Trovati tra i ghiacci dell’Antartide due frammenti fossili del Sistema Solare. Merito di una ricerca francese presso la base Concordia, condivisa da italiani. I tagli alla ricerca pesano sul team del nostro paese.
OggiScienza - La base di ricerca italo-francese Concordia, in Antartide, è stata spettatrice di una scoperta eccezionale, effettuata dal team di ricercatori d’Oltralpe guidati da Jean Duprat del Centro nazionale per la ricerca scientifica francese (CNRS). I ghiacci del Polo Sud hanno restituito due frammenti fossili del Sistema Solare primordiale. Una scoperta che dalle pagine della rivista Science rimbalza nel nostro paese non senza un retrogusto amaro. Infatti, i “coinquilini” della base Concordia sono ricercatori francesi e italiani. Ma il futuro della ricerca italiana in Antartide è appeso a un filo a differenza di quella francese che va a gonfie vele (come questa pubblicazione conferma).In questo momento sul plateau antartico (dove quando fa caldo ci sono -30 °C e quando fa freddo, la colonnina di mercurio scende a -60 °C) operano sei italiani, sette francesi e un medico della Repubblica Ceca dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Ma l’incertezza dei finanziamenti, sempre più bassi e sempre più traballanti, sta mettendo a dura prova la sopravvivenza del presidio italiano al Polo Sud ormai da 25 anni. Incertezza e tagli significano ritardi, difficoltà di programmazione, perdita di terreno e competitività. La Francia ci mette molti più soldi. E si vede.
Sfidando le temperature rigidissime, i colleghi del CNRS sono riusciti a ritrovare in mezzo alla neve “pietruzze” risalenti al disco protostellare del nostro Sistema Solare. Si tratta di due minuscoli granelli, battezzati particella 19 e particella 119, di un meteorite che ha vagato nel cosmo per miliardi di anni, prima di precipitare sulla Terra frantumandosi nell’impatto con l’atmosfera terrestre. Questi microgranuli erano rimasti sepolti sotto la coltre di neve che è caduta al Polo Sud nell’ultimo mezzo secolo. Sono venuti a galla grazie ai carotaggi con cui i ricercatori hanno estratto colonne di neve, successivamente sciolta e passata al setaccio con filtri estremamente fini. Così, impigliati nella trama, sono spuntati i due micrometeoriti.
La loro composizione chimica mette in crisi alcune certezze e fornisce, di contro, una nuova chiave di lettura sulle origini del Sistema Solare. Sono infatti granuli estremamente ricchi di carbonio e contenenti una quantità esagerata di deuterio, un isotopo stabile dell’idrogeno. Un contenuto organico così alto, normalmente, è tipico dello spazio interstellare dove le nubi molecolari si aggregano a formare nuove stelle. Tuttavia i ricercatori hanno identificato materiali cristallini racchiusi in queste particelle che portano un’altra “firma” chimica: indicano chiaramente che si sono formate vicino al Sole e sono più recenti del previsto. Queste due scoperte messe insieme contraddicono l’idea finora consolidata che tutta la materia organica contenente deuterio in eccesso abbia origine interstellare. I micrometeoriti dell’Antartide rimettono la questione in discussione e aprono nuovi scenari sul primo arrivo di materiale organico sulla Terra che potrebbe aver innescato la vita.
L’augurio ai ricercatori nostrani in Antartide è che possano contribuire, ora e nei prossimi anni, a risolvere il rebus.
OggiScienza - La base di ricerca italo-francese Concordia, in Antartide, è stata spettatrice di una scoperta eccezionale, effettuata dal team di ricercatori d’Oltralpe guidati da Jean Duprat del Centro nazionale per la ricerca scientifica francese (CNRS). I ghiacci del Polo Sud hanno restituito due frammenti fossili del Sistema Solare primordiale. Una scoperta che dalle pagine della rivista Science rimbalza nel nostro paese non senza un retrogusto amaro. Infatti, i “coinquilini” della base Concordia sono ricercatori francesi e italiani. Ma il futuro della ricerca italiana in Antartide è appeso a un filo a differenza di quella francese che va a gonfie vele (come questa pubblicazione conferma).In questo momento sul plateau antartico (dove quando fa caldo ci sono -30 °C e quando fa freddo, la colonnina di mercurio scende a -60 °C) operano sei italiani, sette francesi e un medico della Repubblica Ceca dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Ma l’incertezza dei finanziamenti, sempre più bassi e sempre più traballanti, sta mettendo a dura prova la sopravvivenza del presidio italiano al Polo Sud ormai da 25 anni. Incertezza e tagli significano ritardi, difficoltà di programmazione, perdita di terreno e competitività. La Francia ci mette molti più soldi. E si vede.Sfidando le temperature rigidissime, i colleghi del CNRS sono riusciti a ritrovare in mezzo alla neve “pietruzze” risalenti al disco protostellare del nostro Sistema Solare. Si tratta di due minuscoli granelli, battezzati particella 19 e particella 119, di un meteorite che ha vagato nel cosmo per miliardi di anni, prima di precipitare sulla Terra frantumandosi nell’impatto con l’atmosfera terrestre. Questi microgranuli erano rimasti sepolti sotto la coltre di neve che è caduta al Polo Sud nell’ultimo mezzo secolo. Sono venuti a galla grazie ai carotaggi con cui i ricercatori hanno estratto colonne di neve, successivamente sciolta e passata al setaccio con filtri estremamente fini. Così, impigliati nella trama, sono spuntati i due micrometeoriti.
La loro composizione chimica mette in crisi alcune certezze e fornisce, di contro, una nuova chiave di lettura sulle origini del Sistema Solare. Sono infatti granuli estremamente ricchi di carbonio e contenenti una quantità esagerata di deuterio, un isotopo stabile dell’idrogeno. Un contenuto organico così alto, normalmente, è tipico dello spazio interstellare dove le nubi molecolari si aggregano a formare nuove stelle. Tuttavia i ricercatori hanno identificato materiali cristallini racchiusi in queste particelle che portano un’altra “firma” chimica: indicano chiaramente che si sono formate vicino al Sole e sono più recenti del previsto. Queste due scoperte messe insieme contraddicono l’idea finora consolidata che tutta la materia organica contenente deuterio in eccesso abbia origine interstellare. I micrometeoriti dell’Antartide rimettono la questione in discussione e aprono nuovi scenari sul primo arrivo di materiale organico sulla Terra che potrebbe aver innescato la vita.
L’augurio ai ricercatori nostrani in Antartide è che possano contribuire, ora e nei prossimi anni, a risolvere il rebus.
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