Visualizzazione post con etichetta Fabio Vitucci. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Fabio Vitucci. Mostra tutti i post
giovedì, gennaio 13, 2011

Israele, ora basta!

L’attacco alla Freedom Flotilla è stato solo una delle tante, terribili violazioni dei diritti umani da parte di Israele: Angela Lano, che era a bordo di una delle navi umanitarie della Flotilla, racconta nel suo libro “Verso Gaza” quei terribili momenti, dandoci lo spunto per tante riflessioni

del nostro Fabio Vitucci

31 maggio 2010, ore 4.30 del mattino, acque internazionali: parte il violento attacco dell’esercito israeliano alla Freedom Flotilla, una flotta composta da 8 navi e oltre 800 volontari e giornalisti che stanno portando beni di prima necessità nella Striscia di Gaza, ridotta ormai alla fame dall’embargo israeliano. Un attacco premeditato, organizzato fin nei minimi particolari, compresa una propaganda che immediatamente ha provato a descrivere il carico umanitario come una banda di terroristi pronti a portare chissà quale pericolo alla nazione israeliana.
... (continua)
martedì, dicembre 28, 2010

La Chiesa di Carta… ma ben solida!

Un’analisi della figura del vaticanista nella stampa italiana, un’attenta descrizione dell’importanza della comunicazione per la Chiesa, un confronto tra i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: tutto questo, e molto di più, è “La Chiesa di Carta”, l’opera scritta a quattro mani per le Edizioni Paoline da Rodolfo Lorenzoni e Ferdinando Tarsitani, che hanno intervistato i più grandi vaticanisti italiani

del nostro Fabio Vitucci

Come sottolineato nella prefazione del libro da Joaquin Navarro Valls, per anni direttore della Sala Stampa del Vaticano, c’è stato nell’ultimo ventennio un “ritorno della religione sulla scena pubblica”, e di questo va dato merito anche ai giornalisti che seguono il Papa nella sua attività e raccontano alla gente comune le questioni fondamentali della vita della Chiesa. Una Chiesa, come emerge dalle risposte date dai più grandi vaticanisti italiani a Rodolfo Lorenzoni e Ferdinando Tarsitani per la loro opera "La Chiesa di Carta", che sta attraversando un grosso momento di difficoltà, ma che sta al tempo stesso cercando di uscirne con trasparenza e amore verso Cristo e verso il popolo: la strada intrapresa è quella giusta - sottolineano i vaticanisti - e renderà più forte il rapporto tra il Papato e i fedeli.
... (continua)
mercoledì, ottobre 06, 2010

Don Marcello Cozzi e la lotta alle mafie

Il nostro Fabio Vitucci intervista oggi don Marcello Cozzi, prete lucano famoso per le sue lotte contro le Mafie e responsabile regionale di Libera, una delle maggiori associazioni italiane antimafia. Autore di diversi libri, tra cui “Quando la mafia non esiste - Malaffare e affari della mala in Basilicata”, don Marcello è impegnato da anni nelle piazze e tra la gente, soprattutto tra i più giovani, per denunciare le organizzazioni malavitose e creare una nuova cultura, perché, come dice spesso, “la lotta alla mafia non è più militare, ma sociale e culturale”.

D - Buongiorno don Marcello, e grazie per averci concesso quest’intervista. Innanzitutto, come è nata in lei questa spinta e questo impegno nella lotta alle Mafie? C’è stata qualche figura che l’ha ispirata o qualche modello al quale si è rifatto? Quale il ruolo della fede in questo suo percorso?
R – E’ tutto iniziato da un incontro, o meglio da più incontri. Dal colloquio con un ragazzo tossico, dall’ascolto di una storia di usura, dall’incontro con un commerciante che pagava il pizzo; si è trattato di scendere nelle profondità delle loro confidenze, di capire cosa c’era dietro, di rendersi conto, cioè, che spesso c’è gente che specula sul dolore degli altri facendolo diventare funzionale ai propri interessi. Spesso tutto questo si chiama malaffare o peggio ancora criminalità. Quando poi accade, come in queste tre storie, che quell’affare è affare di mafia, allora ti rendi conto che accogliere il dolore di chi è sfruttato significa inevitabilmente combattere e denunciare i mafiosi che lo sfruttano.

D - Lei parla spesso di deriva della legalità in Italia, alla quale ci stiamo tutti assuefacendo. Qual è il modo concreto di combatterla e di denunciare la mancanza di democrazia che si sperimenta in varie situazioni?
R – Non adeguandoci ad una cultura che sempre più vuol far passare come lecito tutto ciò che invece fino a poco tempo fa veniva considerato illegale. Ci sono reati in Italia che anni fa non potevano essere perseguiti perché non prescritti dal codice penale, oggi invece non possono essere perseguiti perché sistematicamente cancellati come reati da provvedimenti legislativi fatti ad hoc. Si tratta di alimentare invece la cultura della partecipazione democratica, della responsabilità e della consapevolezza. Il non esserci, il rinchiuderci rassegnati ognuno nel proprio mondo, non fa altro che aumentare la logica della delega, e oggi questo non è più possibile: dobbiamo sentirci tutti responsabili del percorso che facciamo senza fare sconti a nessuno. Quando si tratta della difesa della legalità e della promozione della giustizia non si può guardare in faccia a nessuno, neanche se sono tuoi compagni di strada.

D - Come possono i giovani essere “sentinelle di legalità” e vigilare contro le Mafie, contro i poteri forti, contro i poteri segreti? Non è un compito troppo difficile per loro?
R – E’ sufficiente essere quel che sono dentro, cioè persone libere. Hanno un potenziale da questo punto di vista che il mondo degli adulti spesso ha perso per strada; hanno una specie di purezza originaria che permette loro quella radicalità e quella passione che sono lo spauracchio di tutti i poteri criminali.

D - Ci racconta le prossime iniziative di Libera a favore della lotta antimafia e soprattutto riguardo alla formazione giovanile?
R – A Potenza e in Basilicata si svolgerà il 21 marzo del prossimo anno la XVI Edizione della giornata nazionale della memoria e dell’impegno. Un’iniziativa che porterà in Basilicata gente da tutta Italia, il meglio della lotta alle mafie e ai poteri forti, per dire che se in Basilicata c’è qualcosa che non va, c’è però anche un positivo che è molto più esteso e che bisogna far venir fuori. Ovviamente da oggi in poi ci saranno in questi mesi tanti incontri di preparazione sul territorio nei quali sarà coinvolto anche il nostro mondo giovanile.

D - Don Peppe Diana (ucciso dalla camorra) e Don Pino Puglisi (ucciso dalla mafia) con il loro sacrificio hanno strappato dalle braccia della criminalità molti giovani, e per questo hanno pagato con la vita. Cosa resta oggi del loro esempio?
R – Resta la loro normalità e il fatto che sono due esempi concreti di come la quotidianità può sconfiggere le mafie. Se la normalità la si vive come hanno fatto loro senza mai abbassare la testa e stando sempre dalla parte degli ultimi e degli sfruttati allora quella normalità diventa straordinarietà e santità. Ma è sempre normalità.

D - In Basilicata 200 condannati per mafia su una popolazione di 580mila abitanti, e casi sconcertanti come quello di Elisa Claps o dei fidanzatini di Policoro: quali sono le cause maggiori? La mancanza di una cultura di legalità? La paura verso il potere criminale? L’assenza dello Stato?
R – E’ difficile rispondere con poche parole, si potrebbe però solo accennare ad una sorta di sottovalutazione di certi fenomeni che da sempre caratterizza la nostra regione; una specie di distrazione di massa che non sempre ha aiutato e aiuta le persone a capire che cosa accade intorno. Per carità, in questa regione non c’è assolutamente quell’allarme sociale che invece si respira in Calabria o in Campania, ma mi chiedo, per quale motivo dovremmo pensare che questa terra sia immune da quei problemi che purtroppo affliggono le regioni a noi confinanti? Ripeto, fortunatamente qui non c’è quella situazione difficile che si respira in quei territori, ma perché far finta che qualche problema, e anche serio, non esiste anche nella nostra regione?

D – Quali sono i risultati più importanti che ha ottenuto nella sua lotta alla criminalità, in particolar modo in Basilicata? Ci può raccontare qualche caso “virtuoso”?
R – Anche qui non basterebbero poche parole, ma ogni persona che strappiamo all’abbraccio mortale degli strozzini, quei ragazzi che talvolta riusciamo a togliere alla seduzione delle sostanze stupefacenti, quelle donne che aiutiamo a fuggire dal mercato del sesso, ed infine i familiari di quanti hanno subito ingiustizie e a distanza di tanti anni ancora non hanno avuto giustizia, è tutta gente che strappiamo agli affari criminali ed è gente che restituiamo alla speranza. E questa è già una vittoria.

D - Quando ha ricevuto delle minacce, come per esempio nel caso dei due proiettili in Prefettura indirizzati a lei, come ha reagito? Paura, incredulità, rassegnazione?
R – Incoraggiamento ad andare avanti. Quando fanno così vuol dire che sei sulla strada giusta, che hanno paura di te, che sono deboli. Altro che rassegnazione, sono loro che devono rassegnarsi: finché portano avanti i loro affari sporchi noi saremo lì a contrastarli. Senza mai un passo indietro.

D - Lei dice sempre che quando ci sono iniziative pubbliche contro la mafia, quando si fanno nomi e cognomi, quando la gente scende in piazza per manifestare, il potere criminale ha paura. Questo può aiutare a sconfiggere le organizzazioni malavitose?
R – In mente porto sempre con me una frase di Roberto Saviano, l’autore di Gomorra: "Quando varchi la linea del silenzio e incidi sulla coscienza di molti, è allora che fai paura al potere criminale”. Ne sono convinto; loro hanno paura di noi, e tanta paura. Ma questo, è ovvio, non basta, e allora bisogna tutti insieme rimboccarci le maniche, unire i nostri percorsi e trasformare le parole della denuncia nella carne dell’impegno; se ci riusciamo abbiamo fatto già un gran passo avanti.

Grazie per la sua disponibilità, don Marcello, e soprattutto per la sua continua testimonianza, fonte di speranza per molti e segno di una Chiesa che è vicina alla gente e lotta per la libertà e la legalità.

... (continua)
venerdì, agosto 13, 2010

C’è aria di una nuova primavera

La riflessione di don Marcello Cozzi, referente di Libera per la Basilicata e impegnato da anni nella lotta alle Mafie, in un incontro a Melfi sulla legalità

di Fabio Vitucci

“In Italia non stiamo certo vivendo un bel momento… ma nelle città, nei paesini, tra i giovani, c’è un bel fermento”, queste le prime parole dell’intervento di don Marcello Cozzi durante il convegno ‘Percorsi di Legalità’ organizzato dal movimento politico-culturale ‘Liberi di Esserci’ nella splendida cornice del palazzo vescovile di Melfi (Pz). Un incontro dedicato soprattutto ai giovani, quei giovani che “non si arrendono ad una lenta ma inesorabile deriva della legalità” e che invece di quella legalità vogliono essere addirittura sentinelle.

La serata si è aperta con la relazione introduttiva di Pietro Monico, presidente di ‘Liberi di Esserci’, che ha raccontato la sua passione e il suo impegno per la legalità, da quando, a soli 9 anni, ascoltò alla radio il resoconto dell’attentato a Paolo Borsellino. E da lì la sua scelta di studiare Legge, la sua attività nel comitato “Falcone e Borsellino” di Foggia e la creazione di questo movimento nella sua città natale.

