lunedì, giugno 07, 2010
Un elettrodotto che attraversa il mar Adriatico per portare energia elettrica prodotta in Montenegro sino all'Italia già di per sé potrebbe essere discutibile.

GreenReport - Ma se poi anziché tracciare una linea diretta tra il centro montenegrino, dove l'energia si produce, e quello italiano, dove deve arrivare per essere distribuita, si prevede un percorso a zig zag allora il progetto diventa fortemente discutibile e soprattutto non se ne capisce il senso. L'elettrodotto in questione che dovrebbe partire dalla città di Tivat (Nella foto) dall'altra parte dell'Adriatico era nato per portare energia elettrica a Foggia, che gli sta quasi di fronte.

Energia elettrica prodotta da impianti idroelettrici, impianti a carbone e di termovalorizzazione di rifiuti. Tra le società coinvolte in questo progetto, siglato dall'ex ministro Claudio Scajola lo scorso giugno con il governo montenegrino, c'è A2A che ha acquistato il 43% della società elettrica del Montenegro; mossa contestata anche da qualcuno dei consiglieri dell'azienda cui Giuliano Zuccoli, presidente del consiglio di gestione ha risposto «voi non capite la potenzialità dei loro impianti, ma per me l'energia idroelettrica è una visione del mondo» volendo forse far credere che più che al business fosse interessato a seguire la sua grande passione per l'idroelettrico.

C'è poi Enel che realizzerà un impianto di produzione energetica a carbone in collaborazione con Duferco che pare interessato a realizzare anche un termovalorizzatore. E poi Terna che dovrà occuparsi, appunto, di portare questa energia a casa, per mezzo di un elettrodotto da circa 750 milioni di euro. Una cifra lievitata grazie al nuovo percorso pensato per l'elettrodotto che anziché arrivare a Foggia è destinato a sbarcare a Pescara, circa 200 km più a nord per poi iniziare un tragitto tortuoso tra diversi comuni abruzzesi - una ventina- e penetrare il parco della Majella prima di raggiungere finalmente, dopo 415 kilometri, la meta originaria pugliese.

Chiaramente la linea che i tecnici di Terna sostengono è che questo cambiamento di rotta è pensato proprio per fare un piacere ai comuni abruzzesi che abbisognano di energia e che se l'elettrodotto fosse andato direttamente a Foggia loro ne sarebbero stati esclusi, con penalizzazioni conseguenti per tutto il comparto economico.

L'opera, secondo quanto sostenuto da Terna, consentirà , infatti, di ridurre il deficit elettrico abruzzese che, secondo i dati del 2008, è pari al 25% del fabbisogno. Tra i benefici per il territorio abruzzese ci sarebbe anche il fatto che i lavori per la realizzazione del cavo interrato e per il suo successivo funzionamento, porterebbero occupazione per circa 200 nuovi addetti e lavoro per almeno 60 imprese.

C'è poi il vantaggio più generale, sempre secondo Terna, ma questo ci sarebbe anche se l'elettrodotto seguisse il precedente percorso: permetterà una maggiore sicurezza della distribuzione grazie ai mille megawatt in più di importazione e servirà a ridurre i costi del sistema elettrico italiano quantificabili in circa 225 milioni di euro l'anno.

Motivazioni che reggono - ovviamente- il tempo in cui vengono formulate e che, per il versante abruzzese, presuppongono un livello di ingenuità che i cittadini dimostrano di aver dismesso da tempo (se mai l'avessero avuta).

Come non tengono conto del fatto che il fabbisogno energetico abruzzese potrebbe -agevolmente e con costi più contenuti -essere direttamente prodotto laddove serve utilizzando, per esempio, energie rinnovabili. Del resto è anche quanto prevede il piano energetico regionale, rivendicato dallo stesso governatore Gianni Chiodi, che ha l'obiettivo di raggiungere entro il 2015 la soglia del 51% del fabbisogno energetico regionale da fonti rinnovabili.

Ma forse la vera motivazione per cui anziché tracciare una linea diretta per l'elettrodotto tra il Montenegro e l'Italia di prevede un percorso così contorto, non è palesemente raccontabile anche se, come purtroppo spesso avviene nel nostro paese, facilmente intuibile. Più grandi o più lunghe sono le opere infrastrutturali maggiore è poi la torta da spartire in appalti, cemento e relativi annessi e connessi.

I bilanci, se si fanno, arrivano solo alla fine e quasi sempre non sono sostenibili ma non solo dal lato ambientale, è quello economico che non torna mai. Almeno per la collettività.


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