martedì, novembre 10, 2009
Pavel A. Florenskij è stato un grande pensatore russo, forse uno dei più grandi del Novecento. Un filosofo della scienza, un matematico, fisico, ingegnere elettronico, ma anche teologo, studioso di estetica e di semiotica.

di Monica Cardarelli

La complessità del suo pensiero, la ricchezza delle sue riflessioni hanno portato a quella che oggi viene chiamata “Florenskij-Renaissance” poiché ormai in gran parte d’Europa si sviluppano e si moltiplicano gli incontri, i convegni, gli studi su di lui e sulla sua vita. Infatti, di questo “Pascal russo”, come è stato definito, l’opera principale è rappresentata dalla sua vita. Pavel Aleksandrovic Florenskij (1882-1937) laureato in matematica, rifiutò la cattedra universitaria per studiare teologia. Ordinato Presbitero ortodosso, docente di filosofia presso l’Accademia Teologia moscovita, ha svolto la sua attività filosofica, teologica, scientifica fino a quando è stato rinchiuso nel famigerato gulag delle isolo Solovki e, l’8 dicembre 1937, in un luogo sconosciuto presso Leningrado, fu fucilato.
Non è facile delineare il pensiero profondo di questo filosofo e teologo e la cosa più interessante resta sempre la scoperta della vita di Florenskij. Dopo la rivoluzione del 1917, a differenza di molti altri intellettuali russi, non scelse l’esilio, convinto della necessità di una resistenza interna. Perciò, nel periodo in cui il governo dei Soviet con l’intento di distruggere l’anima spirituale della cultura russa sferrava duri attacchi, a cominciare dal monastero della Santissima Trinità di San Sergio, Florenskij fu incarcerato una prima volta nel maggio del 1928 e incluso tra i soggetti socialmente pericolosi in quanto considerato “un oscurantista, una minaccia per il potere sovietico” e condannato a tre anni di confino a Niznij Novgorod. La condanna venne annullata poco dopo ma Florenskij sapeva bene che avrebbe avuto un seguito. Infatti, nel febbraio del 1933 viene nuovamente incriminato, arrestato e condannato a dieci anni di lager. Nonostante tutto, dopo alcuni mesi di prigionia a Lubjanka, sottoposto a continue minacce e violenze, Florenskij inizia a scrivere un piccolo trattato, la “Proposta di una futura struttura dello stato”.
Successivamente, viene inviato in un lager della Siberia occidentale, il BAMlag di Skovorodino e qui viene assegnato al reparto per la ricerca scientifica. Paradossalmente, inizia per Florenskij uno dei periodi forse più fecondi dei suoi ultimi anni di vita durante il quale riesce a mettere in atto alcune sue teorie e a studiare il fenomeno dei ghiacci perenni. Nell’estate del 1934, riceve la visita della moglie, Anna Michajlovna e dei tre figli più piccoli, Ol’ga, Michail e Maria-Tinatin. Infine, dal settembre del 1934 viene trasferito attraverso la Siberia e gli Urali fino al Mar Bianco, dove l’arcipelago delle isole Solovki era stato ormai trasformato nel gulag SLON.
“Se non ci fosse la preoccupazione per voi che non mi lascia mai e se non ci fosse la tristezza del distacco da voi, potrei dire che sono molto lieto di essermi liberato da Mosca (…) (2 marzo 1934).” Durante tutti questi anni, Florenskij avrà un unico modo per mantenere viva la propria mente e l’affetto per i suoi cari e la sua famiglia: scrivere delle lettere.
“Vivo in uno stato di continuo torpore spirituale: è l’unico modo per sopravvivere; i giorni e le settimane si susseguono sempre uguali. Se in questo dormiveglia c’è qualcosa di vivo, sono i ricordi e i pensieri rivolti a voi, tutto il resto è illusorio e passa come ombra.” (15 novembre 1935). E ancora: “La mancanza di impressioni che arricchiscano e l’impossibilità di concentrarmi in me stesso mi procurano un senso di vuoto interiore, e mi sembra di istupidirmi ogni giorno di più.” (16 gennaio 1936).
Leggere le lettere di Pavel Florenskij (pubblicate da Mondadori con il titolo “Non dimenticatemi”) è come veder scorrere davanti agli occhi la sua vita. Da questi scritti emerge tutta l’umanità e l’affettività dell’uomo prima ancora che del filosofo, teologo e sacerdote.
“Mi pesa vivere in modo tranquillo e sereno, mentre voi, miei cari, soffrite. In ogni caso non scoraggiatevi. Dì ai figli che le nostre cose in qualche modo si sistemeranno, dì che vivano del presente, con più forza e più gioia. Un bacio forte a te, cara; abbi cura di te stessa e dei figli. La sera guarda le stelle.” (18, 20 marzo 1934)