Paolo Palumbo, uno dei fondatori di A.MI.C.A., l’Associazione per il MIglioramento delle Condizioni Ambientali, ha testimoniato invece l’attività del suo gruppo a Palazzo San Gervasio, paesino lucano anch’esso inquinato dalle organizzazioni mafiose, ed in particolare da Antonio Sciarra, malavitoso locale al quale la Giustizia ha confiscato beni e proprietà. “E nonostante questo – ha raccontato – è stato difficilissimo ottenere la disponibilità di queste proprietà come previsto dalla Legge: gli amministratori locali preferivano lasciare gli immobili in stato di abbandono pur di non fare uno sgarro ad Antonio Sciarra”. Ma dopo dure lotte, e grazie anche all’impegno di don Marcello, A.MI.C.A. ce l’ha fatta ed ha ottenuto una palazzina da destinare ai lavoratori stagionali extra-comunitari, sfruttati ogni anno e senza un posto dignitoso dove vivere. “Oggi per noi è importante soprattutto poter fare il nome dei malavitosi senza paura. Mi raccomando, ragazzi che tenete a cuore la legalità: andate avanti e non fermatevi mai nel vostro impegno!”.

Don Marcello Cozzi, autore del libro-denuncia ‘Quando la mafia non esiste - Malaffare e affari della mala in Basilicata’, ha chiuso la serata col suo intervento, più volte interrotto dagli applausi del pubblico: “E’ inutile nascondersi, in Italia ci stiamo assuefacendo alla mancanza di legalità: reati che spariscono, reati che non possono essere perseguiti, senatori e deputati condannati per mafia, da Cuffaro a Dell’Utri a Cosentino. Per fortuna però c’è un intero esercito di giovani che hanno voglia di fare, che hanno voglia di non abbattersi, che sanno di dover essere sentinelle di legalità. C’è aria di una nuova primavera: lo vedo nelle iniziative di Libera, l’ho visto nella manifestazione a Potenza dopo il ritrovamento del corpo di Elisa Claps, lo scorso 20 marzo, con 10mila persone in piazza. Ormai la lotta alla mafia non è più militare, ma sociale e culturale!”. E come un fiume in piena, don Marcello ha proseguito: “Bisogna vigilare, bisogna ricordare che la Mafia delle Parole è una delle forme mafiose peggiori: ormai ci fanno credere che ‘archiviare’, ‘ prescrivere’ e ‘assolvere’ sia la stessa cosa, ma non è così! Dobbiamo lottare, altrimenti in Italia perderemo il concetto di democrazia, e già ora c’è un forte deficit, come hanno ricordato qualche giorno fa i Vescovi parlando di un paese senza classe dirigente”.

Parole forti quelle di don Marcello, che hanno fatto tremare le mura del palazzo vescovile, soprattutto quando ha ricordato che è necessario fare nomi e cognomi, ricordare che Andreotti non è stato assolto ma il suo reato è caduto in prescrizione, che non esistono “gradazioni di mafiosità” ma si è “mafiosi e basta”, che a Melfi bisogna opporsi alla faida tra le famiglie Cassotta e Delli Gatti che continua ad insanguinare la città… “Deve sì far paura la mafia, ma anche i poteri forti, i poteri segreti, certi settori deviati dello Stato, quella politica che va a braccetto con la mafia”. E noi dobbiamo vigilare e denunciare, perché, come ha detto Saviano, minacciato di morte come lo stesso don Marcello, “è quando varchi la linea del silenzio, e raggiungi molti, che incidi. È allora che fai paura al potere criminale.” E questi giovani, ne siamo sicuri, fanno già paura a molti malavitosi.
... (continua)
giovedì, giugno 17, 2010

Palestina: lo Stato impossibile?

Recensione del libro di Gianluca Mazzini edito da Edizioni Paoline da parte del nostro Fabio Vitucci

Una guerra che dura da quasi un secolo e che non vede via d’uscita: questo è il conflitto tra Israele e Palestina, risalito recentemente alle cronache a causa dell’assalto “assassino” dell’esercito israeliano alla Freedom Flottiglia che cercava di portare aiuti umanitari nella striscia di Gaza. Il libro del giornalista Gianluca Mazzini ripercorre le ragioni storiche e politiche dell’attuale situazione in Palestina, iniziata con la decisione del movimento sionista di creare uno stato israeliano in Terra Santa nel 1948. Da allora, lo scontro religioso, civile e culturale tra Israele e Palestina non ha conosciuto soste: da una parte la politica espansionistica degli ebrei, che hanno riversato sui palestinesi secoli di vessazioni e violenze subite, dall’altra la risposta del popolo musulmano a colpi di attentati e terrorismo.

E così nelle pagine del libro si passa, senza mai intravedere davvero uno spiraglio per una pace solida, da Ben Gurion ad Arafat, da al’Fatah alle colonie ebraiche, dalla prima Intifada ai trattati di Camp David fino al muro israeliano… I problemi rimangono sempre irrisolti, in particolare tre punti che ancora oggi bloccano qualsiasi tentativo di accordo: il diritto al rientro dei profughi palestinesi costretti alla fuga in diversi momenti storici, gli insediamenti dei coloni ebrei e la questione di Gerusalemme, la città Santa contesa da tutti. L’unica soluzione sensata sembra la nascita di due Stati distinti, o di uno Stato bi-nazionale, ma Israele non ne vuole assolutamente sentir parlare… La nazione ebraica fra l’altro non si rende conto che l’attuale situazione porterà inesorabilmente alla fine dello stesso stato di Israele, visto che il tasso demografico palestinese è di gran lunga superiore a quello ebreo e il tentativo, ormai nemmeno tanto velato, di avere solo il popolo giudaico in Palestina è destinato a fallire. E non basterà certo un muro a bloccare questa tendenza...

E’ incredibile constatare come la Comunità Internazionale sia sempre stata inerme di fronte a tale escalation di violenza: in barba alle tante risoluzioni ONU, lo Stato di Israele continua a violare quotidianamente i diritti di un popolo, e i palestinesi non hanno trovato di meglio da fare negli anni che combattere al proprio interno varie guerre civili (tra popolo e dirigenti, tra vecchi dirigenti espatriati e nuovi dirigenti locali, tra al’Fatah e Hamas…) e ricorrere solo ad attentati terroristici per far valere le proprie ragioni.

Sconcertanti sono gli ”appunti di viaggio” che l’autore ci regala nel libro ad intervallare la ricostruzione storica, appunti che mostrano tutta una serie di situazioni umane inaccettabili per il mondo civile, sia esso occidentale o orientale: l’embargo della Striscia di Gaza, il Muro costruito da Israele, tanti luoghi al limite della crisi umanitaria…

Il testo analizza con dovizia di particolari anche i vari accordi di pace, puntualmente naufragati, le colpe evidenti degli Stati Uniti, “protettori” di Israele, i movimenti pacifisti, soprattutto femminili, presenti nelle due realtà in lotta, i legami e le tensioni di Israele con tutto il mondo mediorientale… Purtroppo ciò che emerge chiaramente dalle parole di Gianluca Mazzini è una situazione ancora più radicalizzata negli ultimi anni, a causa da una parte delle forti pressioni della destra sui governi israeliani e dall’altra delle posizioni terroristiche di Hamas. L’autore è convinto che si stia andando verso un punto di auto-distruzione, e la speranza è che sia gli israeliani che i palestinesi si rendano presto conto che la pace è necessaria, se non per spirito di fratellanza universale, almeno per la loro sopravvivenza…
... (continua)
sabato, giugno 05, 2010

Costituzione, cattolici e politica: intervista a Stefano Ceccanti

L’on. Ceccanti ha discusso con noi su tante questioni di attualità (clicca qui per ascoltare l’intervista audio)

del nostro Fabio Vitucci

Siamo qui oggi con l’on. Ceccanti. Innanzitutto la ringrazio, a nome della redazione e di tutti i lettori de La Perfetta Letizia, per il tempo che mette a disposizione della nostra rivista. Noi siamo una piccola rivista cattolica on line, anche se ci piace ricordare sempre che Google ci indicizza come la prima rivista cattolica in Italia. Per noi è un piacere parlare con un Senatore della repubblica Italiana, per di più cattolico. E sarà proprio a queste sue diverse anime che ci rivolgeremo in questa intervista, A me poi, da più di 25 anni tesserato di Azione Cattolica, piace ricordarla come presidente della FUCI. Sappiamo inoltre che è professore ordinario di diritto pubblico comparato presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università "La Sapienza", presidente del Comitato Scientifico dell'associazione ulivista "Libertà Eguale" e promotore dell'Associazione "Qualelaicità".

D - Ma partiamo rivolgendoci al Ceccanti costituzionalista: cosa pensa dell’ultima querelle su intercettazioni, libertà di stampa e violazione dei principi costituzionali?
R – Noi dobbiamo partire da questo: l’attuale status quo che consente dei fenomeni di gogna mediatica di varie persone, sia che siano imputati, sia che non centrino niente, è accettabile oppure no? Evidentemente no. Quindi c’è un problema oggi, senza cambiare le norme, di violazione del diritto alla privacy. Ciò detto, la maggioranza ha iniziato questo percorso in nome del diritto della privacy cercando però di scardinare del tutto le intercettazioni. E quindi ha messo tali e tanti limiti alle intercettazioni che il testo originario finiva in qualche modo per avere l’effetto opposto: garantiva la privacy e colpiva la sicurezza dello Stato. Questo al di là del problema dei media, perché secondo me quello dei media è un problema un po’ artificioso, perché tutti i limiti che si possono mettere ai media, per come funzionano oggi i meccanismi di comunicazione, sono aggirabili: un blog messo in India, o El Pais in Spagna com’è capitato per alcune foto, può tranquillamente pubblicare. Il problema vero è avere dei vincoli serissimi per il rispetto del segreto istruttorio da parte dei magistrati, cioè ci deve essere un sistema per cui le notizie non devono uscire alla radice, e non limitare le intercettazioni. Se è così, ci teniamo dentro la Costituzione, garantendo simultaneamente la sicurezza dello Stato e la privacy.

