domenica, maggio 30, 2010
del nostro Carlo Mafera

Uno scontro culturale tra due modi diversi di vedere il mondo: questo è una delle chiavi di lettura di “Skylight”, un viaggio, un percorso nelle attuali dinamiche familiari diventate oramai consolidate nella nostra società contemporanea. Due esseri umani, Marco e Laura, che si cercano e si respingono in un gioco infinito e Claudio, il figlio di Marco, che prova asd attutire le loro tensioni cercando ciò che li unisce piuttosto ciò che li divide.
Marco è un uomo abituato a fare del lavoro e del denaro gli idoli a cui sacrificare gli affetti. Laura invece è alla ricerca dei veri valori umani: una donna che scappa dalla casa dove per sei anni aveva vissuto una relazione con Marco quando ancora sua moglie Alice era in vita, per trovare la sua dimensione. Cioè quella di una tranquilla professoressa dedita alla formazione dei suoi alunni in una realtà molto difficile quale quella dell’estrema periferia romana. Marco torna a cercarla e riesce a trascorrere e condividere qualche tempo con lei. Ma poi il suo istinto di uomo che vuole avere tutto, che vuole imporre la sua filosofia e il suo stile di vita anche agli altri, prevale rovinando di nuovo la relazione che si era fragilmente creata. Forse quello che manca a Marco è la capacità di ascoltare gli altri, il figlio Claudio e Laura. L’autore non da una prospettiva e un finale positivo e propositivo. L’ascolto empatico e attento dell’altro da parte di Marco avrebbe implicato la capacità di aprirsi a una lettura della situazione diversa dalla propria, come se il proprio punto di vista fosse soltanto uno dei tanti possibili che rispecchiava la personale “mappa del mondo”. Ciò avrebbe comportato il non rifiutare o squalificare l’altro o ciò che proponeva ma avrebbe implicato l’accettazione della sua personale visione della realtà. Sarebbe stato bello un finale così con tale ascolto empatico, ma purtroppo ognuno di loro Marco, Laura e Claudio ritornano mestamente nei loro ruoli di sempre come molto spesso avviene nella realtà di migliaia di famiglie dove aleggia il disagio comunicativo. Chissa’ se un giorno lo stesso autore ipotizzerà un finale positivo che lasci spazio alla speranza e non alla amarezza della difficoltà comunicativa.

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