martedì, maggio 08, 2018
Un nuovo studio scopre un legame preoccupante tra il cambiamento climatico, il Sahara e la foresta pluviale amazzonica.

GreenReport - Secondo l’articolo “Future Decline of African Dust: Insights from the Recent Past and Paleo-records” pre-pubblicato su arXiv da un team dell’Earth Sciences Division del Nasa Goddard Space Flight Center e del Joint Center for Earth Systems Technologydell’università del Maryland (Tianle Yuan, Hongbin Yu, Mian Chin, Lorraine Remer), il riscaldamento globale può ridurre la quantità di sabbia che viene introdotta nell’atmosfera terrestre dal deserto del Sahara fino a 100 milioni di tonnellate all’anno, “affamando” la foresta pluviale amazzonica che ha bisogno di quei nutrienti e facendo alzare le temperature nell’Atlantico settentrionale. L’aumento delle temperature significherà meno vento e quindi meno sabbia.

I ricercatori scrivono che «La sabbia africana mostra una forte variabilità su una serie di scale temporali. Qui mostriamo che l’Iinterhemispheric contrast in Atlantic SST (Icas) porta alla variabilità della sabbia africana su scale temporali interannuali, multidecadali e millenarie, e che infuturo ci possiamo aspettare un forte declino antropogenico della sabbi africana a causa del previsto aumento dell’ICAS»

La sabbia del Sahara dispersa è un player sorprendentemente importante nel sistema climatico del pianeta: assorbe e disperde le radiazioni solari, insemina le nuvole fornendo minuscoli supporti per la formazione delle gocce d’acqua della pioggia che, quando ricadono al suolo, forniscono minerali essenziali per le piante e la vita marina come il ferro e il fosforo.

Ma la di sabbia e polvere presenti nell’atmosfera dipendono a loro volta da condizioni climatiche come temperatura, le precipitazioni e velocità del vento. Il deserto del Sahara e la regione semi-arida del Sahel rappresentano le principali fonti di sabbia e polvere atmosferiche: ogni anno contribuiscono in media con oltre 180 milioni di materiali a “fertilizzare” il pianeta.

La maggior parte della sabbia del Sahara e del Sahel viene trasportata dagli alisei a ovest dall’Atlantico, in gran parte ricade in mare, dove fornisce ferro vitale per far fiorire il fitoplancton. Ma ben 27 milioni di tonnellate di sabbia africana raggiungono il Sud America e in particolare l’Amazzonia, fornendo il fosforo che contribuisce a rendere rigogliosa e piena di vita la più grande foresta pluviale del mondo.

Insomma, senza il deserto del Sahara non avremmo il polmone verde della Terra.

Ma il mondo si sta riscaldando e gli scienziati prevedono che l’Atlantico settentrionale diventi più caldo di quello meridionale, portando i venti dell’emisfero meridionale a correranno verso nord per bilanciare il contrasto della temperatura, il che significa che l’area in cui si incontra la circolazione dell’aria dai due emisferi – conosciuta come la zona di convergenza intertropicale (intertropical convergence zone . ITCZ) – si sposterà verso nord. I ricercatori spiegano che «Fisicamente, le anomalie ICAS positive inducono cambiamenti di circolazione su larga scala che spingono verso nord la zona di convergenza intertropicale e diminuiscono velocità del vento in superficie sulle regioni africane di origine delle sabbie, il che riduce l’emissione di polveri e il trasporto verso l’Atlantico tropicale»..

Il team guidato da Yuan calcola che, a seconda delle future emissioni di CO2 di origine antropica, entro la fine del XXI secolo la quantità di sabbia e polveri potrebbe diminuire fino al 60%.

Gli autori dello studio hanno controllato il loro nuovo modello confrontandolo con documenti storici e dati paleoclimatici e dicono che «La relazione ICAS-ITCZ-sabbia trova anche un solido supporto dalle osservazioni sul paleo-clima che coprono gli ultimi 17.000 anni. L’impulso dell’ICAS sulla variabilità della sabbia africana è coerente con le relazioni documentate tra l’attività della polvere e le precipitazioni del Sahel, l’Oscillazione del Nord Atlantico e le serie temporali di un modello di velocità del vento superficiale sull’Africa settentrionale e offre un quadro unificato per capirle». Hanno così scoperto che le differenze di temperatura tra il nord e il sud dell’Atlantico sono correlate con i livelli di polvere africana negli ultimi 17.000 anni. Hanno anche rilevato una tendenza decrescente nella quantità di polvere a partire dal 1980.

Il calo dei livelli di sabbia può trasfornarsi in ciclo autorinforzante. I ricercatori statunitensi concludono: «La connessione ICAS-sabbia implica che le attività umane che modificano l’ICAS attraverso l’emissione di gas serra e gli inquinamenti hanno influenzato e continueranno a influenzare la sabbia africana. I modelli climatici prevedono che l’aumento antropogenico dell’ICAS possa spingere il valore dell’ICAS a superare il livello più alto raggiunto durante l’Olocene entro la fine di questo secolo e a ridurre l’attività della sabbia africana fino al 60% rispetto al livello attuale, il che avrà ampie conseguenze per gli aspetti climatici nella regione del Nord Atlantico e oltre».

Un altro effetto che ha la sabbia presente nell’atmosfera è quello di “ombreggiare” e raffreddare l’Atlantico settentrionale e con una sua diminuzione e il cielo più pulito il mare si riscalderà, il che sua volta significa meno polvere.




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