D - A proposito proprio della Costituzione, ormai bistrattata da più parti: lei pensa che alcuni articoli della Costituzione debbano essere cambiati, o pensa che i principi fondamentali della Costituzione possano valere anche oggi in una società in continua evoluzione?
R - Ecco, anche qui ci sono dei rischi opposti: alcuni si mettono a fare un revisionismo dei principi, o della prima parte… Ora, è vero che se noi dovessimo oggi scrivere la prima parte, scriveremmo probabilmente alcune cose in maniera diversa… per esempio oggi c’è una diversità sensibilità ambientale, e ci scriveremmo direttamente diritto all’ambiente. Però la corte Costituzionale su questi aspetti e principi fa lei l’integrazione. Che cos’ha detto per esempio sull’ambiente? Esiste una tutela della salute ed esiste una tutela del paesaggio: sommati, danno il diritto all’ambiente, senza bisogno di ritoccare la Costituzione. Abbiamo fatto qualche limitato e giusto intervento sulla prima parte per eliminare la pena di morte anche nel codice penale militare di guerra, o per garantire le pari opportunità uomo-donna perché la Corte aveva detto che l’articolo 3 le proteggeva solo in ambito socio-economico. Ma ciò detto, in linea generale nella prima parte non emergono particolari necessità di modifica. Ci sono invece delle necessità di modifiche sulla seconda parte: primo, perché il nostro stato è sorto già in maniera centralistica, e poi è risorto dopo la Seconda Guerra Mondiale in maniera centralistica, per cui le Regioni si sono inserite su uno stato che è rimasto uguale. E poi, anche la riforma dell’articolo 5° che ha cercato di risistemare le cose, non ha toccato però la struttura del Parlamento. Finché non troveremo la modalità per avere i vari territori rappresentati in una seconda camera, e quindi non completiamo il tetto del percorso, la riforma rimane a metà.
E poi c’è l’altro problema: il costituente allora era preoccupato, giustamente, in un paese duramente lacerato, che chi fosse all’opposizione non si sentisse l’opposizione dello Stato e chi fosse al governo non si sentisse lo Stato. E quindi ha creato un sistema di governo debole, che poi nel corso degli anni si è rivelato inadeguato, per cui si è creato una situazione di fatto un po’ confusa in cui il governo si è arrogato dei poteri, per esempio i decreti leggi, le fiducie e così via. Quindi noi dobbiamo riportare il sistema ad una fisiologia simile a quella delle democrazie europee: il cittadino sceglie da chi vuole essere governato per la legislatura, ci sono alcuni diritti stabiliti chiaramente per chi governa e ci sono delle nuove forme di garanzia. Quindi qui ci sono una serie di accorgimenti da fare che possono essere fatti modificando alcuni articoli della Costituzione.

D - Stasera a Pisa lei presiederà un dibattito dal tema “La cultura politica democratica e la sfida del bene comune: società e istituzioni”, incentrato sulla prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani a Reggio Calabria. Come è possibile conciliare i principi cattolici, di cui lei è portatore, con una società laica (e forse ormai laicista) come quella italiana? Come rispettare il pensiero di tutti anche in questioni fondamentali per i cristiani come l’aborto o l’eutanasia?
R - Anzitutto devo dire che quest’anno, meritoriamente, il documento della Settimana Sociale è stato scritto dopo vari incontri tra i parlamentari, mentre nelle scorse edizioni, per paura di divisioni, i parlamentari non erano stati nemmeno invitati. Secondo me, non partiamo da zero neanche in Italia: c’è un lungo percorso di storia del movimento cattolico, anche nel dopoguerra, che ha dimostrato, sia pure con tensioni che sono inevitabili, che è possibile conciliare una forte ispirazione religiosa con una forte tensione unitaria a rappresentare tutti. Infatti anche il documento fa riferimenti molto precisi a figura storiche del movimento cattolico che hanno incarnato queste posizioni.
Ora, per quanto riguarda i nodi che ha citato lei, il nodo dell’aborto non è un problema di legge, cioè non c’è oggi un dibattito sulla modifica della legge dell’aborto, mentre c’è un dibattito su come applicare in modo rigoroso la prima parte della legge 194, che non hai mai configurato l’aborto come un diritto ma l’ha depenalizzato in alcune situazioni cercando di favorire una scelta per la vita. E quindi è aperto tutto il tema delle politiche necessarie a convincere le persone ad una scelta per la vita, rispettando in alcuni casi il limite della depenalizzazione. Su questo, secondo me, meno ci sarà polemica ideologica più sarà facile fare insieme politiche di questa natura.
Per quanto riguarda l’eutanasia, i progressi della scienza medica hanno posto in luce alcune situazioni in cui non è tanto facile discriminare in maniera netta quello che è accanimento terapeutico, che è inaccettabile perché viola la libertà delle persone, da quello che è eutanasia, che è invece inaccettabile perché lo Stato è per la vita delle persone, non per la soppressione della vita. E quindi è chiaro che i giudici, ma anche il legislatore, fanno un po’ fatica ad individuare, caso per caso, che cosa può essere accettato e cosa no. Secondo me però qui dovremmo tutti, cattolici, laici, musulmani, fare uno sforzo di moderazione, per non scambiare i nostri principi con gli strumenti: ci sono dei principi, poi bisogna valutare bene in che ambito rientrano gli strumenti.

D – A proposito di ideologie, un tema sempre sul banco del dibattito italiano è quello dell’intervento della Chiesa su questioni e che riguardano l’intera collettività italiana. Sono immancabili le critiche nei confronti del Vaticano ogniqualvolta che il Papa o la Cei si esprimono su questioni riguardanti la società italiana. Quale deve essere secondo lei, politico e cattolico, il rapporto tra la Chiesa e lo Stato Italiano? E con quale ottica guarda agli interventi del Papa e dei vescovi su questioni che riguardano la società italiana?
R - Io sono ogni volta stupito che si dibatta della legittimità di questi interventi anziché del merito. E’ assolutamente pacifico che in uno stato laico in cui la fede non è ridotta a fatto privato, ma è un elemento pubblico, chiunque interviene e dice cosa crede, si sottomette alla legge del consenso. Per cui, ci sono dei vescovi che vogliono intervenire anche a favore di una determinata legge? Intervengano: se io sono d’accordo, dirò che sono d’accordo; se non sono d’accordo, non trattandosi di materia dogmatica, dirò che non sono d’accordo. Altrimenti rischiamo un meccanismo schizofrenico per cui quando i vescovi intervengono sull’immigrazione, plaude la sinistra e la destra grida all’ingerenza, quando i vescovi parlano dell’aborto, avviene il contrario. La sfera pubblica è fatta di tanti soggetti che intervengono, poi la politica decide.

D - Lei è un esempio virtuoso di un cattolico impegnato in politica: è sempre riuscito a conciliare le sue scelte politiche con la sua 'missione' di cattolico? Ci sono state occasioni in cui ha votato contro le scelte del suo partito, perché lontane dai principi in cui crede?
R - A dir la verità, io faccio il parlamentare dal 2008 e non mi sono mai capitati casi di questo tipo, particolarmente delicati. Abbiamo avuto un passaggio, quello sul testamento biologico… innanzitutto, ci fu il conflitto di attribuzione contro i giudici della Cassazione: il Parlamento non aveva legiferato, mentre i giudici avevano fatto un sentenza che su qualche punto si poteva discutere (per esempio quando ricostruivano induttivamente ex-post la volontà di Eluana Englaro) ma la colpa era del Parlamento che non aveva fatto la legge. Era inutile andare alla Corte Costituzionale contro la Magistratura che aveva deciso perché il Parlamento non aveva deciso niente. E poi noi abbiamo cercato con un ragionamento di emendamenti mirati di evitare l’eutanasia, ma di evitare anche l’accanimento terapeutico. Anche alcuni autorevoli esponenti del centrodestra , particolarmente sensibili alle questioni religiose, hanno sostenuto che il testo uscito dal Senato andava verso l’accanimento terapeutico (cito per tutti l’ex presidente del Senato Pera, che non è sospettabile, almeno in questa fase della sua vita, di deviazioni di tipo laicista).

D - Cosa si sente di suggerire ai cattolici, sempre meno impegnati in politica e sempre più distanti da essa? E lei ha avuto qualche modello che l’ha guidata nella sua carriera politica?
R – Anzitutto, i cattolici potrebbero leggersi questo bel documento sulla Settimana Sociale, che secondo me è un testo di cultura politica molto pregevole, anche per dei non cattolici: ci sono degli spunti di riflessione molto interessanti sul ruolo dello Stato nell’economia, su vari aspetti come l’integrazione degli immigrati, niente affatto scontati.
Per la seconda domanda, direi proprio di sì: essendo io cresciuto nella FUCI, le figura principali di riferimento sono sempre state Alcide De Gasperi e Aldo Moro.

D - Andiamo verso la fine dell’intervista. Come docente universitario, lei è sempre a contatto coi giovani: crede che siano ancora in grado di essere “luce del mondo e sale della terra”, per citare Giovanni Paolo II, o li ritiene privi ormai di valori e di speranze?
R - No, guardi, secondo me il problema dei giovani in questa fase storica è che sono inondati e protagonisti delle più varie proposte di valori. C’è un problema di orientarsi rispetto ad un eccesso di proposte: non c’è un vuoto, c’è un troppo di pieno! E quando c’è un troppo di pieno, per certi versi è ancora più difficile orientarsi e ricostruire un ragionamento coerente.

D - Chiudiamo infine con una domanda sulla recente strage compiuta dall’esercito israeliano sulla flottiglia dei pacifisti che cercavano di portare aiuti nella striscia di Gaza: lei ritiene che l'Onu abbia gli strumenti per intervenire ed imporre ad Israele di rimuovere l'embargo sul popolo palestinese? E il conflitto israelo-palestinese avrà mai una soluzione che porti finalmente la pace tra i due popoli?
R – A me il problema sembra questo: negli ultimi anni abbiamo avuto una radicalizzazione di entrambi i campi, con l’emergere di Hamas da una parte e con l’estrema destra israeliana che ha una pressione eccessiva sul governo. Dubito che da fuori, fintanto che non maturino alcuni processi interni, si riesca a fare più di tanto… Però per certi versi in questo caso si potrebbe dire “ex malo, bonum”: è stato così grave quest’errore che gli elettori israeliani potrebbero essere spinti a punire il governo, quindi magari da qui potremmo ripartire per una dinamica positiva. E poi devo dire questo: quello che è successo potrebbe aiutare una commissione d’inchiesta non dell’Onu ma di Israele medesimo, perché nello stato di Israele, in maniera molto più seria di quanto non si faccia da noi, quando si fanno le inchiesta sul funzionamento dei corpi dello Stato, tutti i funzionari dello Stato sono terrorizzati dal livello di professionalità e di indipendenza con cui si fanno le inchieste, per certi versi simile solo a quello che si fa negli Stati Uniti e in Inghilterra. Basti pensare invece alle nostre commissioni d’inchiesta, che in genere non sono in grado di fare granchè… Quindi io non sono del tutto pessimista per il futuro della questione israelo-palestinese.

Onorevole, la ringraziamo per quest’ultima lettura e per tutti gli spunti di riflessione che ci ha dato. E’ stato davvero un piacere parlare con lei e speriamo di avere altre occasioni per approfondire insieme i temi a noi cari.
... (continua)
lunedì, maggio 17, 2010

Il Papa che s’oppose ad Hitler

Nel libro del giornalista e storico tedesco Michael Hesemann, edito dalle Paoline, è smascherata una delle più grandi mistificazioni della storia: Pio XII, che più di ogni altro combatté e si oppose al Nazismo, per anni è stato fatto passare come il “Papa di Hitler”, tramite una delle operazioni di controinformazione più grandi che si siano mai viste

papa pio XIIdi Fabio Vitucci

Con la sua opera instancabile ha permesso a 850.000 ebrei di mettersi in salvo; nel 1943 è stato ad un passo dall’essere rapito e preso in ostaggio dai nazisti; è stato lui a redigere la bozza finale dell’Enciclica di Pio XI “Mit Brennender Sorge” con cui si condannava l’ideologia hitleriana: sono solo alcuni dei dati storici, ormai accettati da tutti gli studiosi, che da soli dovrebbero far capire l’opera e la dedizione del Pontefice Eugenio Pacelli alla lotta contro Hitler e contro il Nazismo. E invece è bastato poco perché per decenni l’opinione pubblica lo bollasse come il Papa del silenzio di fronte ai drammi della Shoah e addirittura come amico del Nazismo per poterne fare un alleato contro il bolscevismo. E’ bastato un piano molto ben architettato dal Kgb (allo scopo di minare l’autorità della Santa Sede in Europa occidentale mostrandola come un bastione del Nazismo) e messo in atto con opere teatrali (“Il vicario” su tutte), libri e film dal tedesco Rolf Hochhuth, dall’inglese John Cornwell e dall’americano Daniel Jonah Goldhagen. E così Pio XII, che più di ogni altro uomo meriterebbe il titolo di “Giusto tra le Nazioni” e che alla sua morte, avvenuta per sfinimento dopo gli sforzi profusi a favore della pace, è stato salutato come un Grande da tutto il mondo (“Per la pace nel mondo Pio XII ha fatto più di qualunque altro uomo di Stato”, dichiarò il presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, Charles Malik), è stato invece a torto accusato di connivenza e di rassegnazione davanti al mostro tedesco e di totale indifferenza davanti alla strage degli ebrei. Soprattutto Rolf Hochhuth, ex-hitleriano direttamente al soldo del Kgb, è riuscito a distorcere l’immagine di Pio XII a livello internazionale, regalando alla “generazione del consenso” un ottimo alibi: essa poteva tranquillamente autoassolversi se persino la massima autorità morale rimase passiva in quegli anni di fronte agli orrori del nazismo.

