Benedetto XVI ha ricevuto, stamani, il primo gruppo di vescovi di Inghilterra e Galles, in visita “ad Limina”. Un evento particolarmente significativo anche in vista del viaggio apostolico che Benedetto XVI compirà in Gran Bretagna il prossimo settembre.
RadioVaticana - La Chiesa britannica conta 5 arcidiocesi e 17 diocesi. I cattolici sono poco più di 5 milioni, pari all'8,9 % della popolazione. A guidare il gruppo di presuli in udienza, stamani, dal Papa è stato l’arcivescovo di Westminster, mons. Vincent Gerard Nichols, presidente dell’episcopato inglese e gallese. A mons. Nichols, Philippa Hitchen ha chiesto di soffermarsi sulle sfide attuali per la Chiesa cattolica d’Inghilterra:
R. - Una recente ricerca fa vedere una comunità più composita e registra un aumento numerico di cui non eravamo pienamente consapevoli. Un’altra cosa che salta all’occhio in questo momento è che la vita di fede è molto più intensa nelle città più grandi che nelle aree rurali del Paese, dove i numeri sono in calo e i sacerdoti stanno invecchiando e ci sono serie difficoltà. Penso anche che questa ricerca abbia mostrato che rispetto al resto della popolazione i cattolici sono molto più impegnati nella causa della giustizia sociale. E questo è per noi incoraggiante, perché è un’espressione concreta dell’insegnamento sociale della Chiesa e perché dimostra che oltre alle note difficoltà abbiamo anche una serie di storie di successo da raccontare.
D. - La Chiesa accoglie molti immigrati in particolare dalla Polonia e dalle Filippine. Questa Chiesa multietnica rappresenta indubbiamente una sfida. Come la state affrontando?
R. - Devo dire che molte delle comunità immigrate di fatto portano nuova vita e vigore al nostro cattolicesimo inglese. Ci sono certo difficoltà con quei gruppi nazionali che - comprensibilmente - vogliono conservare la loro identità e i loro riti liturgici. Ma nella maggior parte dei casi la situazione è gestita abbastanza bene e stiamo trovando un equilibrio tra l’integrazione in un’unica comunità liturgica e il riconoscimento del profondo bisogno spirituale dei fedeli di esprimere la fede nella loro lingua madre.
D. - La Gran Bretagna è forse oggi una delle società più secolarizzate in Europa. Lei ha detto recentemente che essa “ha venduto la sua anima al sapere scientifico e al materialismo a scapito della religione”. Eppure c’è anche una forte sete di spiritualità…
R. - La società britannica è abbastanza complessa. Alcune istituzioni chiave, spesso le università e a volte apparati di governo nella loro attività legislativa, si concentrano quasi esclusivamente su dati fattuali e non penso che questo rifletta il sentire comune. Penso che in questo Paese stia emergendo un’incertezza sul tipo di società che vogliamo, su quali sono i veri valori da perseguire o su quale identità profonda costruire e sostenere. La fede religiosa ci aiuta a vivere in questa incertezza, perché ci dà un’apertura al trascendente e la piena consapevolezza che non conosciamo e controlliamo tutto. Come Chiesa cerchiamo di giocare a pieno la nostra parte nel dibattito pubblico su questi temi. Questo significa che a volte dobbiamo parlare con le statistiche alla mano. A volte, invece, dobbiamo provare ad entrare nel dibattito con il ragionamento razionale, piuttosto che di fede: è il caso dell’attuale dibattito sul suicidio assistito. Altre volte ancora dobbiamo cercare di mostrare il ruolo della fede religiosa nell’arena pubblica. Quindi dobbiamo operare a diversi livelli.
D. - Come sono i rapporti con la Comunione anglicana dopo la recente approvazione della Costituzione apostolica “Anglicanorum Coetibus”?
R. - Adesso la reazione alla “Anglicanorum Coetibus” è, in un certo senso, misurata. C’è stata una forte reazione all’inizio, che i media hanno in parte gonfiato. Adesso siamo in una fase di assestamento e di riflessione nella preghiera. Per una valutazione completa dell’iniziativa del Papa, occorre considerare l’importante annuncio dell’avvio della terza fase di colloqui dell’ARCIC, la Commissione Internazionale Anglicana Cattolica romana. A mio avviso, si tratta di due cose collegate. La risposta del Santo Padre ha dato uno stimolo positivo ai dibattiti dell’ARCIC e la concomitanza tra il lancio dell’ARCIC III e la Costituzione apostolica “Anglicanorum Cetibus” non è una coincidenza. Infatti, nella nostra dichiarazione congiunta, l’arcivescovo anglicano di Canterbury ed io abbiamo detto che questo passo della Santa Sede porterà alla fine di un periodo di incertezze e ritengo che sia stato un contributo positivo a un dialogo più vasto tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana nel suo insieme che avrà riflessi anche in questo Paese.
