giovedì, giugno 30, 2016
«La tensione è sopita ma è sempre dietro l’angolo», così padre Aurelio Gazzera descrive ad Aiuto alla Chiesa che Soffre l’attuale situazione nella Repubblica Centrafricana, dopo i recenti scontri avvenuti sia nella capitale Bangui che nel Nord del paese. Padre Gazzera è un missionario carmelitano da oltre vent’anni in Centrafrica, che attualmente vive a Bozoum ed è direttore della Caritas di Bouar.

L’11 giugno alcuni membri della coalizione ribelle Seleka hanno scortato dei locali che trasportavano del bestiame, probabilmente rubato, verso la frontiera con il Camerun. Giunti ad un posto di blocco vicino alla città di Ngaoundaye, la polizia ed alcuni membri delle milizie anti-balaka hanno intimato agli uomini della Seleka di consegnare le armi. È seguito un conflitto a fuoco e «per vendicarsi – spiega padre Gazzera – nelle ore e nei giorni seguenti alcuni ribelli hanno attaccato Ngaoundaye». «Gli abitanti si sono immediatamente rifugiati nella missione locale gestita dai frati cappuccini, “visitata” poco dopo anche da membri della Seleka, che tuttavia si sono limitati a rubacchiare qualcosa e a minacciare frati e abitanti, senza essere troppo violenti».

A Bangui, la capitale, il teatro degli scontri è stato ancora una volta l’ormai noto quartiere musulmano Km 5. «Alcune bande di fedeli islamici si sono rifugiate nel quartiere, probabilmente protette dagli abitanti dell’enclave musulmana in cui nessuno osa entrare e in cui sia la polizia che i caschi blu hanno spesso la peggio». Le bande si erano ritirate nel km5 a seguito dell’arresto di loro componenti avvenuto pochi giorni prima. Per costringere le autorità a liberare i loro compagni, hanno quindi rapito sei poliziotti. «È davvero grave che degli agenti di polizia siano rapiti nella capitale del Paese – commenta padre Aurelio – ciò conferma l’estrema debolezza del governo». Se inizialmente le autorità si sono rifiutate di negoziare, il fatto che i poliziotti siano stati liberati e che il processo ai membri delle bande islamiche, in programma per sabato scorso, non sia mai venuto, lascia intuire che il governo abbia ceduto alle richieste dei sequestratori.

Due episodi che non hanno una matrice religiosa, ma che rischiano di minare il clima di serenità e pace che regnava in Centrafrica dopo la visita del Pontefice nel novembre scorso. Al punto che in molti, incluso l’arcivescovo di Bangui, monsignor Dieudonné Nzapalainga, hanno parlato in questi mesi di “Miracolo di Papa Francesco”. Ora le tensioni potrebbero sfociare in nuovi scontri interreligiosi, specie perché, come spiega padre Aurelio Gazzera, «vengono spesso diffuse in internet notizie false riguardante musulmani uccisi o torturati, come se qualcuno volesse alimentare i disordini». Mentre la Seleka è tornata ad espandersi e controlla circa il 60 percento del Paese.

In un momento tanto delicato è più che mai indispensabile continuare a sostenere il dialogo interreligioso, ed è per questo che, nell’ambito della campagna internazionale Be God’s Mercy, Aiuto alla Chiesa che Soffre sosterrà l’organizzazione di un incontro per il dialogo e la riconciliazione che riunirà nella capitale centrafricana Bangui circa 650 tra sacerdoti, religiosi e rappresentanti delle diverse comunità. «Un progetto importantissimo – afferma il religioso - specie ora che vi è il rischio che si torni a sparare».


“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2015 ha raccolto oltre 124 milioni di euro nei 22 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato 6.209 progetti in 148 nazioni.


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