Il libro ripercorre con dovizia di particolari la vita e le opere di Eugenio Pacelli, dalla sua nascita a Roma alla sua nunziatura a Monaco, fino all’ascesa sul soglio pontificio e all’instancabile azione contro i regimi dittatoriali e contro la guerra. Con una ricostruzione storica particolareggiata e basata su documenti noti e a disposizione di tutti gli studiosi, l’autore smonta tutte le teorie contro Pio XII e mostra invece le sue tante amicizie con personalità ebree, il suo profondo rispetto e la sua paterna protezione verso il popolo sionista, e spiega come alcuni silenzi e alcune mancate prese di posizione ufficiali servissero solo a salvare sottotraccia il maggior numero possibile di fratelli ebrei. Tanti i casi infatti in cui erano gli stessi ebrei o gli stessi vescovi cattolici dei paesi occupati militarmente dai nazisti a chiedere al Papa di non alzare la sua voce contro Hitler per non rinfocolare la furia nazista, che non aspettava che qualche pretesto per poter dare nuova linfa alla sua propaganda anti-ebrea e anti-cattolica e ricominciare con le pratiche di violenza sistematica.

Non deve essere un caso se lo stesso Hitler identificava Pio XII come il nemico numero 1, tanto da arrivare ad un passo dall’organizzare un’occupazione del Vaticano con un finto scontro a fuoco che avrebbe “casualmente” provocato la morte del Pontefice.
Ormai è chiaro che Pio XII fu il più insidioso avversario dell’orrore nazista. E’ solo questione di tempo perché, di fronte alla verità storica, cada l’ennesima “oscura leggenda”. E come conclude Hesemann nell’introduzione alla sua opera “Pio XII non fu affatto, come afferma Cornwell, il Papa del silenzio, né tantomeno il Papa di Hitler. Fu anzi il Papa che si oppose ad Hitler: una luce che continuò a brillare in mezzo alle crescenti tenebre che avvolgevano l’Europa .”
... (continua)
lunedì, aprile 26, 2010

Cristiani, tornate ad essere protagonisti del nostro tempo!

Fabio Vitucci, caporedattore de La Perfetta Letizia, intervista Salvatore Martinez, Presidente Nazionale del "Rinnovamento nello Spirito", in attesa della Convocazione Nazionale di Rimini, dove saremo presenti con un nostro redattore

Intervistiamo oggi Salvatore Martinez, laureato in Musicologia presso l’Università di Pavia, Presidente Nazionale del movimento ecclesiale "Rinnovamento nello Spirito Santo", oltre che autore di testi di spiritualità e pubblicazioni tradotte in più lingue. Apprezzato conferenziere in Italia e all'estero, è anche Presidente delle Fondazioni “Alleanza del RnS ONLUS”, "Istituto di promozione umana «Mons. Francesco Di Vincenzo»", "Sviluppo Oasi Città Aperta" e “Casa Museo Sturzo”, oltre che Consultore del Pontificio Consiglio per i Laici e del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Partiamo da qualche domanda sul Rinnovamento nello Spirito Santo, uno dei movimenti cattolici maggiormente in crescita negli ultimi anni (200mila aderenti e 1900 gruppi e comunità in Italia):

D - Qual è il carisma del Rinnovamento e quali i suoi aspetti caratteristici?
R - Il RnS non è una nuova spiritualità e non avendo un “fondatore umano” non ha una prerogativa particolare, un carisma elettivo da cui discende uno specifico impegno missionario. Il RnS intende risvegliare la fisiologia propria della Chiesa e della vita cristiana che è, per l’appunto, un’esistenza nello Spirito. Tutto ha inizio con Lui; tutto si dispiega attraverso il Suo conforto; tutto ricomincia, sempre, anche nei momenti più bui della storia, mediante le sue mozioni e ispirazioni creative che dilatano lo spazio della testimonianza cristiana. Il Movimento è in crescita perché l’uomo è in crisi e invoca “rinnovamento”; il materialismo imperante spinge l’uomo a ricercare “respiro spirituale”, a sperare quando tutti disperano, a trovare ragioni di vita contro uno spirito di morte che sembra ammorbare la storia. Ecco perché il RnS è una sorta d’icona del popolo di Dio: un cammino di fede in cui tutti possono ritrovarsi, senza distinzioni di livelli, di età, di sesso, di ceto. Un popolo che loda e gioisce per il Suo Dio; che cammina sulle orme della Parola di Dio; che ha riscoperto la bellezza dei sacramenti e ne fa esperienza vitale; che dà corso ad un’evangelizzazione sistematica mediante il carisma di ciascun battezzato, riscoperto nella comunità, e messo a servizio della Chiesa e del mondo.

D - Ci può raccontare la storia del Rinnovamento nello Spirito Santo? All’inizio il movimento non era riconosciuto ufficialmente dal Vaticano, mentre oggi è ormai parte integrante della Chiesa Italiana, come dimostra per esempio il suo impegno nei Pontifici Consigli: quali sono stati i cambiamenti? E perché nel mondo ci sono ancora gruppi di Carismatici non completamente accettati dalla Chiesa?
R - Nasce nel 1967 negli USA; in pochi anni è già presente in tutto il mondo. In Italia giunge nel 1972. Oggi sono oltre 100 milioni coloro che frequentano gruppi, comunità o sono vicini al cosiddetto “movimento carismatico”, e in 205 Paesi. Le diffidenze iniziali, fugate da Papa Paolo VI con la storica udienza in San Pietro in occasione della Pentecoste del 1975, erano legate alla vicinanza del movimento, in qualche modo una sorta di assimilazione, con il movimento pentecostale che aveva risvegliato all’inizio del Novecento l’evangelismo tradizionale. L’avvento al soglio Pontificio di Giovanni Paolo II ha segnato la stagione della “maturità ecclesiale” del RnS: progetti di evangelizzazione (giovani, famiglia, sacerdoti); missioni all’estero, a partire dalla Moldova (il Paese più povero d’Europa); la “diocesanità”, con l’inserimento pieno e progressivo dei gruppi e della comunità nella vita pastorale diocesana; un Progetto Unitario di Formazione, per la creazione di personalità carismatiche a servizio del rinnovamento della Chiesa e del mondo. Dunque, un cammino di crescita che ha mostrato la propria autenticità nel servizio e nelle opere sempre più manifeste della fedeltà al Magistero. La nostra vicinanza “geografica” con il Vaticano ha fatto sì che il nostro cammino, con l’organizzazione pastorale che lo caratterizza, venisse valutato favorevolmente per i frutti prodotti e incoraggiato da diversi Dicasteri Vaticani. Tra questi, proprio quello dedicato ai “Laici” e alla “Famiglia” dei quali il Papa Benedetto XVI mi ha concesso l’onore di essere consultore. Ma non vorrei dimenticare che con l’approvazione dei nostri statuti da parte della CEI (1996), oggi il RnS è nei direttivi della CNAL, del Forum delle Famiglie, di Scienza e Vita, di Rete in Opera, per favorire e testimoniare il valore imprescindibile della comunione ecclesiale con gli altri movimenti e associazioni ecclesiali.

D - Non crede che molte persone che partecipano ai momenti più forti della vita del Rinnovamento (messe di guarigione, preghiere di effusione, il canto in lingue) rischino di farsi suggestionare e confondano appunto la suggestione con la presenza del Signore?
R - Il rischio c’è sempre e del resto… lo corse anche Gesù! Inizialmente molti si avvicinano spinti dalla “fede nei segni”; ma se condotti ad un cammino spirituale e formativo ben cadenzato ecco che si passa ai “segni della fede”, dall’Eucaristia alla croce, dalla carità al servizio. Così non c’è più spazio per “egoismi carismatici”, per ripiegamenti o per la ricerca di una sorta di “benessere spirituale individuale” che mi sottrae dal dovere della condivisione. Rimane il fatto che “il miracolo” è la più potente calamita celeste che ancora oggi può scuotere le coscienza sopite così da “far alzare lo sguardo verso il Cielo”, come ricordava Sant’Agostino. L’evangelizzazione è carismatica perché il protagonista è lo Spirito Santo, con i suoi “regali” che non si possono certo programmare, né tanto più osteggiare.

D - Può spiegarci in particolare il significato del Canto in Lingue, che colpisce sempre chi si avvicina per la prima volta agli incontri del Rinnovamento?
R - Ho scritto molto su questo tema nei miei libri. S. Paolo distingue il pregare dal parlare in lingue. Il “pregare in lingue”, come descritto nella prima lettera ai Corinti (i capp. 12 e 14), è un dono ordinario, di preghiera, che tutti possono ricevere ed usare, sia nella preghiera comunitaria che nella preghiera personale. È l’uomo, la sua anima, che si rivolge a Dio con suoni disarticolati in cui si comunica un affetto, più che parole di senso, in cui non c’è sforzo razionale. Dio vede e sente il cuore, visitato dallo Spirito, e accoglie e comprende questi “gemiti inesprimibili” (come sa fare una mamma con il proprio neonato). I presenti non comprendono perché la preghiera è rivolta direttamente a Dio e chi prega, anche con la forma del canto, riceve edificazione dall’esercizio del dono, esperimenta una grande pace interiore, nuova forza spirituale, nuovo amore per Dio e per la comunità. Altra cosa è il “parlare in lingue”. Questo è un dono profetico, straordinario. Qui è Dio a parlare all’uomo; lo Spirito si esprime con parole che pronunciate in una lingua sconosciuta necessitano dell’”interpretazione”, che è un dono presente al pari delle lingue nell’elenco paolino. Quando questo dono della profezia in lingue viene correttamente utilizzato, l’assemblea in preghiera vede la fede di ciascuno innalzarsi, si sente esortata, confortata e spinta a nuova conversione.

