martedì, settembre 20, 2016
A fuoco l'hotspot di Moria. Al momento, secondo i volontari che lavorano nel campo, non ci sarebbero feriti, ma le tende e i prefabbricati che si trovavano all'interno del campo sono stati notevolmente danneggiati. La protesta contro le condizioni disumane del campo.

Migliaia di migranti sono in fuga dal campo profughi di Moria, sull'isola di Lesbo, in Grecia, a causa di un violento incendio. I media locali riportano le immagini di fiamme altissime, alimentate dal vento, che stanno distruggendo le tende del campo. Secondo i media locali, la polizia  avrebbe accertato che l'incendio sarebbe stato appiccato da un gruppo di immigrati in segno di protesta per le condizioni disumane del campo.

Le stesse organizzazioni per i diritti umani hanno ripetutamente criticato le condizioni dei migranti nei campi greci, puntando il dito proprio contro l'eccessivo affollamento e le cattive condizioni sanitarie: nonostante abbia una capacità di 3.500 persone, al momento ve ne sarebbero circa 5.400.

L'incendio sarebbe scoppiato dopo il rientro di 300 abitanti del campo scortati dalla polizia da una manifestazione in cui 500 cittadini di Lesbo chiedevano la riduzione del numero dei profughi. La storia del campo di Moria costituisce una delle tante ferite dell'Europa, incapace di gestire la crisi umanitaria generatasi nell'area mediorientale e nordafricana. Un ammasso di tende distribuite su un'enorme area scoscesa, tra cassonetti di spazzatura e tubi a vista. I bambini vivono tra fango e rifiuti. In molti sono costretti a dormire all'aperto, con nient'altro che una coperta addosso.

Lo chiamano "l'inferno di Moria", un Acheronte su cui esseri umani aspettano di conoscere il proprio destino. Tutti hanno avuto un motivo per fuggire, chi dal Pakistan, chi dalla Siria o dalla Libia, dalla Nigeria. Spesso nel corso del viaggio hanno perso tutta la famiglia, tra traffici di organi e gli abusi dei trafficanti di umani. Il campo è diventato un hotspot all'indomani dell'accordo tra Europa e Turchia e gli arrivi sono effettivamente diminuiti; ma ora nessuno più se ne va. Se prima era un vasto e disorganizzato centro di registrazione, dove i profughi appena arrivati nel giro di 24-48 ore venivano inviati sulla terraferma, adesso la struttura si è trasformata in un centro di detenzione per chi è in attesa di conoscere il proprio destino: restare o tornare indietro.

Dopo la visita di Papa Francesco le condizioni sono andate peggiorando: le risse non si contano e la polizia non interviene, l'accesso al cibo (spesso già avariato) è una guerra, nessuno si muove se non in gruppo. E poi le prigioni, la "sezione B", la mancanza di una struttura scolastica per i bambini, le condizioni igieniche disastrose (il tasso di malattie è altissimo). La protesta delle varie organizzazioni umanitarie internazionali ha portato qualche piccolo risultato: dalla libertà di potersi muovere per l'isola di giorno, al trasferimento in altri campi (Kara Tepe e Pikpa) per chi abbia gravi necessità.

Quello che sappiamo del campo di Moria è soltanto figlio di alcuni audaci repoter che sono riusciti ad entrarci, nascondendosi ai militari di guardia, che hanno parlato con chi quell'inferno lo vive ormai quotidianamente, che non fa mistero dei propri istinti suicidi e della quantità di malattie, anche letali, che si è preso scambiandosi le esigue risorse disponibili con i vicini di tenda.


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