venerdì, marzo 04, 2016
Ci sono ancora centinaia di cristiani in un angolo di Siria dove dettano legge i miliziani islamisti. E i frati della Custodia hanno scelto di rimanere con loro. Pizzaballa: «Un pastore non abbandona il suo gregge e non si chiede se le sue pecore valgano molto o poco, se siano numerose o giovani. Per un pastore tutte le pecore sono importanti e le ama tutte allo stesso modo». 

di Gianni Valente  

Vatican Insider - Ci sono anche cristiani tra i sudditi della galassia jihadista che ancora contende un bel pezzo di Siria al governo di Damasco e ai suoi alleati russi e sciiti. Sono pochi, poveri, anziani e malmessi, ma ce ne sono. E al loro fianco ci sono i Francescani della Custodia di Terrasanta, che proprio nelle ultime settimane hanno rinnovato la scelta di non abbandonare quel piccolo resto di uomini e donne che portano il nome di Cristo nelle terre in mano ai miliziani islamisti.

Succede a Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh, i paesini della Valle dell’Oronte, dove circa quattrocento battezzati continuano a vivere, pregare e partecipare alle messe celebrate nelle tre parrocchie cattoliche spogliate delle campane, delle croci e delle statue dei santi. Sono gli ultimi rimasti, quelli che non sono riusciti ad andar via perché non avevano i mezzi o l’età per scappare altrove. E i due frati che stanno con loro sono gli unici sacerdoti e religiosi cristiani rimasti nelle terre dove dettano legge le corti islamiche imposte dalle milizie jihadiste.

Negli ultimi tempi, anche i figli di San Francesco si sono chiesti se fosse ancora possibile e giusto rimanere, esponendosi ai nuovi rischi di violenze e ritorsioni, divenuti ancor più incombenti nella fase incerta in cui è entrato il conflitto siriano. A porre la questione in termini brutali e non più aggirabili per la Custodia francescana è stato l’ennesimo sequestro di Dhiya Azziz, il frate iracheno quarantenne che guidava la parrocchia di Yacoubieh. Una detenzione durata 12 giorni, conclusasi con una liberazione annunciata dalla Custodia lo scorso 4 gennaio senza ulteriori dettagli. La vicenda ha riproposto ai frati della Custodia un interrogativo cruciale: è bene ed opportuno restare nelle parrocchie dei villaggi siriani sotto il controllo delle forze islamiste avversarie del governo di Damasco, anche se il numero dei cristiani locali continua a scemare perché molti se ne vanno? O è meglio ripiegare in attesa di tempi migliori? Lo stesso Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, ha chiamato tutti i frati della Custodia a farsi carico della sofferta decisione, chiedendo loro consiglio sulla scelta da prendere.

Nelle settimane successive, tanti frati hanno fatto riferito a voce o in forma scritta le loro considerazioni a padre Pizzaballa, che in un messaggio riportato anche dal sito Terrasanta.net ha raccontato l’esito del discernimento comunitario: «Le vostre opinioni» riferisce il Custode nel messaggio rivolto ai suoi confratelli «sono state di grande aiuto e hanno reso meno faticosa la decisione da prendere… Nella quasi totalità avete espresso con chiarezza il parere che sia doveroso restare nei villaggi, senza considerazione per il numero dei parrocchiani, e nonostante il pericolo». Poi, Pizzaballa aggiunge considerazioni che lasciano intravedere da dove attinge forza tale scelta, così intimamente connaturale al carisma dei figli di San Francesco: «La Custodia – soggiunge – non ha mai abbandonato i luoghi e la popolazione che la Chiesa le ha affidato, anche a rischio di pericolo. Non pochi tra i nostri martiri, anche nel periodo recente, sono morti in circostanze non troppo dissimili dalla situazione attuale. Un pastore non abbandona il suo gregge e non si chiede se le sue pecore valgano molto o poco, se siano numerose o giovani. Per un pastore tutte le pecore sono importanti e le ama tutte allo stesso modo». Con questo spirito, il Custode di Terra Santa annuncia che a Yacoubieh, al posto di fra Dhiya, è arrivato da Betlemme Louay Bhsarat, il giovane frate giordano che aveva dato la sua disponibilità ad andare in Siria «fin dall’inizio della guerra».

Nella vicenda delle piccole comunità cristiane dell’Oronte custodite dai Francescani si coglie l’ordito più intimo e prezioso dell’esperienza martiriale vissuta da tante comunità cristiane nella Siria martoriata dalla guerra. Già nel 2011 quell’area nel nord-ovest siriano era caduta sotto il controllo dei ribelli anti-Assad: prima i tagliagole dello Stato Islamico, e poi i quaidisti di Jabhat al-Nusra. A quel tempo, molte cancellerie occidentali esaltavano la rivolta contro il regime di Damasco, e in Occidente i cristiani siriani venivano accusati di essere quinte colonne degli apparati di Assad. Quando in quel lembo di Siria erano arrivati i ribelli, alcuni cristiani e un prete ortodosso erano dovuti fuggire, perchè era nota la loro vicinanza con i governativi. I Francescani, invece, erano rimasti con i loro parrocchiani, e non erano stati espulsi. Non per una scelta di campo a favore dei nuovi arrivati. Ma solo perché, nella loro inermità, non ostentavano nessuna militanza o contiguità con fazioni politiche. E fino a quel momento si erano solo limitati a rispettare l’ordine costituito.

Sotto il dominio jihadista, i cristiani dei tre paesini sull’Oronte hanno dovuto cancellare ogni visibilità pubblica della vita ecclesiale: niente campane, niente processioni, niente croci sulle chiese, niente statue della Madonna o dei santi esposte all’aria aperta. Nell’autunno 2014 anche padre Hanna Jallouf, il parroco di Knayeh, era stato posto in stato di detenzione dai jihadisti insieme ad alcuni giovani della parrocchia. Era accaduto dopo che il religioso francescano si era recato di persona al Tribunale islamico della zona, dove aveva provato a denunciare i crescenti soprusi perpetrati dalle brigate di islamisti ai danni del convento. Col suo gesto, padre Hanna aveva provato a verificare se davvero il «nuovo ordine» imposto dai jihadisti poteva garantire i diritti limitati di un suddito cristiano, come prescriverebbe la Sharia, anche nelle sue interpretazioni più rigoriste. E la rappresaglia subita da lui e dai suoi parrocchiani bastava da sola a smascherare le parole d’ordine del marketing islamista.

In questi anni, nei giochi delle opposte propagande, i cristiani siriani sono stati denigrati o blanditi, maltrattati ed esposti come trofei. Circoli d’Occidente, dove prima venivano insultati, vorrebbero ora etichettarli addirittura come vittime di un inesistente «Genocidio», magari per giustificare in loro nome qualche operazione militare. Mentre anche Assad, dal canto suo, continua a coltivare l’immagine del leader arabo «amico dei cristiani».

Nella loro fragilità disarmata, i Francescani della Custodia e i loro amici hanno mostrato al mondo che si può sempre provare a vivere da cristiani sotto chi comanda pro tempore, chiunque sia. Anche se sono quelli del Califfato Islamico. E la loro inerme perseveranza potrà aiutare a custodire chi rimane anche nel futuro, qualsiasi sia il futuro della Siria.


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