D - Passiamo ora a domande di carattere più generale: di cosa avrebbe bisogno secondo lei la Chiesa di oggi, attaccata da più fronti e che purtroppo non riesce più ad attrarre le masse come in passato? E’ un processo irreversibile dei tempi moderni, o la fede può recitare ancora un ruolo importante nella vita degli uomini?
R - Gesù ci ha detto di non temere: le porte degli inferi non prevarranno. Questo non significa stare a guardare, piuttosto ricorrere allo Spirito. È lui che allena i martiri e i confessori della fede; è Lui che ci suggerisce cosa dire e cosa fare in un tempo così ostile alla Chiesa, al Papa, al Magistero cristiano, specie quello morale. La nostra fede prescinde sempre dalle culture e dal secolo in cui vive. La nostra fede è sottoposta alla legge dell’incarnazione, ma è di seme divino, dunque non teme il confronto di ideologie, potenze e regimi umani. Historia docet. È tempo, piuttosto, che i cristiani ritrovino la forza che deriva dall’unità della fede, recuperando il gusto del camminare uniti, nel petto il Vangelo di Gesù, nel cuore un amore ancora più grande per la Chiesa, corpo vivente di Gesù. E allora, come nei momenti più bui della storia cristiana, niente diverrebbe impossibile. Quello che viviamo è uno dei momenti più propizi per la nuova evangelizzazione: ci sono spazi enormi di testimonianza. Dunque, o “credenti” o “cedenti”!

D - In Italia è sempre aperto il dibattito tra stato e laicità, così come quello sull’ingerenza della Chiesa: qual è il suo pensiero in proposito? Come dovrebbe comportarsi la CEI sulle questioni inerenti la vita civile e sociale italiana?
R - Anche questa è una distorsione strumentale della verità storica. Il laico è, per definizione, un uomo rispettoso dell’altrui pensiero: un principio che non sembra più valere per i cristiani. Inoltre il laico si alimenta del gusto dell’”interrogazione”, della ricerca, è consapevole dei limiti della ragione e non ha pregiudizi ideali nell’accogliere ciò che è vero, buono e giusto per il migliore destino dell’uomo. Nessun vero laico – è chiaro che oggi abbiamo più a che fare con “laicisti” – metterebbe in discussione il ruolo storico imprescindibile svolto dalla Chiesa Cattolica nello sviluppo dei popoli, di un’umanesimo sociale nella difesa della dignità dell’uomo, nella cura delle sofferenze umane, nello sviluppo di tutte le scienze umane e tecnologiche. È triste assistere alla “resa” di molti cristiani, spaventati dallo spirito del tempo. Bisogna tornare ad essere protagonisti del nostro tempo, sapendo che niente è più potente del pensiero cristiano nelle trasformazioni e nei cambiamenti epocali come quelli che stanno caratterizzando l’inizio del terzo millennio. Non spetta, poi, a me dire alla CEI come comportarsi. I nostri Vescovi sanno di potere contare su un laicato maturo, su un laicato associato e organizzato come in nessun altro Paese al mondo. Quando si procede uniti, soprattutto a livello locale, i risultati sono schiaccianti: si ricordi il 75% in occasione del referendum per la fecondazione artificialmente assistita.

D - Cosa può consigliare ai giovani cristiani, che dovrebbero essere “luce del mondo e sale della terra” e che invece spesso sono invisibili, se non nelle grandiose Giornate della Gioventù, che poi però terminano e sembrano non dare frutti?
R - Di non aspettare di essere “adulti” per assumersi responsabilità nella Chiesa. Ho iniziato a 14 anni ad avere i primi ruoli ecclesiali e anno dopo anno è aumentato il carico delle responsabilità con la gioia di vedere, ogni giorno, che il bene vince il male e le sole cose che non hai ancora esperimentato nella tua vita sono quelle che non hai ancora permesso allo Spirito del Signore di operare in te.

D - La ringraziamo per la sua disponibilità e le sue risposte. Le diamo appuntamento al XXXIII Convocazione Nazionale dei Gruppi e delle Comunità RnS di Rimini, dove saremo presenti con un nostro redattore, pronto a catturare e raccontare tutti i momenti più importanti del raduno nazionale di una delle più importanti realtà del panorama mondiale dei movimenti cattolici.
R - Saremo lieti di accoglierVi, grati per il lavoro che svolgerete per diffondere l’immagine di un cristianesimo vivo, gioioso, come quello che è possibile incontrare alla Convocazione Nazionale del RnS. Credo, in ultimo che i mass media svolgeranno un ruolo decisivo nella diffusione e nella difesa della fede. Quindi, auguri, coraggio… e al lavoro!
... (continua)
martedì, gennaio 26, 2010

Rispetto reciproco? Di più, arricchimento!

di Fabio Vitucci

Italico viaggiatore in giro per l’Europa, mi ritrovo a Londra, nella città multi-etnica per eccellenza. E senza tentennamenti mi reco in Brixton Road, perché ho già avuto la fortuna di conoscere e sperimentare l’accoglienza del Centro Scalabriniano, un’isola di condivisione nella città della condivisione. Trovo ad aspettarmi un giovane padre filippino, che tutti chiamano Padre Jake, sempre col sorriso sulle labbra e sempre pronto a ridere di ogni mia battuta: lui naturalmente si occupa della folta comunità filippina. E poi c’è Padre Pietro, “The boss”, settantenne trentino dai capelli bianchi, responsabilità dell’attempata comunità italiana, magari alle prese col suo fido dizionario italiano-inglese. E infine Padre Renato, il mio “gancio”, poliedrico e variopinto veneto, che non mi fa nemmeno posare la valigia e mi incalza col suo “Cosa fai? Dove vai? Su, su, Londra ti aspetta!”.
Lui si occupa, fra le altre cose, dei portoghesi.

Tre comunità quindi, e tre ricchezze: qui sperimenti veramente la fraternità, la condivisione e l’arricchimento reciproco. Padre Renato è così, si rivolge ad ognuno con la certezza incrollabile che darà qualcosa di importante a lui e alla sua comunità. E mentre ceniamo insieme (qui l’accoglienza è davvero a tutto tondo!), tra la zuppa di pesce preparata da Padre Jake e il formaggio tanto amato da Padre Renato, forse retaggio della sua esperienza francese, il padre scalabriniano mi parla entusiasta della liturgia filippina recitata in un mix di inglese e tagalog, del loro ritrovo domenicale a ritmo di line-dance, della festività del Santo Niño con tutti i “Bambinelli” portati a benedire a messa e pronti così per essere posti nei Presepi domestici. Ma anche della festa dei moleta italiani, o delle celebrazioni portoghesi “dominate” dai bambini. E finanche della riflessiva decisione giapponese e dell’ammirabile ecumenismo ginevrino, nonché della nota efficienza e puntualità inglese. Per finire, prima che ognuno si ritiri nel proprio giaciglio dislocato da qualche parte nell’accogliente centro, con una rinfrescatina delle sue avventure in terra musulmana, o con un pensiero sugli splendidi rapporti coi “vicini di casa”, gli anglicani: “Lo scorso mese un pastore anglicano è venuto qui al Centro a tenere una catechesi ai cresimandi – mi racconta – a fine incontro i nostri ragazzi erano letteralmente entusiasti! E ora a nanna, domani Londra ti aspetta!”.

E’ proprio questo l’insegnamento più grande che mi porto a casa dalla visita a Padre Renato e al Centro Scalabriniano: non solo non bisogna aver paura del “diverso”, ma anzi bisogna “approfittarne”, imparando da lui quanto più possibile ed attingendo proprio alla sua diversità. Ottimo proposito per il mio futuro, e magari per quello del mio Paese: riusciremo a farne una direttiva di vita?
... (continua)
giovedì, settembre 24, 2009

Il dialogo, l'unica via per la Pace

Dagli immigrati alle violenze sui cristiani, dalla salvaguardia del creato alla diatriba stato laico-religione: il nostro Fabio Vitucci intervista Franco Miano, presidente nazionale di Azione Cattolica

D) È ormai cronaca quotidiana il respingimento degli immigrati nei pressi delle coste italiane dopo l’approvazione del ddl sicurezza da parte del Governo; nato per dare una risposta alle paure di gran parte del popolo italiano, il provvedimento ha ricevuto anche tantissime critiche. Qual è la sua opinione sugli immigrati in Italia? Quale può essere il giusto compromesso tra accoglienza e sicurezza? Cosa possiamo fare noi cattolici?

R) Tema complesso, difficile anche, quello dell’immigrazione. Intanto partiamo da un concetto chiaro: ero straniero e mi avete accolto. Una frase che non può non interrogarci, e nello stesso tempo farci riflettere. Accoglienza, dunque, come primo aspetto della questione. Lei mette in evidenza l’aspetto della sicurezza attorno al quale il Governo ha voluto centrare l’attenzione, e dare così una risposta, come lei sottolinea, alle attese e alle paure del popolo. Che il tema sicurezza sia un aspetto rilevante credo che nessuno possa negarlo, ma mi permetta una osservazione: quanti sono, in percentuale gli immigrati che delinquono rispetto alla popolazione straniera e quanti gli italiani sul totale dei nostri connazionali? Questo potrebbe essere un primo punto su cui riflettere. Poi, ci dimentichiamo che il nostro è stato un popolo di migranti per moltissimi anni, e raggiungendo una terra straniera l’abbiamo bagnata con il sudore della fronte di tanti nostri fratelli; ma anche con il sangue di crimini compiuti da altri nostri fratelli. Il bene e il male sono presenti nell’uomo, sempre. Sta a noi discernere, compiere quel lavoro attento di non confondere l’onesto dal disonesto. Ben venga allora una maggiore attenzione alla questione sicurezza, ma guai a condannare indiscriminatamente tutto un popolo. Chi commette reati deve essere condannato. Come cattolici possiamo proprio aiutare in questo lavoro attento di discernimento, tenendo presente che molte di queste persone fuggono da situazioni di guerra, di fame, di sottosviluppo. Aiutarli é nostro dovere, così come è nostro diritto chiedere loro di rispettare le nostre leggi.


D) Di contro ci sono invece i tanti cristiani “maltrattati” nel mondo: dalle forti privazioni in Vietnam e Cina, alle discriminazioni in Indonesia e in Pakistan, fino agli omicidi di padre Mariano Arroyo Merino a Cuba e di don Ruvoletto in Amazzonia, solo per citare i casi più recenti e eclatanti. Perché tanta crudeltà verso i cristiani? È davvero impossibile il dialogo e la convivenza tra il cristianesimo e le altre religioni? La chiesa occidentale può fare di più proteggere fedeli e pastori?

R) A ben guardare alla radice di questi “maltrattamenti” c’è lo stesso rifiuto che noi in Occidente riserviamo agli immigrati di colore in alcune realtà della nostra penisola, o alla donna con il velo che lavora a contatto con il pubblico. Casi recenti, come ricorderà. Cerco di spiegarmi per non essere frainteso. È evidente che c’è una differenza profonda dalle diffidenze nel nostro paese o in altre nazioni europee verso lo stranieri rispetto alle violenze perpetrate contro i cristiani in molte latitudini. Ma a ben vedere la radice è comune, ed è l’odio per l’altro, il diverso; la paura dello straniero che viene a occupare il nostro mondo. La strada da percorrere è quella del dialogo, dice bene. Ma il dialogo è fatto da due persone che si mettono in discussione, che accettano di ascoltare l’altro, che sono pronti ad accettare ciò che l’altro può offrire. Io credo che dialogo e convivenza tra cristianesimo e altre religioni siano non solo possibili ma urgenti e necessarie. Si tratta di affinare gli strumenti del dialogo, di trovare strade nuove in cui far camminare la convivenza tra fedi diverse, nel rispetto dell’altro. Come cattolici, cristiani, siamo consapevoli che la verità che ci è stata consegnata da nostro Signore è una perla che deve essere mostrata a tutte le genti. Il cristiano deve essere luce, lievito e sale; ma la luce è quella di una candela che si consuma mentre dà la luce, il lievito fa crescere la pasta mischiandosi, il sale si scioglie per esaltare i sapori. Cosa voglio dire: che siamo strumenti nelle mani del creatore; che non siamo noi i protagonisti della storia. Dobbiamo, allora, continuare a spenderci nel cammino del dialogo tra le religioni, certi che i risultati ci saranno, anche se noi, forse, non saremo chiamati a vederli.


