giovedì, agosto 06, 2009
In questo secondo articolo scritto da Monica Cardarelli nei giorni che precedono la celebrazione di Santa Chiara scopriamo la Regola che la Santa lasciò a coloro che scelsero di seguirla.

di Monica Cardarelli

Chiara è la prima donna nella storia della Chiesa ad aver scritto una Regola per le donne. Leggendo la Regola scritta da Chiara, che definisce giuridicamente la vita monastica a San Damiano, la cosa che più impressiona è la nuova concezione di clausura e di silenzio. Infatti, mentre nella Regola del Cardinal Ugolino, applicata a tutti gli ordini monastici femminili fino ad allora, la clausura è una scelta totale e definitiva che non prevede eccezioni di alcun tipo e soprattutto è strettamente legata alla verginità, per Chiara la clausura non è un valore in sé e non si lega alla verginità. Nella Regola di Chiara infatti, pur mantenendo le condizioni in cui sono prescritte le norme della chiusura del monastero, non si concepisce la clausura perpetua infatti: “non è più lecito uscire fuori dal monastero, senza un utile, ragionevole, manifesto e approvato motivo.” (Regola di S. Chiara, 13-14)
Perciò, secondo Chiara ci può essere, oltre alla fondazione di un altro monastero, un utile, ragionevole e manifesto motivo per uscire. Inoltre, come si legge dal suo Testamento, quello che più interessa Chiara è l’onestà dello stile di vita della clausura e la povertà “Ammonisco ed esorto nel Signore Gesù Cristo tutte le mie sorelle, presenti e future, che si studino sempre di imitare la via della santa semplicità, dell’umiltà e della povertà ed anche l’onestà di quella santa vita, che vi fu insegnata dal beato padre nostro Francesco fin dal principio della nostra conversione a Cristo.” (Testamento di S. Chiara)
Per quanto riguarda il silenzio, invece, mentre la Regola del Cardinal Ugolino imponeva il silenzio totale, il duplice divieto di parlare e ascoltare, per Chiara il silenzio assume un valore completamente diverso: “Le sorelle osservino il silenzio dall’ora di compieta fino a terza, eccettuate le sorelle che prestano servizio fuori del monastero. Osservino ancora silenzio continuo in chiesa, in dormitorio e in refettorio soltanto quando mangiano. Si eccettua l’infermeria, dove, per sollievo e servizio delle ammalate, sarà permesso alle sorelle di parlare con moderazione. Possano, comunque, sempre e ovunque, comunicare quanto è necessario, ma con brevità e sottovoce.” (Regola di S. Chiara 1-4).
Appare evidente che il silenzio assoluto per Chiara è previsto solo nel refettorio, nel dormitorio e in chiesa. Non solo, ma nella Regola di Chiara decade il divieto di vedere e di essere viste. Infatti, nonostante le grate e il panno dietro ad esse: “A detta grata sia posto un panno che non sia tolto se non quando si predica la divina parola o alcuna parli a qualcuno”. (Regola di S. Chiara, 10)
Al di là di tutte le differenze che si possono trovare tra la Regola scritta da un uomo, il Cardinal Ugolino, e la Regola scritta da Chiara, ciò che interessa è che dallo stile di vita vissuto e proposto da Chiara, emerge come la vita religiosa possa essere non una scelta di reclusione e di mortificazione di sé ma piuttosto una scelta di pienezza di vita. Una vita vissuta appieno, quella di Chiara, che propone la clausura come apertura, il silenzio come ascolto e dialogo.
San Damiano è stata sognata da Francesco e Chiara come una comunità aperta. Così è stato e così è nelle comunità di Clarisse. Dalla clausura Chiara si è aperta al mondo. Dal silenzio, è riuscita a giungere fino ad Agnese di Praga. Attualmente ci sono comunità di Clarisse in tutto il mondo, anche in Nigeria.
Chiara, nonostante la scelta di vita monastica, è riuscita a trovare un modo di essere feconda nell’amore e a lasciare qualcosa di sé.
La scelta di Chiara è stata una scelta di amore nei confronti di Dio e dei fratelli. L’attenzione e l’amore per le Sorelle è stato centrale nella vita di Chiara. Ma anche nei confronti della gente di Assisi o dei popoli più lontani, in ogni caso, ciò che interessava Chiara era la persona. Le relazioni umane profonde.
“Cosa potrei ancora dirti? È meglio che la parola umana rinunci qui ad esprimerti il mio affetto per te; solo l’anima, nel suo linguaggio silenzioso, riuscirebbe a fartelo sentire. E poiché, o figlia benedetta, la mia lingua è del tutto impotente ad esprimerti meglio l’amore che ti porto; queste poche cose che ti ho scritto in modo così imperfetto, quasi dimezzando il pensiero, sono tutto quanto ho potuto dirti. Ti prego, però, che tu voglia ugualmente accogliere queste mie parole con benevolenza e devozione, ascoltando in esse soprattutto l’affetto materno di cui sono ripiena, in ardore di carità, verso di te e delle tue figlie ogni giorno.” (Lettera IV ad Agnese di Praga)



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