giovedì, novembre 05, 2009
di Monica Cardarelli

La morte di Alda Merini ci porta a riflettere su alcuni temi quali il rapporto tra poesia e sofferenza o il ruolo della poesia o della narrativa nella società.
“I miei poveri versi non sono belle, millantate parole, non sono afrodisiaci folli da ammannire ai potenti e a chi voglia blandire la sua sete. I miei poveri versi sono brandelli di carne nera disfatta chiusa, e saltano agli occhi impetuosi; sono orgogliosa della mia bellezza; quando l’anima è satura dentro di amarezza e dolore diventa incredibilmente bella e potente soprattutto. Di questa potenza io sono orgogliosa ma non d’altre disfatte; perciò tu che mi leggi fermo a un tavolino di caffé, tu che passi le giornate sui libri a cincischiare la noia e ti senti maestro di critica, tendi il tuo arco al cuore di una donna perduta. Lì mi raggiungerai in pieno.”
Sono le parole de “I miei poveri versi”, una bellissima poesia della raccolta “Vuoto d’amore”. Una delle tante poesie con cui la Merini comunicava, con parole forti e semplici, ciò che sentiva. Non è possibile, almeno in questa sede, parlare della poesia di Alda Merini perché ogni commento risulterebbe superfluo e ne limiterebbe la forza e la grandezza.
È interessante però soffermarsi sul ruolo della poesia e la figura del poeta nella nostra società. Prima di tutto, occorre partire dal rapporto personale e stretto che lega una persona al suo essere e al modo di esprimersi e di esprimere ciò che sente e che è. Per alcuni, questo modo è la poesia, per altri la narrativa, per altri ancora la pittura o il teatro. Alla base, però, c’è sempre qualcosa che si vuole condividere, comunicare, esprimere.
Quando questo ‘qualcosa’ nasce dal profondo di se stessi e non è una pura descrizione della realtà, allora arriva a toccare il cuore di chi legge o guarda. Questo anche il senso della bellezza. Emozionarsi di fronte ad un’emozione provata in prima persona da chi l’ha rappresentata in mille maniere e la trasmette. “La bellezza salverà il mondo!” scriveva Dostoevskij intendendo per bellezza non l’aspetto esteriore o la perfezione fisica, quanto l’armonia e l’anima umana.
Per poter trasmettere la bellezza dell’anima è necessario partire da se stessi per poi passare all’osservazione degli altri e del mondo. Scavando in se stessi, a volte senza fatica, altre volte con una sofferenza indicibile, si riesce ad arrivare ad alcune sensazioni ed emozioni condivise e condivisibili. Per far ciò è comunque necessaria una grande e profonda sensibilità che permetta questo viaggio interiore.
“O poesia non venirmi addosso, sei come una montagna pesante, mi schiacci come un moscerino; poesia, non schiacciarmi, l’insetto è alacre e insonne, scalpita dentro la rete, poesia, ho tanta paura, non saltarmi addosso, ti prego.” (da “Vuoto d’amore”)
Alda Merini ha sempre considerato la sua poesia come un dono. Un dono di cui non poteva più fare a meno e da condividere. Un dono, forse, più grande di lei, che le ha permesso di vivere tutta la sofferenza della sua vita e tirarla fuori, comunicandola.

“Io ero un uccello dal bianco ventre gentile, qualcuno mi ha tagliato la gola per riderci sopra, non so.
Io ero un albero grande e volteggiavo sui mari. Qualcuno ha fermato il mio viaggio, senza nessuna carità di suono.
Ma anche distesa per terra io canto ora per te le mie canzoni d’amore.” (da “Vuoto d’amore”)

A volte, proprio la sofferenza conduce ad esprimerla con la forma espressiva propria di ognuno. Come se esistesse uno stretto rapporto tra la sofferenza e la sensibilità e che da questo rapporto nascesse un legame, un filo che conduce all’espressione poetica o narrativa che sia, alla comunicazione. La sofferenza personale, intima di ognuno di noi diventa, con le parole di un poeta, una sofferenza condivisa e sentita anche da altri.
Personalmente continuo a pensare che il poeta e la poesia debba rivestire un ruolo nella nostra società, non certo di minore interesse. Ciò proprio perché la poesia esprime la parte più intima di noi, più bella. E di questo, abbiamo bisogno quanto di una riforma economica o sociale. Purtroppo nella nostra società non è così e lo dimostra il fatto che la stessa Alda Merini e con lei tanti altri artisti ha vissuto e vivono in situazioni di indigenza. Perché la poesia, in fondo, non interessa. Il poeta, lo scrittore, il drammaturgo o l’attore non ha un ruolo riconosciuto culturalmente perciò lo si può lasciare ai margini della società, tutt’al più, lo si guarda in un’ottica di divertimento, nemmeno di cultura. Non si è ancora capito e interiorizzato che tutto ciò è vita e che l’essere umano è anche questo.

“Il volume del canto mi innamora: come vorrei io invadere la terra con i miei carmi e che tremasse tutta sotto la poesia della canzone.
Io semino parole, sono accorta seminatrice delle magre zolle e pur qualcuno si alza ad ascoltarmi, uno che il canto l’ha nel cuore chiuso e che per tratti a me svolge la spola della gaudente fantasia.” (“Il volume del mio canto”, da “Vuoto d’amore”)


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