D) A proposito di Chiesa, vorremmo un suo personale giudizio su Benedetto XVI. Stampa e opinione pubblica non perdono occasione di criticare il nostro Papa, che non gode, ancora, dell’autorità e del rispetto di Giovanni Paolo II. Secondo noi invece sta facendo un lavoro eccezionale, con un taglio naturalmente diverso da quello del suo predecessore, ma pieno di sapienza e dottrina (non ultima la Caritas in Veritate).

R) Vede, nel formulare la domanda anche lei si spinge in un confronto tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Credo che l’errore di fondo, se mi consente il termine, è proprio qui, nel continuo guardare Papa Ratzinger con gli stessi occhi con i quali guardavamo Papa Wojtyla. Ogni Pontefice ha il suo modo e il suo carisma e guida la Chiesa con gli strumenti che ritiene più opportuni. Ecco, credo che l’opinione pubblica, i media, siano ancora troppo legati a un grande Papa come Giovanni Paolo II che ha guidato la Chiesa per quasi 27 anni. I suoi gesti, le sue parole sono ancora nel cuore di tutti noi. Ma tutto questo non può portarci a ignorare quanto sta facendo Papa Benedetto per la vita della Chiesa; le sue parole, i suoi gesti non sono meno importanti e impegnativi per noi cristiani. Vorrei solo fare un esempio: la vicenda del discorso pronunciato in Germania a Ratisbona, e quella frase relativa al dialogo tra il dotto arabo e l’imperatore, tra fede e ragione. Proprio da una cattiva lettura di quel testo sono nate proteste e violenze, fino a quando non è stato possibile leggere per intero, e in lingua araba per i popoli di quelle terre, la lezione pronunciata dal Papa. Quel testo ha dato vita a un dialogo tra i teologi islamici e cattolici; da quel discorso può nascere un modo nuovo di costruire il confronto tra il mondo musulmano e quello cristiano.


D) A tal proposito, il dibattito tra stato, laicità e religione è sempre all’ordine del giorno e sta portando a derive laiciste difficilmente accettabili da giovani come noi, ferventi credenti ma inseriti con passione ed entusiasmo nel tessuto sociale. La società occidentale ha preso la sua direzione e non sarà più possibile tornare indietro?

R) Anche qui è una questione di dialogo possibile. C’è il laico e il laicista, la laicità e il laicismo. Partendo da questa considerazione, credo che un dialogo sia da ricercare e da portare avanti. Anche qui il discorso è lo stesso che facevo prima, un dialogo è possibile se l’altro ha la volontà di ascoltare le mie ragioni e di accettare che le sue “verità” possano essere messe in discussione. Allora un dialogo è possibile nella misura in cui ci si metta insieme senza pregiudizi verso l’altro. La società di oggi corre il rischio di interrompere questa corrente di dialogo, questa capacità di riflettere insieme su temi comuni. Forse quello che oggi manca più di ogni altra cosa è proprio la capacità di ascoltare.


D) Il G8 di L’Aquila ha lasciato tanti punti interrogativi e tanti giudizi discordanti: un’occasione persa, un grande passo avanti su diversi temi, un’operazione di facciata… E ora stiamo assistendo all’Assemblea Generale dell’ONU e presto ci sarà il vertice di Copenaghen. Lei cosa ne pensa? In particolare vorremmo un suo giudizio sulle decisioni prese (o non prese) riguardo all’ambiente, visto che la salvaguardia del creato è uno degli aspetti oggi più importanti.

R) Il G8, come tutti gli incontri di questo livello, ha un suo esistere proprio nell’incontro tra capi di Stato e di Governo, più che nelle decisioni da prendere. Certo queste ultime sono importanti e spesso decisive per le sorti di molti paesi, ma credo che l’importante sia proprio il fatto che uomini di nazioni diverse si ritrovino insieme a parlare dei problemi del mondo. L’importante è che non ci si dimentichi che il mondo non è solo l’Occidente, cioè il 20 per cento della popolazione che consuma l’80 per cento delle risorse del pianeta. C’è un mondo – l’80 per cento della popolazione – che non può essere lasciato ai margini. Il nuovo nome della pace è sviluppo, ci ricordava molti anni fa Papa Paolo VI, e Benedetto XVI nella sua recente enciclica Caritas in veritate ci ricorda che nel tempo della globalizzazione è il mondo nella sua totalità che deve superare le difficoltà: la crescita del sud povero è condizione necessaria per una crescita anche del nord ricco. Per noi credenti c’è un imperativo etico che ci chiede di essere vicini al nostro prossimo; di mettere l’altro nelle condizioni di poter avere accesso ai beni e alle risorse del pianeta. Poi l’ambiente. Credo che sia il tema chiave di questo millennio: solo uno sforzo di tutti per migliorare l’ambiente, per dare un futuro al nostro pianeta, può essere la condizione per dare ai nostri figli una terra vivibile e migliore di come l’abbiamo trovata. Parlare di ambiente vuol dire anche ragionare sullo sviluppo sostenibile, sulle risorse naturali, sull’uso indiscriminato di materiali difficilmente biodegradabili, sui rifiuti nocivi, sulle discariche abusive e sull’inquinamento delle falde acquifere. Parlare di ambiente, ancora, vuol dire mettere in discussione la crescita degli armamenti e il loro commercio, e l’utilizzo del nucleare. Ci sono energie alternative che rispettano l’ambiente e possono offrire una seria alternativa all’inquinamento ambientale. Lo evidenzia bene Papa Benedetto nella sua enciclica: noi abbiamo ricevuto in dono il creato dal nostro creatore; offendere il creato è offendere il creatore.


D) Siamo quasi alla fine. Non può mancare una domanda sul “suo” mondo accademico: qual è oggi la situazione dell’università italiana? È ancora possibile fare ricerca in Italia o ormai la fuga dei migliori talenti è un dato incontrovertibile?

R) La situazione dell’Università italiana appare oggi particolarmente delicata per l’incrocio di responsabilità derivanti da un lato dal mondo accademico e dalle sue autoreferenzialità e dall’altro dalla mancanza di lungimiranza della politica. Ciononostante il campo è aperto, lo spazio della ricerca non è completamente chiuso anche se appare sempre più estenuato. Tuttavia c’è bisogno di far crescere la consapevolezza che l’Università e la ricerca sono beni pubblici e non privati.


D) Chiudiamo con una domanda sulla “nostra” (mia e sua) grande associazione: qual è il ruolo nell’Italia di oggi dell’Azione cattolica? Quali le sfide? Quali le missioni?

R) Credo che si possa riassumere tutto con una frase: dire con parole nuove cose antiche. Lo dicevo prima, compito del cristiano è di essere luce, lievito, sale. La luce si mette sopra il moggio, non la si nasconde sotto; il lievito serve per far crescere, il sale per dare sapore. Questo è il ruolo di oggi, e di sempre, dell’Azione Cattolica. Si tratta oggi di dare appunto parole nuove al nostro essere associazione di laici chiamati a collaborare con la gerarchia per la edificazione di una città per l’uomo, capace di essere accogliente, aperta, rispettosa. Il nostro impegno deve essere rivolto a ogni uomo e a tutto l’uomo; deve saper leggere i segni dei tempi e essere capace di contribuire a dare risposte alle attese e speranze dell’uomo di oggi. È un impegno che ci chiama ad essere in prima linea nella difesa dell’ambiente, nella richiesta che la politica sia attenta al bene comune, nella difesa dei valori non negoziabili e nella crescita di una comunità cristiana che sia sempre più luce, lievito e sale.
... (continua)
sabato, luglio 25, 2009

Scienza e fede: Galileo sale in cattedra

Nel Duomo di Pisa confronto tra monsignor Ravasi e il professor Amaldi sul rapporto tra fede e scienza… sulle orme di Galileo Galilei
di Fabio Vitucci

Galileo Galilei e il suo pensiero su scienza e fede sono stati i grandi protagonisti dell’incontro-dialogo tra monsignor Gianfranco Ravasi e il professor Ugo Amaldi nella cattedrale di Pisa, in occasione dei festeggiamenti per l’Anno internazionale dell'Astronomia, indetto dall’ONU per celebrare i 400 anni delle prime osservazioni astronomiche e dedicato al grande scienziato e astronomo pisano. Ravasi ed Amaldi sono stati salutati dall’arcivescovo di Pisa, monsignor Benotto, che ha sottolineato come la Cattedrale di Pisa e l’intera Piazza dei Miracoli siano ancora permeati dal genio e dalle sperimentazioni di Galileo, che nel Battistero è stato battezzato, nel Duomo, osservando le oscillazioni di una lampada sospesa nella navata centrale, ha scoperto l'isocronismo delle piccole oscillazioni di un pendolo e dalla Torre ha fatto cadere i gravi che gli hanno permesso di formulare il cosiddetto principio della relatività galileiana. L’arcivescovo ha quindi lasciato spazio ai due “contendenti” citando l’enciclica Fides e Ratio di Giovanni Paolo II: “La fede e la ragione sono le due ali con cui lo spirito umano si eleva”.

“Se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori, in varii modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perché così vi apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d'ira, di pentimento, d'odio, e anco talvolta l'obblivione delle cose passate e l'ignoranza delle future”. Da queste parole di Galileo e dalla lettura dell’intera lettera del 21 dicembre 1613 all’amico benedettino Benedetto Castelli, sono partite le riflessioni del professor Ugo Amaldi, docente di fisica medica all’università di Milano «Bicocca» e presidente della Fondazione Tera. Subito un omaggio a Galileo: «Tanti avevamo puntato il cannocchiale sulla terra, Galileo è il primo a puntarlo in cielo, facendo un grosso passo in avanti, soprattutto intellettuale. Galileo ci dice, nella lettera alla granduchessa Cristina di Lorena, che la Bibbia ci insegna “come si vadia in cielo e non come vadia il cielo”. Le attuali teorie scientifiche, dalla visione cosmocentrica alla teoria evoluzionistica, fino alle più moderne concezioni fisico-astronomiche, che annullano il predominio dell’uomo e ne mostrano la marginalità nell’universo, possono coesistere con la fede ebraico-cristiana (e non solo) che mette l’uomo al centro della creazione?».

Ha raccolto la provocazione Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: «La Bibbia non nega la ‘fragilità’ dell’uomo. Il salmo 8 dice “Se guardo la luna, il cielo e le stelle, che cosa è l’uomo perché mi ricordi di lui?”. Ma questa sua fragilità non impedisce al Dio-con-noi della Torah di amarlo e di porlo al centro del mondo, dandogli il principio della conoscenza e quello della libertà. Non è la grandezza cosmica quella con cui misurare l’uomo…». E citando Pascal, Ravasi ha ricordato che, anche se misero e debole, l’uomo è sempre più grande di ciò che l’uccide, perché l’uomo sa di morire e conosce la forza del creato su di lui. «Noi non possiamo avere una conoscenza solo di tipo scientifico, ma abbiamo bisogno di tanti tipi di conoscenze, o meglio di meta-conoscenze. Scienza e fede non interferiscono affatto, dato che lavorano su piani separati: la fede parla ed opera sul piano metafisico del mondo, mentre la scienza lo fa su quello fisico».

