martedì, novembre 15, 2016
Per la prima volta una donna musulmana di origine somala entra nella Camera dei Rappresentanti. Dai campi profughi a Washington, da lei comincia la risposta dell'altra America.

di Lorenzo Carchini

Il suo volto sorridente è stato forse il miglior antidoto contro le tensioni causate dall'elezione a sorpresa di Donald Trump. Martedì, il giorno in cui il candidato repubblicano è diventato il 45° presidente degli Stati Uniti, una giovane donna musulmana dalla pelle nera è diventata la prima donna somala eletta alla Camera dei rappresentanti .

Ilhan Omar, 34 anni, è stata eletta in Minnesota, lo stato del Midwest dove si concentra la più grande comunità somala (circa 50.000 membri) degli Stati Uniti. Già nel mese di agosto, quando la sua designazione come candidato, dopo aver battuto primaria Phyllis Kahn, in carica dal 1973, lo Star Tribune, il giornale locale, aveva annunciato che Ilhan Omar si sarebbe avviata "scrivere una pagina storia".

La sua elezione tra i legislatori del paese, facilitata dalla dichiarazione di non responsabilità "per motivi familiari" per il suo rivale repubblicano, anch'egli somalo, è forse la buona notizia di questo lungo periodo elettorale che ha mostrato un'America più divisa che mai.

La giovane donna, madre di tre figli, molto attiva nel volontariato (conduce iniziative strategiche all'interno della Ong Women Organizing Women) ha presentato un programma di forte connotazione sociale, con sostegno alle famiglie disagiate, più ampio accesso all'istruzione e tutela dell'ambiente.

Non ha avuto paura di mettere piede nella Camera e nella vita politica, senza complessi e senza perdere ogni propria singolarità culturale. Annunciata la vittoria, ha dedicato il suo mandato "ai giovani e alle donne della comunità dell'Africa orientale", promettendo di essere anche "la voce dei musulmani". Nell'entourage del nuovo presidente, certo la notizia non deve aver suscitato entusiasmi. Durante la campagna, Trump ha annunciato di voler "rifiutare l'ingresso negli Stati Uniti per tutti i musulmani" e a Minneapolis, la capitale del Minnesota, descrisse la presenza della grande comunità somala come un "disastro".

La vita della giovane Ihlan Omar è abbastanza rappresentativa della storia dei rifugiati somali arrivati negli Stati Uniti. Nata nel 1982 a Mogadiscio, fuggì alla guerra, ritrovandosi a 8 anni in un campo profughi in Kenya. Vi rimase quattro anni prima di essere ammessa negli Stati Uniti. Una nuova vita in un paese in pace, ma di certo non senza tensioni: "Per la prima volta, mi sono resa conto di essere nera e musulmana e il mio colore della pelle e il mio hijab mi distinguono dal resto della popolazione", spiegò in seguito.

Cresciuta dal padre e dal nonno, avrebbe ceduto al virus della politica sotto l'influenza di quest'ultimo. Molto giovane, è diventata militante dei Democratici, attaccando manifesti e facendo il porta a porta nel quartiere. Senza trascurare la scuola e gli studi, fino a laurearsi in scienze politiche. La sua carriera politica non l'ha risparmiata da violenza e polemiche: due anni fa, durante un caucus di partito venne attaccata da 8 uomini, per dei motivi mai chiariti. I Repubblicani l'hanno anche accusata di aver contratto un falso matrimonio nel 2009.

Ilhan non si è arresa e non lo ha fatto neppure quando sulla sua comunità calò l'ombra dell'Isis e del terrorismo. Nel 2015, l'Fbi arrestò 6 giovani somali che si preparavano a partire per la Siria. Little Mogadiscio, il quartiere di Minneapolis della numerosa comunità, però, non fu ghettizzato, anzi collaborò a stretto contatto con i federali. Ma sarà lo stesso con Donald Trump al potere? Durante la campagna elettorale, Ilhan Omar criticato aspramente "l'islamofobia e lo sfruttamento della paura" del candidato repubblicano, accusandolo di istigare "crimini motivati dall'odio verso l'altro" : "Che ne sarà della nostra vita se questo uomo diventa presidente?" Le fu chiesto. La domanda è più che mai attuale, non solo per la nuova eletta alla Camera.


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