Naipospos, vice-presidente del Setara, la polizia gioca un ruolo importante nelle violazioni della libertà religiosa in Indonesia: “Quest’anno ci sono stati dodici incidenti che riguardano il divieto di costruire chiese o la chiusura di luoghi di culto per ordine dei capi-distretto. La motivazione addotta è sempre pressione pubblica”. “Sembra che la gente e il governo - continua Naipospos - non si rendano conto che il diritto a professare la propria religione, come sancito dalla Costituzione, va insieme al diritto ad avere un luogo di culto. La colpa è di Jakarta, perché monitora l’armonia religiosa in modo unilaterale”. Il governo però si difende e allontana le critiche. Ahmad Syafi’i Mufid, presidente del Forum per la tolleranza religiosa e ricercatore capo del Ministero degli affari religiosi, ha dichiarato che al Ministero ci sono “le uniche persone che provano a prevenire lo scatenarsi di conflitti”. Difende anche le amministrazioni locali: “Penso che i governi regionali siano confusi. Ricevono così tante informazioni che non riescono a capire chi ha ragione e chi ha torto”.
Radio Vaticana - Secondo il rapporto stilato dall’indonesiano Setara Institute for Peace and Democracy, si sono verificate da gennaio a luglio 28 violazioni della libertà religiosa a danno di diverse chiese cristiane. In tutto il 2009 erano stati 18 gli attacchi, 17 nel 2008. Bekasi è la città dove sono avvenuti più incidenti, sette, seguita dai sei della capitale Jakarta. Se il trend dovesse continuare, alla fine dell’anno si avrebbe il triplo di incidenti rispetto al 2009. Diminuiscono invece i casi di violenze contro gli ahmadi, considerati eretici dai musulmani, perchè venerano Mirza Ghulam Ahmad come ultimo profeta dopo Maometto: 33 nel 2009, solo quattro nel 2010. Ismail Hasani, ricercatore del Setara, spiega ad AsiaNews che i numeri riportati dal rapporto in realtà sono inferiori rispetto a quelli reali: “Noi facciamo affidamento sulla nostra rete per registrare gli incidenti, ma di certo ne avvengono altri al di fuori dell’area che copriamo”. Secondo Bonar Tigor Naipospos, vice-presidente del Setara, la polizia gioca un ruolo importante nelle violazioni della libertà religiosa in Indonesia: “Quest’anno ci sono stati dodici incidenti che riguardano il divieto di costruire chiese o la chiusura di luoghi di culto per ordine dei capi-distretto. La motivazione addotta è sempre pressione pubblica”. “Sembra che la gente e il governo - continua Naipospos - non si rendano conto che il diritto a professare la propria religione, come sancito dalla Costituzione, va insieme al diritto ad avere un luogo di culto. La colpa è di Jakarta, perché monitora l’armonia religiosa in modo unilaterale”. Il governo però si difende e allontana le critiche. Ahmad Syafi’i Mufid, presidente del Forum per la tolleranza religiosa e ricercatore capo del Ministero degli affari religiosi, ha dichiarato che al Ministero ci sono “le uniche persone che provano a prevenire lo scatenarsi di conflitti”. Difende anche le amministrazioni locali: “Penso che i governi regionali siano confusi. Ricevono così tante informazioni che non riescono a capire chi ha ragione e chi ha torto”.| Tweet |
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