Medici rifiutano l'eutanasia per una donna in coma vegetativo
I dottori si appellano alla Corte suprema. I parenti chiedono la sospensione di alimentazione e ventilazione. Sarebbe il primo caso di eutanasia legale. Il Severance hospital rifiuta di attuare la sentenza della corte distrettuale di Seoul. Il responsabile della Korean Christian Bioethics Association: la decisione del tribunale è “affrettata e ambigua”.
Seoul (AsiaNews) – Medici sudcoreani si appellano alla Corte suprema per fermare l’eutanasia di una donna di 75 anni, che si trova in coma vegetativo. Il Severance hospital di Sinchon-dong rigetta la decisione della corte distrettuale di Seul che avalla la richiesta di sospendere il nutrimento e la ventilazione avanzata dai familiari. “Questa è una questione che riguarda la vita, e richiede il massimo della prudenza” ha affermato il direttore dell’ospedale Park Chang-Il. Il pronunciamento del la Corte distrettuale è del 28 novembre e si tratta del primo caso nel Paese in cui una corte approva l’esecuzione dell’eutanasia su un paziente.
La vicenda di Kim, questo il nome con cui è identificata la donna, è iniziata il 16 febbraio 2008 quando è entrata in coma vegetativo dopo un arresto cardiaco avvenuto durante un’endoscopia ai bronchi. A fine maggio i parenti di Kim hanno chiesto al Severance di sospendere l’alimentazione e la ventilazione della donna, ma i medici hanno rifiutato la domanda. I familiari si sono allora rivolti alla corte di Seul chiedendo di ingiungere la sospensione del trattamento. Il 4 dicembre la dirigenza del Severance ha infine dichiarato di voler attendere il 17 dicembre, termine posto dalla corte di Seoul per eseguire l’eutanasia, prima di prendere qualsiasi iniziativa.
La legge sudcoreana vieta l’eutanasia. Prima della vicenda della clinica di Sinchon-dong altri tre casi avevano sollevato il dibattito nell’opinione pubblica. Nel 2007 un medico aveva tolto il respiratore che teneva in vita una donna affetta da cirrosi epatica: arrestato aveva affermato di aver rispettato una richiesta della paziente. Sempre l’anno scorso un padre aveva fatto lo stesso con il figlio in coma e la pena comminatagli era stata poi sospesa. Tre anni prima due medici dell’ospedale avevano interrotto i trattamenti ad un uomo affetto da emorragia cerebrale, su richiesta della famiglia. Allora la corte di Seoul aveva dichiarato ammissibile l’eutanasia “se questa era stata richiesta dal paziente”.
Il giudice Kim Cheon-soo, firmatario della sentenza, auspica che la decisione della corte di Seoul venga attuata dai medici della Severance confidando nell’ispirazione religiosa dell’ospedale, fondato nel 1885 da missionari protestanti. Secondo il giudice la decisione non promuove l’esecuzione dell’eutanasia e afferma che “medici della Seoul National University Hospital e l’Asan medical center confermano che la donna potrà sopravvivere tre quattro mesi al massimo. In queste condizioni ulteriori trattamenti sono senza senso”.
Il sacerdote protestante Lee Sang-won, responsabile della Korean Christian Bioethics Association, afferma che la decisione della corte di Seoul è “affrettata e ambigua”e può essere applicata “solo ai pazienti cui è stata diagnosticata la morte cerebrale”. Per Lee una persona in coma vegetativo non può essere considerata “senza speranza di recupero”. (continua a leggere)
I dottori si appellano alla Corte suprema. I parenti chiedono la sospensione di alimentazione e ventilazione. Sarebbe il primo caso di eutanasia legale. Il Severance hospital rifiuta di attuare la sentenza della corte distrettuale di Seoul. Il responsabile della Korean Christian Bioethics Association: la decisione del tribunale è “affrettata e ambigua”.
Seoul (AsiaNews) – Medici sudcoreani si appellano alla Corte suprema per fermare l’eutanasia di una donna di 75 anni, che si trova in coma vegetativo. Il Severance hospital di Sinchon-dong rigetta la decisione della corte distrettuale di Seul che avalla la richiesta di sospendere il nutrimento e la ventilazione avanzata dai familiari. “Questa è una questione che riguarda la vita, e richiede il massimo della prudenza” ha affermato il direttore dell’ospedale Park Chang-Il. Il pronunciamento del la Corte distrettuale è del 28 novembre e si tratta del primo caso nel Paese in cui una corte approva l’esecuzione dell’eutanasia su un paziente.La vicenda di Kim, questo il nome con cui è identificata la donna, è iniziata il 16 febbraio 2008 quando è entrata in coma vegetativo dopo un arresto cardiaco avvenuto durante un’endoscopia ai bronchi. A fine maggio i parenti di Kim hanno chiesto al Severance di sospendere l’alimentazione e la ventilazione della donna, ma i medici hanno rifiutato la domanda. I familiari si sono allora rivolti alla corte di Seul chiedendo di ingiungere la sospensione del trattamento. Il 4 dicembre la dirigenza del Severance ha infine dichiarato di voler attendere il 17 dicembre, termine posto dalla corte di Seoul per eseguire l’eutanasia, prima di prendere qualsiasi iniziativa.
La legge sudcoreana vieta l’eutanasia. Prima della vicenda della clinica di Sinchon-dong altri tre casi avevano sollevato il dibattito nell’opinione pubblica. Nel 2007 un medico aveva tolto il respiratore che teneva in vita una donna affetta da cirrosi epatica: arrestato aveva affermato di aver rispettato una richiesta della paziente. Sempre l’anno scorso un padre aveva fatto lo stesso con il figlio in coma e la pena comminatagli era stata poi sospesa. Tre anni prima due medici dell’ospedale avevano interrotto i trattamenti ad un uomo affetto da emorragia cerebrale, su richiesta della famiglia. Allora la corte di Seoul aveva dichiarato ammissibile l’eutanasia “se questa era stata richiesta dal paziente”.
Il giudice Kim Cheon-soo, firmatario della sentenza, auspica che la decisione della corte di Seoul venga attuata dai medici della Severance confidando nell’ispirazione religiosa dell’ospedale, fondato nel 1885 da missionari protestanti. Secondo il giudice la decisione non promuove l’esecuzione dell’eutanasia e afferma che “medici della Seoul National University Hospital e l’Asan medical center confermano che la donna potrà sopravvivere tre quattro mesi al massimo. In queste condizioni ulteriori trattamenti sono senza senso”.
Il sacerdote protestante Lee Sang-won, responsabile della Korean Christian Bioethics Association, afferma che la decisione della corte di Seoul è “affrettata e ambigua”e può essere applicata “solo ai pazienti cui è stata diagnosticata la morte cerebrale”. Per Lee una persona in coma vegetativo non può essere considerata “senza speranza di recupero”. (continua a leggere)
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