martedì, agosto 11, 2009
di Monica Cardarelli

Una delle caratteristiche più affascinanti della vita di Chiara è l’attenzione alla persona umana e alle relazioni profonde. Nonostante Chiara abbia vissuto reclusa nel monastero di San Damiano per 42 anni, è riuscita a trovare dei modi per raggiungere il mondo fuori dal monastero. Chiara ha inventato forme sempre nuove per esprimere il suo amore. Di Chiara ci sono giunti alcuni scritti: la Regola, il Testamento, la Benedizione e alcune lettere. La lettera alla abbadessa Ermentrude di Bruges e solo quattro lettere ad Agnese di Praga, databili con molta probabilità fra il 1234 e il 1253, pochi mesi prima della morte di Chiara. Agnese di Praga, figlia del Re di Boemia Ottocaro, fidanzata all’Imperatore Federico II, alla morte di suo padre, nel 1229, non si era ancora sposata. Agnese si rivolse al papa Gregorio IX che la prosciolse dall’impegno.
Infatti, nel 1232, i frati minori giunti a Praga le avevano parlato di Francesco e di Chiara. Agnese ne rimase colpita e affascinata così, dopo aver fatto costruire un ospedale, fece edificare un monastero e nel 1234 lì venne consacrata. Dopo due mesi il papa la mise a capo della comunità di religiose che aveva fondato e lei volle seguire la forma di vita monastica delle Damianiti.
“All’udire la stupenda fama della vostra santa vita religiosa, sono ripiena di gaudio nel Signore e gioisco. (…) Il motivo è questo: mentre potevate più d’ogni d’altra godere delle fastosità, degli onori e delle dignità mondane, ed anche accedere con una gloria meravigliosa a legittimi sponsali con l’illustre Imperatore, tutte queste cose voi avete invece respinte, e avete preferito con tutta l’anima e con tutto il trasporto del cuore abbracciare la santissima povertà e le privazioni del corpo, per donarvi ad uno sposo di ancor più nobile origine, al Signore Gesù Cristo, il quale custodirà sempre immacolata e intatta la vostra verginità.” (Lettera I, 3, 5-7)
Quando però, nel 1238 Agnese redasse una sua Regola riprendendo la forma di vita a San Damiano, il papa, con il timore che fosse troppo severa e troppo duro per delle donne vivere senza garanzie, non gliela approvò e le propose la Regola di Ugolino, in uso fino ad allora.
Nonostante tutto, Agnese accetta per obbedienza la Regola propostale ma non manca di far rispettare nel suo monastero il proposito della ‘beata povertà’.
“O povertà beata! A chi t’ama e t’abbraccia procuri ricchezze eterne. O povertà santa! A quanti ti possiedono e desiderano, Dio promette il regno dei cieli ed offre in modo infallibile eterna gloria e vita beata. O povertà pia! Te il Signore Gesù Cristo, in cui potere erano e sono il cielo e la terra, (..) si degnò abbracciare a preferenza di ogni altra cosa. È magnifico davvero e degno di lode questo scambio: rifiutare i beni della terra per avere quelli del cielo, meritarsi i celesti invece dei terreni, ricevere il cento per uno e possedere la vita beata per l’eternità” (Lettera I, 15-17; 30)


Al di là degli avvenimenti che hanno unito le due donne nel loro percorso di vita monastica, la cosa che più interessa è la condivisione che si è creata in questa seppur breve corrispondenza di cui ci restano solo le lettere di Chiara.
Da questi scritti emerge il carattere di Chiara, i suoi sentimenti e le sue convinzioni. Anche da queste parole di Chiara si può notare quanto la povertà le stia a cuore come condizione per assimilare la propria vita a quella del Cristo e per avvicinarsi a Lui.
“Le liete notizie del tuo benessere, del tuo stato felice e dei tuoi prosperi progressi nella corsa che hai intrapresa per la conquista del celeste palio, mi riempiono di tanta gioia (…). Davvero posso rallegrarmi, e nessuno potrebbe strapparmi da questa gioia, poiché ho raggiunto quello che ho desiderato sotto il cielo, dal momento che vedo te trionfare in maniera, direi, terribile e incredibile (…). Chi potrebbe, dunque, impedirmi di rallegrarmi per sì mirabili motivi di gaudio? Gioisci, perciò, anche tu nel signore sempre, o carissima. Non permettere che nessun’ombra di mestizia avvolga il tuo cuore (…).” (Lettera III, 3-11)
Quando Agnese deve sottomettersi per obbedienza, come fece Chiara d’altronde prima dell’approvazione della sua Regola che avvenne in punto di morte, a vivere la Costituzione di Ugolino, Chiara cercherà con le sue parole di darle forza per aiutarla a vivere secondo la santa povertà. È interessante come Chiara utilizzi molteplici parole e verbi che richiamano un’azione di movimento: “E giacché una sola è la cosa necessaria, (…) memore del tuo proposito, (…) tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza. I risultati raggiunti, conservali; ciò che fai, fallo bene; non arrestarti; ma anzi, con corso veloce e passo leggero, con piede sicuro, che neppure alla polvere permetta di ritardarne l’andare, cautamente avanza confidente, lieta e sollecita nella via della beatitudine.” (Lettera II, 10-14)
C’è nella vita di Chiara e nella forma monastica che andava delineando una molteplicità di aspetti concreti vissuti nella clausura di San Damiano.
Non è facile immaginare una vita di clausura attiva ma, a ben pensarci, anche la preghiera e la meditazione sono momenti che interessano e investono tutto il proprio essere, dall’anima al corpo, dalle emozioni (Chiara piangeva quando pregava) all’azione di guardare, contemplare. Anche la contemplazione è un’azione attiva, che mette in moto tutto il proprio essere. “Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in colui che è figura della divina sostanza e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di lui. Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici e gusterai la segreta dolcezza che Dio medesimo ha riservato fin dall’inizio per coloro che lo amano.” (Lettera III, 12-14).
Una trasformazione, quindi, che è azione e che procede da un’altra azione, quella di ‘collocare’ gli occhi e il cuore in Cristo. Un amore, quello di Chiara che parte da Dio per giungere a Lui passando attraverso se stesso e i fratelli, attraverso l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. L’amore fraterno è figlio dell’amore di Dio e per Lui. In Chiara questo amore è grande, immenso, indescrivibile con parole ma trasuda da tutto ciò che ci resta di lei: la sua umanità e la sua santità.
“Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a colui, la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo. L’amore di lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma. (…) Ogni giorno porta la tua anima, o regina, sposa di Gesù Cristo in questo specchio e scruta in esso continuamente il tuo volto (…).In questo specchio poi rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità; e questo tu potrai contemplare, con la grazia di Dio, diffuso su tutta la superficie dello specchio. Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe e avvolto in poveri pannicelli. O mirabile umiltà e povertà che dà stupore!” (Lettera IV, 9-20)


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