Monsignor Ravasi ha quindi elogiato gli uomini di scienza: «Lo scienziato non è l’uomo che fornisce vere risposte, è invece colui che pone le vere domande», e ha concluso con le parole del fisico Arno Penzias (“naturalmente” ateo): “Noi abbiamo bisogno della religione, e non perché ci aiuti coi nostri strumenti, ma perché sarebbe orribile vivere in un mondo senza significato!”.
... (continua)
domenica, giugno 28, 2009

Chronos e Kairòs nello scorrere del tempo

La visione del tempo e dell’azione divina nella relazione del professor Giovanni Manzone al VI Forum dell’Informazione Cattolica a Pistoia

di Fabio Vitucci

Il senso unitario del tempo, l’importanza del lavoro, il valore della festa: questi i temi più importanti toccati dal professor Giovanni Manzone in occasione del VI Forum dell’Informazione Cattolica per la Salvaguardia del Creato, intitolato “Il Tempo dell’Uomo – Il Tempo del Creato” e organizzato da Greenaccord a Pistoia. Tutto l’intervento si è snodato sui binari di chronos e kairòs, partendo dalla loro visione nella cultura greca antica per giungere poi a quella cristiana. In particolare per Sant’Agostino la presenza della personalità umana guida il chronos verso una sua concezione come storia, in cui si innesta l’intervento di Dio, il kairòs appunto. L’uomo ha il potere di introdurre dei cambiamenti e degli avvenimenti nuovi nella storia, ma non di stravolgerne il disegno complessivo, che spetta solo a Dio. Per noi cristiani, ha aggiunto il professor Manzone, il kairòs è l’incarnazione di Cristo, che ha dato inizio e compimento ad una storia nuova.

La verità sconnessa dei tempi della vita umana insinua infatti il dubbio che all’uomo non sia concessa la possibilità di alcuna opera perfetta nella quale identificarsi: “Ogni cosa è bella a suo tempo… ma in un momento successivo appare vana… Vanità di vanità, tutto è vanità” recita il Qoelet. A meno che… a meno che l’uomo non riesca a scorgere al di là del suo agire nel tempo l’unità di un senso che raccolga la molteplicità delle forme: ciò è dato esclusivamente dal kairòs. Solo se ci aggrappiamo infatti ad un riferimento che è oltre il tempo possiamo superare fallimenti e ambiguità. Dobbiamo quindi interpretare i tempi della vita umana come segni o “kairoi”, leggere in essi la voce dello Spirito Santo.

Il professor Manzone ha mostrato poi la plausibilità della visione cristiana riguardo al tempo del lavoro e della festa. Il lavoro deve essere visto come benedizione e comandamento e la nostra settimana deve essere modellata su quella divina: la ferialità mostra che il compimento non è ancora raggiunto, la festa invece ne dà la certezza. Il settimo giorno infatti l’opera è compiuta, e Dio si riposa; allo stesso modo, la domenica Dio pone fine al tempo laborioso dell’uomo, e noi nell’Eucarestia dobbiamo ringraziare e celebrare il compimento della vita. La difesa della domenica è quindi fondamentale: oggi il lavoro cadenza la vita, è il polo dominante, mentre gli altri tempi (familiari, religiosi, sociali) sono periferici. La festa allora deve essere una sosta dove la logica del dono sospende il rapporto commerciale e assicura una speranza, dando inoltre la possibilità di vivere appieno le altre dimensioni della vita.

E non poteva mancare nell’intervento di don Manzone un accenno finale alla Creazione. Attenzione alle parole della Bibbia tante volte criticate da visioni “ecologiste”: l’uomo deve sì dominare la Terra, ma non nel senso umano. Il Dominus per eccellenza infatti è proprio Dio, quindi il dominio dell’uomo sulla natura non deve esercitarsi nello sfruttamento e nella violenza, ma nel modello divino di amore e servizio. L’uomo infatti non è tanto il padrone della terra quanto il custode del giardino, il “sacerdote del Creato”.
... (continua)
sabato, febbraio 28, 2009

Ogni vita è “bella”

A Pisa serata di riflessione sull’aborto e sulla vita in compagnia dell’On. Carlo Casini.

di Fabio Vitucci

Il dramma della solitudine di una madre, la tragedia dell’aborto, ma anche la bellezza della vita e il coraggio di amare: questi i temi della serata organizzata a Pisa dal locale Movimento per la Vita, che ha avuto come ospite d’onore il presidente nazionale Carlo Casini e come momento centrale la proiezione del film “Bella”. Un film diverso, fuori dai classici circuiti di distribuzione (in Italia i diritti sono passati prima alla Lux ed ora alla RAI, senza mai giungere sullo schermo), che però ha ricevuto il People's Choice Award 2006 al Toronto Film Festival ed è diventato quasi un manifesto per le associazioni a difesa della vita e dell’uomo. La storia narra di una giovane donna incinta che perde il lavoro e di un uomo che non riesce a dimenticare un tragico incidente d’auto avvenuto nel passato, in cui ha travolto e ucciso una bambina. L’amicizia cambia la loro vita e dà ad entrambi nuova speranza: la donna decide di non abortire più e di dare in adozione la figlia all’amico, che così, insieme alla sua famiglia, aiuta la bimba a crescere e redime la sua coscienza e la sua vita. Un film semplice ma profondo, proiettato l’anno scorso al Fiuggi Family Festival e che porta alla ribalta valori e pensieri che vanno contro la cultura dominante: il rispetto per la vita, la centralità della famiglia, la forza dell’amore, temi oggi bistrattati e bollati come vecchi orpelli ormai inutili.
E invece così non è, come emerge dal successivo dibattito presieduto dall’on. Casini. “Quella della vita è una battaglia importantissima da combattere con la testimonianza – esordisce l’europarlamentare – per mostrare a tutti che si può e si deve custodire ogni singola vita umana, dalla nascita fino alla sua terminazione naturale”. L’aborto in particolare è un dramma incredibile della società moderna, come confermano i successivi interventi di diversi operatori del campo socio-sanitario, e l’aspetto più preoccupante è la solitudine, vissuta dalle madri ma spesso anche dall’intera coppia in difficoltà. Occorre quindi testimoniare l’importanza dell’amore, combattere il pensiero comune e avere il coraggio e gli strumenti per aiutare chi è in difficoltà e vede l’aborto come l’unica via d’uscita. “Tante donne chiamano al nostro servizio SOS Vita al numero 800813000, attivo 24 ore su 24, e piangono per la loro solitudine o per la loro frustrazione post-aborto – testimonia ancora Carlo Casini – e non si tratta esclusivamente di donne sole, ma anche di madri di famiglia abbandonate alla loro gravidanza dai mariti”. Emerge chiaro il bisogno di interventi mirati a favore della vita e della famiglia, combattendo quella che si vuol far passare come logica del buon senso e invece è soltanto una barbarie: non esistono vite di serie A e di serie B, così come non esistono vite che non sono degne di essere vissute.
A chiudere la serata c’è la testimonianza di una giovane coppia di Livorno, Alessandro e Bianca, che hanno portato a compimento una gravidanza pur sapendo della grave malformazione del loro bimbo, condannato a morire e vissuto per soli 34 giorni. “I frutti di un figlio sono ugualmente importanti – sottolinea la giovane coppia – noi pensavamo di voler salvare il nostro bimbo facendolo nascere, e invece alla fine è stato lui a salvare la nostra famiglia”. La loro esperienza, e tutte quelle raccolte nel libro “Il Figlio Terminale” a cura dell’associazione “La Quercia Millenaria”, rappresentano altrettante risposte di amore straordinario all'ordinaria eutanasia prenatale e permettono di tenere accesi un barlume di speranza e una scintilla di vita.
... (continua)
giovedì, febbraio 05, 2009

La legge è manifestazione di servizio

L’insegnamento di Pierluigi Vigna alla presentazione de “La legge e il sorriso” di Federico Gelli.

di Fabio Vitucci

“Legge e sorriso vanno d’accordo quando ad amministrare la legge non sono burocrati ottusi, ma uomini pervasi da un forte senso di umanità; quando la legge non è manifestazione di potere, ma di servizio” – queste le parole più significative del procuratore Pierluigi Vigna, intervenuto a Pisa nell’ambito della presentazione del libro “La legge e il sorriso”, scritto dal vice-presidente della Regione Toscana Federico Gelli. Nella splendida cornice del Palazzo del Consorzio di Bonifica, la serata ha visto la partecipazione di tanti ospiti illustri (nonostante l’assenza per influenza di Rita Borsellino) e un’affluenza di pubblico che ha sorpreso gli stessi organizzatori. Il tema principale dell’incontro è stato “Legge e legalità”, sviscerato accuratamente e in tutti gli aspetti di più recente interesse da Federico Gelli nel suo libro-intervista realizzato in collaborazione col giornalista Paolo Ciampi. “Oggi siamo avvolti da una rete di incertezze – esordisce Pierluigi Vigna, ex-procuratore nazionale antimafia – dall’immigrazione alla crisi economica, dal lavoro all’incertezza alimentare e sanitaria. Il rispetto della legge e la cultura della legalità sono fondamentali proprio in questi momenti difficili”. E qui si inserisce il lavoro di Federico Gelli, che esamina tanti aspetti critici della vita giuridica italiana, dagli incidenti sul lavoro all’immigrazione, dagli appalti agli incidenti stradali, dal degrado pubblico alla vita notturna. Ma soprattutto emerge il grande lavoro di Federico Gelli a favore della cultura della legalità, che deve avvicinare e non allontanare i cittadini dalla legge. Da ciò scaturiscono diversi progetti, dalla “Festa della Legalità” alle “Città Sicure e Amiche” fino ai “Campi di Solidarietà” nelle terre confiscate alle Mafia in Calabria e Sicilia. Un’esperienza quest’ultima che ha visto protagonisti anche tanti ragazzi di altre regioni italiane, che hanno voluto manifestare così la loro solidarietà e il loro incoraggiamento a chi vive dove la legalità fa ancora fatica ad emergere. “Ma anche lì qualcosa sta cambiando - sottolinea Vigna – come dimostra la Confindustria siciliana che espelle chi paga il pizzo, 5 anni senza imposte per i negozianti che denunciano le estorsioni, o ancora il regolamento anti-mafia per le amministrazioni pubbliche”. “E soprattutto il cambiamento è testimoniato e stimolato da tanti ragazzi che hanno finalmente capito che la Legge non è matrigna - conclude Federico Gelli - ma strumento di qualsiasi società democratica”.
... (continua)
venerdì, ottobre 31, 2008

