Sempre più instabile la situazione in Somalia. Più della metà dei parlamentari si trova all’estero o è in fuga dalla guerriglia islamica. L’attività istituzionale è bloccata, dato che le decisioni debbono essere votate almeno dai due terzi dei deputati.
Radio Vaticana - È stato chiesto a tutti di rientrare per approvare lo stato di emergenza, proclamato dal presidente Sheikh Sharif Ahmed alcuni giorni fa, ma la richiesta potrebbe cadere nel vuoto, dato che i fondamentalisti islamici controllano gran parte del Paese. Quale rischio corre dunque la Somalia a causa di questa estrema debolezza istituzionale? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Enrico Casale, esperto di Africa della rivista “Popoli” (ascolta):
R. - Il rischio è che le fragilissime strutture istituzionali somale, create attraverso lunghe trattative, rischino di crollare e lasciare spazio agli shebab, i fondamentalisti islamici che stanno pian piano conquistando tutta la Somalia, sullo stile dell’Afghanistan dei talebani.
D. - Con istituzioni così fragili, come potrà realizzarsi l’aiuto, richiesto proprio dal governo somalo, agli eserciti confinanti?
R. - Un intervento dei Paesi confinanti può essere molto rischioso perché potrebbe infiammare non solo la Somalia, ma l’intero Corno d’Africa. Gli aiuti internazionali sono molto difficili da questo punto, soprattutto se le istituzioni si indeboliscono ulteriormente.
D. - Un infiammarsi della situazione quali conseguenze potrebbe avere nei rapporti internazionali?
R. - Già l’attuale situazione va a danno dei Paesi occidentali, favorisce la pirateria nel golfo di Aden. Diverso sarebbe il caso in cui dovessero prendere il potere gli shebab: probabilmente, instaurerebbero un governo fondamentalista islamico, che sarebbe certamente un governo non democratico, ma più stabile. È chiaro che uno Stato di questo tipo potrebbe diventare il rifugio per i fondamentalisti di tutto il mondo, in particolare per quei fondamentalisti legati ad Al Qaeda, che sono in fuga dal Pakistan e dall’Afghanistan e stanno pian piano installandosi nel nord dello Yemen ed in Somalia.
Radio Vaticana - È stato chiesto a tutti di rientrare per approvare lo stato di emergenza, proclamato dal presidente Sheikh Sharif Ahmed alcuni giorni fa, ma la richiesta potrebbe cadere nel vuoto, dato che i fondamentalisti islamici controllano gran parte del Paese. Quale rischio corre dunque la Somalia a causa di questa estrema debolezza istituzionale? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Enrico Casale, esperto di Africa della rivista “Popoli” (ascolta):R. - Il rischio è che le fragilissime strutture istituzionali somale, create attraverso lunghe trattative, rischino di crollare e lasciare spazio agli shebab, i fondamentalisti islamici che stanno pian piano conquistando tutta la Somalia, sullo stile dell’Afghanistan dei talebani.
D. - Con istituzioni così fragili, come potrà realizzarsi l’aiuto, richiesto proprio dal governo somalo, agli eserciti confinanti?
R. - Un intervento dei Paesi confinanti può essere molto rischioso perché potrebbe infiammare non solo la Somalia, ma l’intero Corno d’Africa. Gli aiuti internazionali sono molto difficili da questo punto, soprattutto se le istituzioni si indeboliscono ulteriormente.
D. - Un infiammarsi della situazione quali conseguenze potrebbe avere nei rapporti internazionali?
R. - Già l’attuale situazione va a danno dei Paesi occidentali, favorisce la pirateria nel golfo di Aden. Diverso sarebbe il caso in cui dovessero prendere il potere gli shebab: probabilmente, instaurerebbero un governo fondamentalista islamico, che sarebbe certamente un governo non democratico, ma più stabile. È chiaro che uno Stato di questo tipo potrebbe diventare il rifugio per i fondamentalisti di tutto il mondo, in particolare per quei fondamentalisti legati ad Al Qaeda, che sono in fuga dal Pakistan e dall’Afghanistan e stanno pian piano installandosi nel nord dello Yemen ed in Somalia.
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