RadioVaticana - La Chiesa britannica conta 5 arcidiocesi e 17 diocesi. I cattolici sono poco più di 5 milioni, pari all'8,9 % della popolazione. A guidare il gruppo di presuli in udienza, stamani, dal Papa è stato l’arcivescovo di Westminster, mons. Vincent Gerard Nichols, presidente dell’episcopato inglese e gallese. A mons. Nichols, Philippa Hitchen ha chiesto di soffermarsi sulle sfide attuali per la Chiesa cattolica d’Inghilterra:R. - Una recente ricerca fa vedere una comunità più composita e registra un aumento numerico di cui non eravamo pienamente consapevoli. Un’altra cosa che salta all’occhio in questo momento è che la vita di fede è molto più intensa nelle città più grandi che nelle aree rurali del Paese, dove i numeri sono in calo e i sacerdoti stanno invecchiando e ci sono serie difficoltà. Penso anche che questa ricerca abbia mostrato che rispetto al resto della popolazione i cattolici sono molto più impegnati nella causa della giustizia sociale. E questo è per noi incoraggiante, perché è un’espressione concreta dell’insegnamento sociale della Chiesa e perché dimostra che oltre alle note difficoltà abbiamo anche una serie di storie di successo da raccontare.
D. - La Chiesa accoglie molti immigrati in particolare dalla Polonia e dalle Filippine. Questa Chiesa multietnica rappresenta indubbiamente una sfida. Come la state affrontando?
R. - Devo dire che molte delle comunità immigrate di fatto portano nuova vita e vigore al nostro cattolicesimo inglese. Ci sono certo difficoltà con quei gruppi nazionali che - comprensibilmente - vogliono conservare la loro identità e i loro riti liturgici. Ma nella maggior parte dei casi la situazione è gestita abbastanza bene e stiamo trovando un equilibrio tra l’integrazione in un’unica comunità liturgica e il riconoscimento del profondo bisogno spirituale dei fedeli di esprimere la fede nella loro lingua madre.
D. - La Gran Bretagna è forse oggi una delle società più secolarizzate in Europa. Lei ha detto recentemente che essa “ha venduto la sua anima al sapere scientifico e al materialismo a scapito della religione”. Eppure c’è anche una forte sete di spiritualità…
R. - La società britannica è abbastanza complessa. Alcune istituzioni chiave, spesso le università e a volte apparati di governo nella loro attività legislativa, si concentrano quasi esclusivamente su dati fattuali e non penso che questo rifletta il sentire comune. Penso che in questo Paese stia emergendo un’incertezza sul tipo di società che vogliamo, su quali sono i veri valori da perseguire o su quale identità profonda costruire e sostenere. La fede religiosa ci aiuta a vivere in questa incertezza, perché ci dà un’apertura al trascendente e la piena consapevolezza che non conosciamo e controlliamo tutto. Come Chiesa cerchiamo di giocare a pieno la nostra parte nel dibattito pubblico su questi temi. Questo significa che a volte dobbiamo parlare con le statistiche alla mano. A volte, invece, dobbiamo provare ad entrare nel dibattito con il ragionamento razionale, piuttosto che di fede: è il caso dell’attuale dibattito sul suicidio assistito. Altre volte ancora dobbiamo cercare di mostrare il ruolo della fede religiosa nell’arena pubblica. Quindi dobbiamo operare a diversi livelli.
D. - Come sono i rapporti con la Comunione anglicana dopo la recente approvazione della Costituzione apostolica “Anglicanorum Coetibus”?
R. - Adesso la reazione alla “Anglicanorum Coetibus” è, in un certo senso, misurata. C’è stata una forte reazione all’inizio, che i media hanno in parte gonfiato. Adesso siamo in una fase di assestamento e di riflessione nella preghiera. Per una valutazione completa dell’iniziativa del Papa, occorre considerare l’importante annuncio dell’avvio della terza fase di colloqui dell’ARCIC, la Commissione Internazionale Anglicana Cattolica romana. A mio avviso, si tratta di due cose collegate. La risposta del Santo Padre ha dato uno stimolo positivo ai dibattiti dell’ARCIC e la concomitanza tra il lancio dell’ARCIC III e la Costituzione apostolica “Anglicanorum Cetibus” non è una coincidenza. Infatti, nella nostra dichiarazione congiunta, l’arcivescovo anglicano di Canterbury ed io abbiamo detto che questo passo della Santa Sede porterà alla fine di un periodo di incertezze e ritengo che sia stato un contributo positivo a un dialogo più vasto tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana nel suo insieme che avrà riflessi anche in questo Paese.
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