Vivere low-cost

di Fabio Vitucci

Una telefonata dall’Italia alla tua amica del cuore a Chicago? 0 euro. Un weekend a Parigi? 30 euro. Una cucina interamente accessoriata? Mille euro. Per tutto il resto… c’è il low-cost! Potrebbe essere questa la pubblicità di quella che i sociologi chiamano la “generazione Ikea”, che va in giro per l’Europa coi voli a bassissimo costo della Ryanair, che telefona gratis grazie a Skype o VoIPStunt, che sta ore ed ore a montare gli economici mobili dell’Ikea. Da qualche anno, il vivere low-cost ha preso piede anche in Italia: è un fenomeno, non ancora di massa, che coinvolge centinaia di migliaia di italiani, soprattutto giovani nati tra gli anni ‘70 e ‘80... che non vogliono essere più i “bamboccioni” di schioppana memoria, e anzi cercano di rendersi autonomi dai propri genitori, ma allo stesso tempo desiderano vivere la vita, fare esperienze e divertirsi, senza spendere (e senza avere a disposizione) un capitale importante. E bisogna fare attenzione: non si parla solo di ragazzi squattrinati o con un lavoro a tempo determinato (la cosiddetta “generazione dei 1000 euro”, per usare un altro termine caro ai sociologi), ma anche di giovani con un bel lavoro e una buona posizione economica. In questa categoria rientra quindi chi è costretto ad ingegnarsi in ogni modo per arrivare alla fine del mese, ma anche chi vuole semplicemente usare al meglio le proprie disponibilità finanziarie e massimizzare il rapporto qualità-prezzo per ogni servizio o prodotto.
E se si tratta di fare scelte controcorrente, non è un problema: il mito della spesa e del consumo a tutti i costi non è più una ragione di vita, anzi…
L’inizio di tutto, almeno in Italia, può essere datato a metà degli anni ‘80, con i famosi libri Millelire: librerie e negozi iniziarono a riempirsi di questi tascabili, magari dei grandi classici del passato (affrancati dall’obolo dei diritti d’autore), con una grafica a dir poco minimalista e senza traduttori di gran nome, ma soprattutto con un prezzo stracciato rispetto al passato: meno di cinquemila lire per volumi che nella versione originale costavano più del doppio. A lanciare queste collane furono case editrici minori, ma ben presto anche quelle più prestigiose furono costrette ad adeguarsi ed a mettere sul mercato libri a basso costo. Poi seguì l’apertura dei supermercati discount (Lidl Italia aprì nel 1992), che in altri paesi europei si erano diffusi già da tempo. Anche oggi l’Italia è in ritardo per quanto riguarda il giro di affari del mercato low-cost rispetto al resto d’Europa, ma secondo l’ultimo rapporto Censis il 60% della popolazione usa almeno una volta all’anno un prodotto o un servizio a basso costo. A far la voce grossa sono soprattutto i voli aerei: oggi infatti si organizzano insieme agli amici viaggi nelle maggiori capitali europee, magari anche per un breve weekend, grazie ai pacchetti e alle offerte delle tante compagnie low-cost che operano in Italia (EasyJet, Transavia, WindJet o la più famosa Ryanair). Con 20-30 euro (niente tasse, prezzi stracciati: ma come faranno?!), si può partire dall’aeroporto Galilei per volare per un weekend a Berlino o a Londra, o per farsi un giro tra i Campi Elisi e le Ramblas. E’ vero, non c’è l’amletica domanda attesa da ogni viaggiatore, “dolce o salato?”, e a volte l’aeroporto di destinazione è ad un’ora di distanza dalla città, ma questi voli permettono esperienze che prima erano quasi impossibili per i giovani, a meno di avere un lauto stipendio. E questo è un altro aspetto fondamentale del low-cost: consente esperienze semi-sconosciute alle generazioni precedenti. “Prima non avevo mai viaggiato, se non per qualche gita scolastica – ci dice Giovanni, giovane studente pisano – invece da qualche anno, grazie a questi voli super-scontati, ho iniziato a girare l’Europa: Londra, Barcellona, Dublino, Parigi. E’ fantastico!”. A Pisa poi, soprattutto per gli studenti universitari ma anche per chiunque ne abbia bisogno, opera il CTS, il Centro Turistico Studentesco, in grado di organizzare viaggi e avventure a basso costo anche per chi non ha familiarità con Internet e prenotazioni on-line.
Un altro campo del vivere low-cost è quello dell’abbigliamento: non più per forza abiti e accessori di marca, ma via libera ai mercatini, dove si riescono a scovare capi davvero originali e a prezzi accessibili a tutti. Per non parlare poi degli outlet, dove si trovano le migliori griffe a prezzi super-scontati. “Un giretto a Barberino, magari nei periodi dei saldi, non manca mai – ci dice Michela, altra giovane studentessa - è un’occasione unica per rifarsi il guardaroba, e magari fare anche qualche regalino”. Per non parlare poi dei “grandi magazzini” di scarpe e abbigliamento, o ancora dei grandi store di attrezzature sportive.
E cosa dire del telefono? Sempre meno frequente è l’uso del cellulare, alla faccia delle grandi compagnie che hanno in Italia le tariffe più alte d’Europa; cresce invece l’impiego di tutte le nuove tecnologie che permettono di telefonare gratuitamente o a prezzi davvero ridotti, grazie all’utilizzo della rete Internet per veicolare totalmente o in parte le chiamate telefoniche. Diversi servizi e software, come Skype, VoIPStunt, VoIPBuster, Messenger, permettono una grande varietà di operazioni, quasi tutte gratuite: basta avere una connessione flat, magari ADSL (questa bisogna pagarla), per chiamare i numeri di rete fissa, contattare i propri amici in giro per il mondo, fare video-chiamate, audio-conferenze, e così via…
Il low-cost influenza (è proprio il caso di dirlo) anche campi meno ricreativi e più importanti, come quello dei farmaci: a Pisa, come nel resto d’Italia, ci sono infatti le parafarmacie, dove si trovano medicinali scontati della metà con le stesse qualità degli “originali”. Tanto quello che conta sono i principi attivi, non certo la veste grafica delle scatole o i “papirici” bugiardini.
E ancora si potrebbe parlare dei mobili, della musica, dei libri, del cibo. Ecco allora la giornata-tipo di un “low-costaro” pisano, giovane, quasi al verde, ma pieno di energia: sveglia e bici fino a Navacchio, per un giretto ai grandi magazzini ad acquistare un nuovo pantalone e un paio di scarpette di marca in offerta; arrivata l’ora del pranzo, via alla stazione da McDonald’s o a mangiare un bel kebab ripieno fino all’inverosimile; nel pomeriggio, un paio d’ore di studio, su libri rigorosamente fotocopiati o scaricati da Internet, e poi via a fare un po’ di sport, magari “a basso costo” al CUS, o a correre alle Piagge ascoltando musica (anch’essa “presa a prestito” da Internet). Quindi doccia e maxi-aperitivo nei locali di piazza Vettovaglie, dove paghi solo un bicchiere di vino e mangi fino a sazietà, e infine serata in un qualsiasi disco-pub a ballare sorseggiando una birretta. Cosa vuoi di più dalla vita?
... (continua)
sabato, agosto 02, 2008

Quale credibilità per lo sport italiano?


Riccò, Bastianelli, Baldini: tre azzurri nella rete del doping. Casualità, distrazione o consuetudine?

di Fabio Vitucci

Siamo a meno di una settimana dai Giochi Olimpici di Pechino, e lo sport italiano è scosso da tre storie molto diverse tra loro, ma con un unico, triste comune denominatore: il doping. Tre atleti, tre casi di positività, tre diverse reazioni, ma di certo la credibilità dello sport italiano subisce una botta tremenda.
Andiamo con ordine: si parte con Riccardo Riccò, giovane modenese e promessa del ciclismo internazionale, che ha appena stupito tutti con la sua forza e la sua sfrontatezza al Giro d’Italia, concluso sorprendentemente al secondo posto. Contro ogni pronostico, si presenta anche al Tour de France: “Ho recuperato bene”, dichiara alla partenza. Ed anche in terra di Francia, i suoi scatti e le sue vittorie in salita entusiasmano il pubblico… fino alla clamorosa notizia: Riccò trovato positivo all’Epo di terza generazione! E’ l’ennesimo caso che mette in ginocchio uno sport, il ciclismo, che non trova pace ormai dai tempi di Marco Pantani, e che ha perso davvero ogni credibilità agli occhi dell’opinione pubblica: ogni anno saltano fuori tantissimi casi di doping, nuove tecniche per aumentare le prestazioni, nuovi trucchi per nasconderle ai controlli… ormai nessun risultato nel ciclismo appare pulito fino in fondo. E poi come possono avere una valenza tecnica gare da cui vengono frequentemente eliminati i corridori che sembravano dominare la corsa, salvo poi scoprire che la “marcia in più” non era naturale?

Riccò qualche giorno fa ha confessato: “Dopo il Giro ero stanco, e ho commesso un errore di gioventù, e poi non sempre i controlli rilevano questo tipo di doping”. E chi ci dice che anche al Giro non era dopato, e i controlli non lo hanno pescato? E poi come si fa a partecipare ad una corsa, magari vincendola, sapendo di non aver gareggiato regolarmente? Riccò ha confessato e così ha evitato la radiazione (e non perché, come ha dichiarato il padre, “Mio figlio è un uomo”), ma lo sport delle due ruote non può continuare così: servono misure urgenti, come la radiazione immediata per chiunque risulti positivo.

Nemmeno il tempo di riprendersi dal caso Riccò, ed ecco un’altra triste notizia: Marta Bastianelli, campionessa mondiale under 23, pronta ad imbarcarsi per Pechino, risulta positiva ad un controllo antidoping. Qui il caso appare diverso: la ragazza, in lacrime, parla di una pillola presa per dimagrire, con medico e farmacista di fiducia che avrebbero controllato personalmente il medicinale. Eppure risulta una sostanza vietata, il CONI è durissimo con la ragazza e il sogno delle Olimpiadi sfuma. E dire che Bastianelli aveva firmato, come tutti gli atleti della spedizione azzurra a Pechino, il Protocollo d’Intesa proposto dal CONI contro il doping…

Lo stesso protocollo l’aveva firmato anche Andrea Baldini, 22enne livornese accreditato dei favori del pronostico nel fioretto maschile ai Giochi, nella scia della grande tradizione schermistica italiana. Il giorno prima della partenza per Pechino, arriva la notizia della positività ad un diuretico: tutti rimangono increduli, gli stessi compagni di squadra lo difendono, lui parla di un complotto… Certo, in questo caso è tutto molto strano: “La scherma è uno sport quasi statico, il doping non serve a nulla”, dichiara Raffaele Sanzo, plurimedagliato fiorettista, “Io non ho mai preso nemmeno un medicinale, e la tempistica della notizia, ad un giorno dalla partenza, è perlomeno sospetta”, accusa lo stesso Baldini, “Si tratterebbe di una forma di doping davvero arcaica, confrontata con l’Epo di Riccò”, analizza il medico della nazionale italiana di scherma.

Quale che sia la verità, anche Baldini è fuori dai Giochi Olimpici, e tutta la stampa internazionale guarderà con diffidenza ad ogni risultato vincente dei nostri portacolori, a prescindere dalla disciplina e dagli atleti. Naturalmente, non si tratta di un problema solo italiano: ormai lo sport, ad ogni livello, ha perso ogni regola ed ogni etica, e dopo i casi di doping tra i ciclisti amatoriali e il doping “meccanico” tra gli atleti disabili alle ParaOlimpiadi (spuntoni contro le parti del corpo “insensibili” per aumentare la pressione sanguigna), non c’è da stupirsi più di nulla… La speranza è che le Olimpiadi riportino lo sport al centro della scena e che le gare non vengano macchiate da altri casi di doping; tocca poi ad atleti e dirigenti, italiani e non solo, adoperarsi per far risaltare i veri principi dello sport, tra i quali anche un’onorevole sconfitta…
... (continua)


___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa