Alla Fiera di Francoforte la Cina è Paese ospite. Cresce tra gli accademici l’interesse religioso. Oltre Muraglia i cristiani sono più numerosi dei membri del Partito
MissionLine - La Fiera del libro di Francoforte, in corso in questi giorni in Germania, attira l’attenzione sulla cultura e la letteratura del Paese ospite, la Cina. In concomitanza con tale appuntamento la rivista Concilium ha pubblicato un numero monografico dedicato a “Cina e Cristianesimo”. In un puntuale intervento Lung-Kwong Lo, studioso del Nuovo Testamento e presidente della Chiesa metodista di Hong Kong, fa il punto sull’interesse del mondo universitario cinese verso il cristianesimo.
Lo sottolinea: “Dagli anni Ottanta dello scorso secolo è iniziata la formazione di centri per gli studi cristiani in molte delle maggiori università, come l’Accademia cinese di scienze sociali, l’università di Pechino, l’università Fudan, l’Università del popolo, l’Università centrale delle nazionalità, l’università di Nanchino, l’università Tsinghua, l’università dello Henan, l’università dello Zhejiang, l’università normale della Cina centrale (Huazhong), l’università normale del Fujian, l’università normale dello Shaanxi e l’università Sun Yat Sen (Zhongshan)”.
Perché questo interesse da parte degli studiosi cinesi verso il cristianesimo? Risponde Lo: “I punti caldi sono congiunti al significato del cristianesimo per le conseguenze della Rivoluzione culturale, al fatto se il cristianesimo possa contribuire al vuoto spirituale della generazione più giovane, quando il comunismo è fallito, a come la comprensione cristiana del peccato possa essere un supplemento alla comprensione confuciana della natura umana, a come il cristianesimo possa essere d’aiuto nel ricostruire la moralità della società cinese che sta diventando sempre più capitalistica e materialistica”.
Clicca qui per leggere integralmente l’intervento di Lo, dove trovi anche il sommario e l’editoriale del numero di Concilium dedicato a Cina e cristianesimo.
E proprio dagli ambienti accademici cinesi arriva una richiesta “controcorrente” al governo di Pechino.
Lo studioso Yu Jianrong, docente all’Istituto di sviluppo rurale dell’Accademia di Scienze sociali, ha suggerito alle autorità statali di “liberalizzare” le chiese protestanti “underground” – perseguitate invece dal regime - perchè esse “hanno un’influenza positiva sulla società”. Yu è giunto a questa affermazione dopo uno studio fatto di indagine e ricerca sul campo mediante interviste e colloqui con cristiani cinesi.
Nella stessa indagine Yu ha scoperto che il numero dei cristiani in Cina supera oggi quello degli aderenti al Partito comunista. Infatti, l’accademico ha stimato che i cristiani delle chiese “domestiche”, cioè non riconosciute, assommano tra i 45 e i 60 milioni, con un altro 10-30 milioni di fedeli protestanti che frequentano le chiese “ufficiali”. Sommando ai 12 milioni di cattolici, si ottiene un numero – sul centinaio di milioni di persone - comunque molto più alto dei 74 milioni di aderenti al Pcc.
MissionLine - La Fiera del libro di Francoforte, in corso in questi giorni in Germania, attira l’attenzione sulla cultura e la letteratura del Paese ospite, la Cina. In concomitanza con tale appuntamento la rivista Concilium ha pubblicato un numero monografico dedicato a “Cina e Cristianesimo”. In un puntuale intervento Lung-Kwong Lo, studioso del Nuovo Testamento e presidente della Chiesa metodista di Hong Kong, fa il punto sull’interesse del mondo universitario cinese verso il cristianesimo.Lo sottolinea: “Dagli anni Ottanta dello scorso secolo è iniziata la formazione di centri per gli studi cristiani in molte delle maggiori università, come l’Accademia cinese di scienze sociali, l’università di Pechino, l’università Fudan, l’Università del popolo, l’Università centrale delle nazionalità, l’università di Nanchino, l’università Tsinghua, l’università dello Henan, l’università dello Zhejiang, l’università normale della Cina centrale (Huazhong), l’università normale del Fujian, l’università normale dello Shaanxi e l’università Sun Yat Sen (Zhongshan)”.
Perché questo interesse da parte degli studiosi cinesi verso il cristianesimo? Risponde Lo: “I punti caldi sono congiunti al significato del cristianesimo per le conseguenze della Rivoluzione culturale, al fatto se il cristianesimo possa contribuire al vuoto spirituale della generazione più giovane, quando il comunismo è fallito, a come la comprensione cristiana del peccato possa essere un supplemento alla comprensione confuciana della natura umana, a come il cristianesimo possa essere d’aiuto nel ricostruire la moralità della società cinese che sta diventando sempre più capitalistica e materialistica”.
Clicca qui per leggere integralmente l’intervento di Lo, dove trovi anche il sommario e l’editoriale del numero di Concilium dedicato a Cina e cristianesimo.
E proprio dagli ambienti accademici cinesi arriva una richiesta “controcorrente” al governo di Pechino.
Lo studioso Yu Jianrong, docente all’Istituto di sviluppo rurale dell’Accademia di Scienze sociali, ha suggerito alle autorità statali di “liberalizzare” le chiese protestanti “underground” – perseguitate invece dal regime - perchè esse “hanno un’influenza positiva sulla società”. Yu è giunto a questa affermazione dopo uno studio fatto di indagine e ricerca sul campo mediante interviste e colloqui con cristiani cinesi.
Nella stessa indagine Yu ha scoperto che il numero dei cristiani in Cina supera oggi quello degli aderenti al Partito comunista. Infatti, l’accademico ha stimato che i cristiani delle chiese “domestiche”, cioè non riconosciute, assommano tra i 45 e i 60 milioni, con un altro 10-30 milioni di fedeli protestanti che frequentano le chiese “ufficiali”. Sommando ai 12 milioni di cattolici, si ottiene un numero – sul centinaio di milioni di persone - comunque molto più alto dei 74 milioni di aderenti al Pcc.
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