Dopo il 2018 gli edifici pubblici, dopo il 2020 l’edilizia residenziale e commerciale di nuova costruzione dovrà rispettare nuovi standard prestazionali secondo l’obiettivo “ consumi quasi a zero”. Ma resta fuori tutta l’edilizia esistente, quella che nell’Unione Europea consuma quasi il 40% di energia.
Qualenergia.it - Elevatissimi standard energetici saranno operativi dopo il 31 dicembre 2018 per tutti i nuovi edifici pubblici dell’Unione Europea e, dopo il 2020, per tutte le abitazioni e gli uffici. Dopo un anno di complesse negoziazioni con il Consiglio e il Parlamento Europeo, la presidenza svedese ha raggiunto un accordo politico su un testo condiviso della direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici. Una scelta che sul lungo periodo dovrebbe avere un importante effetto in termini di risparmio nella bolletta energetica europea e, quindi, sulle importazioni di gas. Si stima che questo impatto sia quantificabile in alcune decine miliardi di euro all’anno. Una strategia che però non va ad incidere in un settore edilizio, per intendersi quello già realizzato, che nell’UE27 incide sui consumi energetici addirittura per il 35-40%.
In concreto la neo-direttiva richiederà che tutti gli edifici pubblici costruiti dopo il 2018 dovranno essere pressoché a zero (“nearly zero”) consumo di energia (edifici passivi) e lo stesso varrà per tutti gli edifici residenziali e commerciali costruiti dopo il 2020. Per abbassare fortemente i consumi si utilizzeranno le più innovative tecnologie di costruzione e di coibentazione, mentre il fabbisogno restante verrà coperto soprattutto con solare e biomasse. Il testo verrà approvato in forma ufficiale nelle prossime settimane.
Il Parlamento europeo inizialmente aveva proposto che dal 2018 tutti i nuovi edifici dovessero ridurre a zero la loro “impronta a livello di emissioni” (quindi includendo, oltre alla fase di gestione, anche la costruzione e gli stessi materiali utilizzati). Un obiettivo giudicato troppo ambizioso per i 27 governi dell’UE che lo hanno modificato con il “quasi zero”.
Inoltre, la direttiva specificherà che coloro che venderanno o affitteranno una abitazione dal 2012 dovranno obbligatoriamente specificare nell’annuncio o nella pubblicità la categoria energetica di appartenenza della loro proprietà, informando così gli eventuali nuovi inquilini. L'obbligo riguarda anche tutti gli edifici con una superficie maggiore di 500 m2 destinata ad attività pubbliche, che sarà ridotta a 250 m2 dopo cinque anni di entrata in vigore della direttiva. Le eccezioni previste riguardano le piccole case (meno di 50 m2), le case usate solo per le vacanze e per non più di quattro mesi all'anno, gli edifici religiosi, gli edifici temporanei usati per meno di due anni, i siti industriali, i laboratori e gli edifici agricoli.
La notizia è stata accolta da molti con soddisfazione, anche se per alcuni la soluzione finale lascia qualche amarezza. Ad esempio i verdi europei ritengono che sia stata persa l’occasione di spingere definitivamente le “ristrutturazioni energetiche” sul patrimonio immobiliare già esistente. La motivazione è da ricercarsi nella mancanza di fondi europei dedicati ad hoc per concedere piccoli crediti in questa direzione e anche perché i governi (soprattutto quelli dei nuovi paesi membri) non hanno visto di buon occhio una comune metodologia per rinnovare il parco edilizio esistente.
Altra critica viene dal WWF che considera troppo spostato in avanti l’obiettivo dell’accordo, tanto che non riuscirà ad incidere sugli obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni europee al 2020.
In effetti, attuare da subito un grande programma di ristrutturazione energetica degli edifici esistenti in Europa avrebbe voluto prendere per le corna “il toro” (taglio dei consumi energetici e delle emissioni) , creando milioni di posti di lavoro, riducendo più rapidamente la dipendenza energetica europea e dare finalmente concretezza all’abusato concetto di “green economy”. Spetterà allora ai singoli Paesi membri, in ordine sparso, mettere in in moto questa strategica operazione.
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Il Parlamento europeo inizialmente aveva proposto che dal 2018 tutti i nuovi edifici dovessero ridurre a zero la loro “impronta a livello di emissioni” (quindi includendo, oltre alla fase di gestione, anche la costruzione e gli stessi materiali utilizzati). Un obiettivo giudicato troppo ambizioso per i 27 governi dell’UE che lo hanno modificato con il “quasi zero”.
Inoltre, la direttiva specificherà che coloro che venderanno o affitteranno una abitazione dal 2012 dovranno obbligatoriamente specificare nell’annuncio o nella pubblicità la categoria energetica di appartenenza della loro proprietà, informando così gli eventuali nuovi inquilini. L'obbligo riguarda anche tutti gli edifici con una superficie maggiore di 500 m2 destinata ad attività pubbliche, che sarà ridotta a 250 m2 dopo cinque anni di entrata in vigore della direttiva. Le eccezioni previste riguardano le piccole case (meno di 50 m2), le case usate solo per le vacanze e per non più di quattro mesi all'anno, gli edifici religiosi, gli edifici temporanei usati per meno di due anni, i siti industriali, i laboratori e gli edifici agricoli.
La notizia è stata accolta da molti con soddisfazione, anche se per alcuni la soluzione finale lascia qualche amarezza. Ad esempio i verdi europei ritengono che sia stata persa l’occasione di spingere definitivamente le “ristrutturazioni energetiche” sul patrimonio immobiliare già esistente. La motivazione è da ricercarsi nella mancanza di fondi europei dedicati ad hoc per concedere piccoli crediti in questa direzione e anche perché i governi (soprattutto quelli dei nuovi paesi membri) non hanno visto di buon occhio una comune metodologia per rinnovare il parco edilizio esistente.
Altra critica viene dal WWF che considera troppo spostato in avanti l’obiettivo dell’accordo, tanto che non riuscirà ad incidere sugli obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni europee al 2020.
In effetti, attuare da subito un grande programma di ristrutturazione energetica degli edifici esistenti in Europa avrebbe voluto prendere per le corna “il toro” (taglio dei consumi energetici e delle emissioni) , creando milioni di posti di lavoro, riducendo più rapidamente la dipendenza energetica europea e dare finalmente concretezza all’abusato concetto di “green economy”. Spetterà allora ai singoli Paesi membri, in ordine sparso, mettere in in moto questa strategica operazione.
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