Un tribunale della città di Kaduna vieta agli attivisti per i diritti umani di organizzare dibattiti in internet sulla sharia.
PeaceReporter - Dieci anni fa veniva eseguita in Nigeria la prima condanna all'amputazione della mano per i colpevoli di furto. Il Civil Rights Congress (Crc), uno dei principali gruppi nigeriani per la tutela dei diritti umani, ha organizzato un incontro pubblico per ricordare il poco felice anniversario e discutere del tema. Ma il dibattito era anche fin troppo pubblico, almeno secondo le autorità musulmane della città di Kaduna, nel nord del paese. Il dibattito è stato infatti "ospitato" su un blog del Crc e sui social network come Facebook e Twitter. Oltre al divieto di discutere delle pene previste dalla legge islamica, un tribunale di Kaduna ha interdetto il Crc dall'utilizzo di internet come piattaforma per un dibattito.
I social network e la sharia non vanno evidentemente d'accordo. Il tribunale di Magajin Gari a Kaduna ha emesso infatti "un'ingiunzione temporanea diretta ai partecipanti o ai loro rappresentanti di aprire forum di dibattito su Facebook, Twitter e tutti gli altri blog, con la finalità di discutere dell'amputazione di Malam Buba Bello Jangebe nel 2000, conformemente alla decisione del tribunale della sharia di Zamfara". La posizione dei musulmani integralisti è dunque inequivocabile. I cosiddetti Fratelli Musulmani della Nigeria, gruppo islamista particolarmente intransigente, hanno aggiunto che un dibattito su internet ha un solo obiettivo: "farsi beffe della sharia". D'altra parte, Jangebe non avrebbe protestato per la condanna ed in ogni caso criticare la decisione della giustizia è inutile, essendo questa conforme alla legge in vigore.
Ma la stessa legge in vigore, quella islamica più intransigente, appunto la sharia, contempla torture, punizioni corporali e pene capitali. Oltre a respingere tutte quelle istituzioni e innovazioni "occidentali" che potrebbero "contaminare" l'impianto giuridico derivante da una lettura fondamentalista del Corano e degli altri testi sacri dell'Islam. La condanna di Facebook e Twitter è solo l'ultima.
Il Crc è stato in effetti esplicito. "Abbiamo aperto il blog e le pagine su Facebook e Twitter da almeno dieci giorni, perché i nigeriani potessero esprimere le loro opinioni sulla sharia e sull'amputazione della mano di Jangebe", ha dichiarato un dirigente della Ong. Il gruppo è andato oltre, perché dalle pagine dei suoi forum in internet intendeva lanciare al governo di Zamfara e al governo federale la richiesta di fornire a Jangebe una mano artificiale, per rimediare alla sofferenza che gli è stata inflitta dieci anni fa. Nessuna risposta, né dagli amministratori della sharia né da Abuja.
E' la prima volta che un tribunale nigeriano assume una decisione di questo tipo. E proprio per questo c'è chi si chiede, tra i giuristi, se la corte di Kaduna avesse i titoli e il diritto di istruire la causa intentata dai Fratelli Musulmani contro il Civil Rights Congress.
Il Crc ricorrerà in appello, ha fatto sapere il presidente della Ong, Shehu Sani. Sani conosce molto bene i meccanismi della giustizia della sharia. Nel 2007 le corti islamiche avevano bandito una sua opera teatrale satirica, ennesimo oltraggio alla sharia. Sani ribaltò tutto in appello. L'opera, "Phantom Crescent", denunciava che la legge islamica è solo il pretesto dietro cui politici e governanti si nascondono per svuotare impunemente le casse dello Stato.
Oggi, almeno un milione di nigeriani ha un suo profilo su Facebook, pochi meno su Twitter. Oltre 12 milioni di persone sono utenti internet, sessanta volte più che nel 2000, l'anno in cui è stata amputata la mano destra del povero Jangebe. Vale la pena ricordare che Jangebe aveva rubato una mucca.
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I social network e la sharia non vanno evidentemente d'accordo. Il tribunale di Magajin Gari a Kaduna ha emesso infatti "un'ingiunzione temporanea diretta ai partecipanti o ai loro rappresentanti di aprire forum di dibattito su Facebook, Twitter e tutti gli altri blog, con la finalità di discutere dell'amputazione di Malam Buba Bello Jangebe nel 2000, conformemente alla decisione del tribunale della sharia di Zamfara". La posizione dei musulmani integralisti è dunque inequivocabile. I cosiddetti Fratelli Musulmani della Nigeria, gruppo islamista particolarmente intransigente, hanno aggiunto che un dibattito su internet ha un solo obiettivo: "farsi beffe della sharia". D'altra parte, Jangebe non avrebbe protestato per la condanna ed in ogni caso criticare la decisione della giustizia è inutile, essendo questa conforme alla legge in vigore.
Ma la stessa legge in vigore, quella islamica più intransigente, appunto la sharia, contempla torture, punizioni corporali e pene capitali. Oltre a respingere tutte quelle istituzioni e innovazioni "occidentali" che potrebbero "contaminare" l'impianto giuridico derivante da una lettura fondamentalista del Corano e degli altri testi sacri dell'Islam. La condanna di Facebook e Twitter è solo l'ultima.
Il Crc è stato in effetti esplicito. "Abbiamo aperto il blog e le pagine su Facebook e Twitter da almeno dieci giorni, perché i nigeriani potessero esprimere le loro opinioni sulla sharia e sull'amputazione della mano di Jangebe", ha dichiarato un dirigente della Ong. Il gruppo è andato oltre, perché dalle pagine dei suoi forum in internet intendeva lanciare al governo di Zamfara e al governo federale la richiesta di fornire a Jangebe una mano artificiale, per rimediare alla sofferenza che gli è stata inflitta dieci anni fa. Nessuna risposta, né dagli amministratori della sharia né da Abuja.
E' la prima volta che un tribunale nigeriano assume una decisione di questo tipo. E proprio per questo c'è chi si chiede, tra i giuristi, se la corte di Kaduna avesse i titoli e il diritto di istruire la causa intentata dai Fratelli Musulmani contro il Civil Rights Congress.
Il Crc ricorrerà in appello, ha fatto sapere il presidente della Ong, Shehu Sani. Sani conosce molto bene i meccanismi della giustizia della sharia. Nel 2007 le corti islamiche avevano bandito una sua opera teatrale satirica, ennesimo oltraggio alla sharia. Sani ribaltò tutto in appello. L'opera, "Phantom Crescent", denunciava che la legge islamica è solo il pretesto dietro cui politici e governanti si nascondono per svuotare impunemente le casse dello Stato.
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