Principe saudita Mohammad Bin Salman ha condizionato lo stop agli incrementi di produzione all'adesione di Teheran. I mercati non l'hanno presa bene.
WSI -
L’Arabia Saudita aderirebbe a un piano condiviso nel congelamento della produzione di petrolio se ci sta anche l’Iran; lo ha detto il principe Saudita, Bin Salman, in un’intervista rilasciata a Bloomberg. Alcuni analisti avevano speculato sulla possibilità che Riyad potesse unilateralmente operare un blocco della produzione sugli attuali 10,2 milioni di barili al giorno, ma il principe Salman ha sonoramente smentito: “Se tutti i Paesi, inclusi Iran, Russia, Venezuela, i Paesi Opec e tutti i maggiori produttori decidessero di congelare la produzione, saremmo fra loro”.
Salman è stato molto chiaro, anche l’Iran, il principale rivale dei sauditi nella geopolitica mediorientale, dovrebbe muoversi verso la razionalizzazione dell’offerta dell’oro nero in un mercato che ha duramente abbattuto il suo prezzo. Finora l’Iran ha manifestato, al contrario, la volontà di sfruttare appieno la rimozione delle sanzioni occidentali per ritornare a pompare greggio ai livelli precedenti all’isolamento internazionale; le probabilità che collabori non sono molte.
Il mercato, quindi, non ha accolto con favore il fatto che l’Iran sia stato indicato come ago della bilancia nei prossimi negoziati del 17 aprile in Qatar, durante i quali verrà discusso l’eventuale congelamento coordinato della produzione. Il contratto sul Brent, infatti, è scivolato più del 2% in area 39,50 dollari al barile. Tartassati anche i futures sul mercato Wti americano, che hanno visti bruciati i guadagni messi a segno da inizio anno.
Il contratto sul petrolio Usa si posiziona sui minimi di seduta sotto quota 37 dollari (-3,6%). Anche per l’Arabia Saudita il calo del petrolio costituisce una problematica sulla lunga distanza, visto che le esportazioni di greggio sono la principale voce d’entrata del bilancio pubblico: “Non credo che il declino dei prezzi ci ponga minacce”, ha però dichiarato Salman, che prevede comunque un rialzo nei prossimi due anni dovuto alla crescita della domanda e non all’amministrazione controllata dell’offerta Opec, propria degli anni passati.
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L’Arabia Saudita aderirebbe a un piano condiviso nel congelamento della produzione di petrolio se ci sta anche l’Iran; lo ha detto il principe Saudita, Bin Salman, in un’intervista rilasciata a Bloomberg. Alcuni analisti avevano speculato sulla possibilità che Riyad potesse unilateralmente operare un blocco della produzione sugli attuali 10,2 milioni di barili al giorno, ma il principe Salman ha sonoramente smentito: “Se tutti i Paesi, inclusi Iran, Russia, Venezuela, i Paesi Opec e tutti i maggiori produttori decidessero di congelare la produzione, saremmo fra loro”.
Salman è stato molto chiaro, anche l’Iran, il principale rivale dei sauditi nella geopolitica mediorientale, dovrebbe muoversi verso la razionalizzazione dell’offerta dell’oro nero in un mercato che ha duramente abbattuto il suo prezzo. Finora l’Iran ha manifestato, al contrario, la volontà di sfruttare appieno la rimozione delle sanzioni occidentali per ritornare a pompare greggio ai livelli precedenti all’isolamento internazionale; le probabilità che collabori non sono molte.
Il mercato, quindi, non ha accolto con favore il fatto che l’Iran sia stato indicato come ago della bilancia nei prossimi negoziati del 17 aprile in Qatar, durante i quali verrà discusso l’eventuale congelamento coordinato della produzione. Il contratto sul Brent, infatti, è scivolato più del 2% in area 39,50 dollari al barile. Tartassati anche i futures sul mercato Wti americano, che hanno visti bruciati i guadagni messi a segno da inizio anno.Il contratto sul petrolio Usa si posiziona sui minimi di seduta sotto quota 37 dollari (-3,6%). Anche per l’Arabia Saudita il calo del petrolio costituisce una problematica sulla lunga distanza, visto che le esportazioni di greggio sono la principale voce d’entrata del bilancio pubblico: “Non credo che il declino dei prezzi ci ponga minacce”, ha però dichiarato Salman, che prevede comunque un rialzo nei prossimi due anni dovuto alla crescita della domanda e non all’amministrazione controllata dell’offerta Opec, propria degli anni passati.
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