Così mons. Rino Fisichella nel 40.mo dell’Enciclica "Humanae vitae" di Papa Montini.RadioVaticana - Sul significato e l’attualità della Enciclica Humanae vitae, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione dell’arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e rettore della Pontificia Università Lateranense:
R. - Paolo VI ha voluto portare a compimento un desiderio che era stato espresso dal Concilio Vaticano II. Anzitutto, quindi, dobbiamo vedere la continuità nell’insegnamento dell’Humanae vitae con quello che i padri al Concilio avevano richiesto. I padri conciliari avevano chiesto che venisse dato un insegnamento su quella che deve essere una onesta regolazione della procreazione. L’insegnamento dell’Humanae vitae recupera in profondità - a mio avviso - due principi fondamentali. Il primo è quello della legge naturale, che è il vero riconoscimento dell’uguaglianza tra le persone, nel rispetto dell’ordine della natura, senza ricorrere a delle tecniche. La trasmissione della vita può essere data in piena libertà e può essere data come un gesto di autentico amore. Il secondo principio, mi sembra che sia quello di un richiamo ad una profonda responsabilità. Non dimentichiamo che l’Humanae Vitae parla di paternità e di maternità responsabili e quindi si tratta di una scelta non lasciata al caso, ma una scelta di libertà ed una scelta di responsabilità di prepararsi a diventare genitori. Da questo punto di vista, io credo che - pur combattuto - quell’insegnamento sia stato grandemente lungimirante.
D. - Né va di dimenticato l’anno in cui fu pubblicata, il 1968: un atto di grande coraggio di Papa Montini che visse con sofferenza le tante contestazioni a questo documento, ma non si tirò indietro…
R. - Prima della pubblicazione dell’Humanae vitae, ci fu una Commissione che Paolo VI volle convocare perché studiasse in profondità il problema. Questa Commissione arrivò con un duplice documento: un documento di maggioranza e un documento di minoranza. Paolo VI rifletté molto e poi, nella solitudine che caratterizza la vita di ogni Pontefice e soprattutto in momenti così drammatici quando bisogna compiere delle scelte, scelse - e non poteva fare altrimenti, a mio avviso - di promulgare un insegnamento che fosse in piena continuità con quello che sempre e dovunque la Chiesa aveva creduto e aveva attestato. Non si deve dimenticare quello che questa data, il 1968, significa: l’Humanae Vitae fu subito assunto come un segno di contraddizione. Ma il Papa ha ribadito - con grande coraggio, credo anzi con un coraggio ineguagliabile - la continuità della tradizione, la continuità della dottrina e soprattutto ha esplicitato un principio fondamentale: la verità non è data dalla maggioranza, la verità è data dalla fedeltà al Vangelo e all’insegnamento della Chiesa. L’uomo è pienamente se stesso quando è recepito in una unità profonda; non si può staccare l’anima dal corpo, non si può staccare la vita e l’esperienza sessuale da quella che è una esperienza di amore. E questo perché se si crea questa dicotomia, se non c’è più una unità profonda, allora viene meno anche il valore della persona, il corpo diventa un oggetto e il partner della relazione diventa soltanto uno strumento per il proprio egoismo. Questo, però, non è giusto.
D. - L’Humanae vitae indica il pericolo di una invadenza della tecnica nella sfera più intima della vita umana. In questo Paolo VI è stato profetico?
R. - Non soltanto è stato profetico, ma oggi questo insegnamento è stato ripreso in maniera quanto mai inequivocabile anche da molti scienziati e da molti filosofi, che hanno valorizzato pienamente questo contenuto e proprio alla luce delle scoperte tecnologiche e scientifiche. Permangono dunque con una profonda verità i fondamenti antropologici, i fondamenti etici alla base dell’Humanae Vitae: la dignità della persona, la libertà dei propri gesti sempre e dovunque e la responsabilità che li deve caratterizzare. La scienza giustamente deve fare dei progressi, ma quando tocca la vita umana deve tener presente e rispettare sempre che la vita è un dono e che ognuno di noi è debitore della propria vita ad un Altro.
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