sabato, agosto 27, 2016
I sopravvissuti risiedono nel distretto di Makawanpur, dove vivono in tutto 30.322 abitanti. I fondi distribuiti sono pari a circa 575mila euro, molto meno rispetto ai quattro miliardi di dollari raccolti dalla comunità internazionale. Istituiti nuovi 21 centri direzionali che potrebbero rallentare ancora di più la ricostruzione.

Kathmandu (AsiaNews) – Dopo un anno “non abbiamo ancora un tetto sopra la testa. Quanto ci vuole per ricostruire una casa? Per quanto tempo ancora dovremo aspettare?”. La domanda di Om Bahadur Ghale è la stessa di migliaia di suoi vicini: tutti nella zona di Barpak, epicentro del sisma che il 25 aprile 2015 ha sconvolto il Nepal. Il terremoto – di magnitudo 7,9 – ha rappresentato il peggior disastro naturale del Paese dal 1934. I morti furono circa 9mila, con oltre 22.300 feriti. Un anno dopo, tutto è ancora in rovina.

Il terremoto ha distrutto case, scuole, templi indù, carceri. In dicembre, diversi esperti sostenevano che la ricostruzione non sarebbe stata semplice e avrebbe potuto impiegare ancora “diversi mesi”, affliggendo ancora di più la popolazione nella morsa dell’inverno. Si calcola che almeno 8mila persone vivano ancora nelle tende allestite dalle squadre di recupero soltanto nella zona di Barpak. Circa 500mila famiglie, secondo il governo, sono al momento senza una casa; diverse Ong stimano il numero in “almeno 4 milioni”.

Il ritardo nella ricostruzione è da imputare alla flemma con cui il governo ha scelto i membri dell’Autorità nazionale per la ricostruzione: questi sono incaricati di stabilire i danni e indirizzare i fondi arrivati dalla comunità internazionale.

Per adesso, il governo ha fornito circa 250 dollari alle famiglie sfollate per comprare vestiti caldi per l’inverno e ha riconosciuto un indennizzo da 400 dollari per ogni membro della famiglia morto nel sisma. Inoltre, un gruppo di esperti ha stimato i danni e ha stabilito le priorità per ridare un volto alle aree distrutte.

Secondo l’Autorità, serviranno in totale circa 8 miliardi di dollari per ricominciare. La comunità internazionale ne ha già forniti quattro, ma secondo il portavoce Ram Thapaliya i donatori “devono fare di più. Stiamo cercando i fondi mancanti”.

Eppure i soldi non vengono spesi: il timore di corruzione, appropriazione indebita e sperpero hanno frenato il governo dall’aprire le casse, al punto che molti donatori iniziano a chiedere conto del ritardo.

Ian Wishart, di Plan International Australia, spiega: “Il rallentamento ha bloccato tutto. I materiali non sono arrivati, il carburante non è stato distribuito, persino l’elettricità viene razionata. Soltanto da poco le cose sono ripartite. Riteniamo che le enormi somme di denaro orbitate intorno alla ricostruzione hanno attirato troppe persone, e la corruzione qui è sempre in agguato. Speriamo di poter partire presto con il nostro progetto, la ricostruzione di scuole primarie”.


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