La leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi tornerà in libertà alla scadenza del termine degli arresti domiciliari, il prossimo mese di novembre.
Radio Vaticana - Lo avrebbe detto il ministro dell'Interno della giunta militare al potere nel Paese. La liberazione avverrebbe, dunque, dopo le elezioni - le prime in oltre due decenni - previste ad ottobre. Ma come valutare questo annuncio? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Riccardo Noury, di Amnesty International Italia:
R. – Non c’è da essere granché ottimisti, perché di dichiarazioni sulla fine di questa persecuzione ai danni di Aung San Suu Kyi, che ormai ha raggiunto e superato i 20 anni, se ne sono sentite diverse. L’unico elemento che può far sperare è che il rilascio di Aung San Suu Kyi sarebbe previsto – secondo queste dichiarazioni – dopo l’esisto della consultazione elettorale, in un momento quindi in cui i giochi saranno stati già decisi in quest’anno molto importante per la storia politica del Myanmar.
D. – Questo nonostante sia stato spesso fatto riferimento ad un processo di riconciliazione nazionale?
R. – Queste sono parole che lasciano spesso il tempo che trovano, perché se ne parlava già nell’anno terribile del ciclone “Nargis”, un anno nel quale anziché consentire agli aiuti internazionali di soccorrere le popolazioni colpite, il regime di Myanmar organizzava una consultazione sulla proposta di Costituzione. Una proposta di Costituzione dalla quale poi deriva tutto il percorso attuale che porterà tra alcuni mesi anche alle elezioni e sulla cui legittimità e democraticità in molti hanno dubbi. Bisognerà poi vedere se il Paese si aprirà effettivamente ad osservatori elettorali, agli organismi per i diritti umani; bisognerà capire se verranno consentite eventuali manifestazioni di formazioni di opposizione, in qualche modo tollerate; bisognerà vedere se ci sarà una campagna elettorale vera e propria. Tutte queste rappresentano delle incognite.
D. – Le Nazioni Unite che ruolo possono avere sulla normalizzazione della situazione birmana?
R. – E’ certo che ci si aspetta di più! Diciamo che l’attività delle Nazioni Uniti è stata limitata profondamente dal ruolo di veto spesso assunto dalla Cina. E’ chiaro che Pechino ha un ruolo – e questo è evidente da anni – nel mantenere e nel coprire anche politicamente il regime birmano e le violazioni dei diritti umani che ha causato. Se è necessario lavorare sul piano diplomatico direttamente nei confronti del governo di Myanmar, è altrettanto importante convincere Pechino ad assumere una posizione diversa.
Radio Vaticana - Lo avrebbe detto il ministro dell'Interno della giunta militare al potere nel Paese. La liberazione avverrebbe, dunque, dopo le elezioni - le prime in oltre due decenni - previste ad ottobre. Ma come valutare questo annuncio? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Riccardo Noury, di Amnesty International Italia:R. – Non c’è da essere granché ottimisti, perché di dichiarazioni sulla fine di questa persecuzione ai danni di Aung San Suu Kyi, che ormai ha raggiunto e superato i 20 anni, se ne sono sentite diverse. L’unico elemento che può far sperare è che il rilascio di Aung San Suu Kyi sarebbe previsto – secondo queste dichiarazioni – dopo l’esisto della consultazione elettorale, in un momento quindi in cui i giochi saranno stati già decisi in quest’anno molto importante per la storia politica del Myanmar.
D. – Questo nonostante sia stato spesso fatto riferimento ad un processo di riconciliazione nazionale?
R. – Queste sono parole che lasciano spesso il tempo che trovano, perché se ne parlava già nell’anno terribile del ciclone “Nargis”, un anno nel quale anziché consentire agli aiuti internazionali di soccorrere le popolazioni colpite, il regime di Myanmar organizzava una consultazione sulla proposta di Costituzione. Una proposta di Costituzione dalla quale poi deriva tutto il percorso attuale che porterà tra alcuni mesi anche alle elezioni e sulla cui legittimità e democraticità in molti hanno dubbi. Bisognerà poi vedere se il Paese si aprirà effettivamente ad osservatori elettorali, agli organismi per i diritti umani; bisognerà capire se verranno consentite eventuali manifestazioni di formazioni di opposizione, in qualche modo tollerate; bisognerà vedere se ci sarà una campagna elettorale vera e propria. Tutte queste rappresentano delle incognite.
D. – Le Nazioni Unite che ruolo possono avere sulla normalizzazione della situazione birmana?
R. – E’ certo che ci si aspetta di più! Diciamo che l’attività delle Nazioni Uniti è stata limitata profondamente dal ruolo di veto spesso assunto dalla Cina. E’ chiaro che Pechino ha un ruolo – e questo è evidente da anni – nel mantenere e nel coprire anche politicamente il regime birmano e le violazioni dei diritti umani che ha causato. Se è necessario lavorare sul piano diplomatico direttamente nei confronti del governo di Myanmar, è altrettanto importante convincere Pechino ad assumere una posizione diversa.
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