In questi scritti si alternano pensieri che riguardano lo studio di Florenskij o la preoccupazione per il paese a lettere in cui è semplicemente il padre che si preoccupa dell’educazione dei figli e dell’affetto che non riesce a fargli avere. “Vivo di ricordi, mi rammento dei più piccoli dettagli su ciascuno di voi (…) Il passato non è passato, ma è custodito e rimane per sempre, ma noi lo dimentichiamo e ci allontaniamo da esso. Tuttavia, in seguito, lungo il susseguirsi imprevedibile delle circostanze, esso riappare di nuovo come un eterno presente.” (27 maggio 1935).
Oppure, nella lettera rivolta alla moglie: “Ognuno ha il proprio dolore e la propria croce. Perciò non lamentarti della tua. In questo periodo attorno a me ho visto tanto dolore in tutte le sue forme e le sue cause, che ciò mi ha distolto completamente dal mio.” (23-24 marzo 1934).
Ma “vedere nell’altro realmente una persona che ami (28 aprile 1936)” è la convinzione di fede di Florenskij sacerdote e teologo poiché egli ha la “ferma convinzione che al mondo niente si perde, né di bene né di male, e presto o tardi lascerà il suo segno. (…) La mia più intima persuasione è questa: nulla si perde completamente, nulla svanisce, ma si custodisce in qualche tempo e in qualche luogo. Ciò che è immagine del bene e ha valore rimane, anche se non cessiamo di percepirlo (…) senza questa consapevolezza la vita si perderebbe nel vuoto e nel non senso” (23 febbraio 1937).
Il pensiero di un uomo, le sue convinzioni di vita, le sue riflessioni e la sua visione della storia del momento in queste lettere, in queste parole che Florenskij rivolge sì ai familiari ma anche in qualche modo, a tutti: “essere e non apparire, costruire una disposizione d’animo chiara e trasparente, una percezione del mondo integrale, e coltivare con attenzione e in modo disinteressato il pensiero.” (13 maggio 1937). E ancora: “Non tradire mai le tue più profonde convinzioni interiori per nessuna ragione al mondo. Ricorda che ogni compromesso porta a un nuovo compromesso, e così all’infinito.”
Inoltre, nel “Testamento” rivolgendosi ai figli, Florenskij scrive: “Non fate le cose in maniera confusa, non fate nulla in modo approssimativo, senza persuasione, senza provare gusto per quello che state facendo. Ricordate che nell’approssimazione si può perdere la propria vita! (…) Cari figli miei, guardatevi dal pensare in maniera disattenta. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che ci si prenda cura con tutte le forze del suo oggetto. (…) Quando proverete tristezza nel vostro animo guardate le stelle oppure il cielo di giorno. Quando siete tristi, offesi, sconsolati o sconvolti per un tormento dell’anima, uscite all’aria aperta e fermatevi in solitudine immersi nel cielo. Allora la vostra anima troverà quiete.”
Dalle lettere dal lager traspare anche una grande fede e conformità alla volontà di Dio, al Suo amore e alla croce. Il senso della sofferenza, Florenskij l’ha vissuto e provato in prima persona, senza mai tirarsi indietro, senza mai farne a meno. “Il destino della grandezza è la sofferenza, quella causata dal mondo esterno e la sofferenza interiore. Così è stato, così è e così sarà. Perché sia così è assolutamente chiaro: c’è una sorta di ritardo della coscienza rispetto alla grandezza e dell’ “io” rispetto alla sua propria grandezza. (…) È chiaro che il mondo è fatto in modo che non gli si possa donare nulla se non pagandolo con sofferenza e persecuzione. E tanto più disinteressato è il dono, tanto più crudeli saranno le persecuzioni e atroci le sofferenze. Tale è la legge della vita, il suo assioma fondamentale (…). Per il proprio dono, la grandezza, bisogna pagare con il sangue.” (13 febbraio 1937)
È una consapevolezza forse maturata giorno dopo giorno, grazie anche ai suoi studi scientifici, matematici, filosofici, sicuramente sentita e provata da questo grande teologo e uomo di fede, fatto sta che da questi scritti appare un uomo consapevole del fatto che il grande paradosso della fede cristiana è la Croce come segno di Amore: “La fede che ci salva è il principio e la fine della Croce e della con-crocifissione al Cristo.”


Sono presenti 2 commenti

Lalla Frau ha detto...

Debbo un ringraziamento di cuore al Prof.Vito Mancuso che mi ha fatto conoscere Pavel Florenkij in occasione del Festival della Filosofia tenutosi di recente a Cagliari. Anche io come il grande filosofo russo,quando sono inquieta vado al mare a calmare il mio spirito. Ed anche oggi che sono vecchia e tormentata dal dubbio sulla Fede, dico che Dio esiste solo quando mi immergo nel dolce mare del Golfo degli Angeli a Cagliari dove sono nata. Il creato è perfetto.

Anonimo ha detto...

ringrazio vito mancuso per avermi fatto conoscere florenskij

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