giovedì, gennaio 28, 2016
Alberto Mieli dopo 71 anni ha confidato i ricordi in un libro con la nipote. Padre Lombardi: aiuta, forse meglio di studi dotti e documentati, a capire quale terribile ingiustizia si consumava in Italia. Il portavoce vaticano conferma che il Pontefice si recherà probabilmente ad Auschwitz nel corso della sua visita in Polonia del prossimo luglio. di Jacopo Scaramuzzi 

Vatican Insider - La Radio vaticana ospita, questo pomeriggio in occasione della giornata della Memoria, la presentazione del libro «Eravamo ebrei. Questa era la nostra unica colpa» (Marsilio) nel quale Alberto Mieli racconta, 71 anni dopo, la sua esperienza nel campo di sterminio di Auschwitz. «Alberto Mieli è uno degli ultimi deportati romani nei campi di sterminio nazisti ancora in vita. È un bisnonno che ama la sua famiglia e ne è teneramente riamato», scrive padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, nella prefazione del volume realizzato da Alberto Mieli con la nipote Ester. «Con il trascorrere del tempo – prosegue il gesuita nel testo anticipato dall’Osservatore Romano – è riuscito a superare il comprensibile rifiuto di parlare degli indicibili orrori vissuti negli anni della sua giovinezza, e ha capito che raccontare il suo passato diventava una medicina per la sua anima e un dono prezioso per gli altri, in particolare per le nuove generazioni, che hanno tanto bisogno di “memoria” per costruire il futuro».

Aiutato «dalla buona penna dell’affezionata nipote Ester», continua padre Lombardi, Alberto «ci conduce così con semplicità attraverso i ricordi della sua vita, dall’infanzia serena, all’esclusione dalla scuola perché ebreo, al graduale peggioramento delle condizioni di vita della sua famiglia e al deteriorarsi dei rapporti sociali in conseguenza delle leggi “razziste” del fascismo». E la concretezza delle esperienze della vita quotidiana, nota il direttore della Sala stampa, «aiuta – forse meglio di studi dotti e documentati – a capire quale terribile ingiustizia e offesa alla dignità delle persone si stesse alimentando e consumando in Italia e in Europa con l’ascesa delle ideologie razziste e totalitarie. Quasi un crescendo che alla fine esplode nell’abominio delle deportazioni e dei campi di sterminio, dove la dignità delle persone veniva distrutta sistematicamente e brutalmente ancor prima della distruzione della loro vita fisica».


In un’intervista a Fabio Colagrande della stessa Radio vaticana, Mieli racconta: «Sono diversi anni che vado nelle scuole, nelle università e negli atenei a raccontare la verità di quello che succedeva nei lager. Però i particolari li racconto adesso. Prima di tutto per dovere verso quei compagni che non sono ritornati a casa; e poi perché è un dovere raccontare ai giovani quello che è successo in quei lager e ciò che i miei occhi hanno dovuto vedere». Il sopravvissuto al lager racconta dettagli raccapriccianti: «Ho assistito a episodi che nessuna mente umana può immaginare! Uno in particolare, lo racconto ai ragazzi quando vado a testimoniare: chi è che non si è mai intenerito davanti a un cucciolo di un cane, a un micino. Abbiamo paura pure di toccarlo per non fargli del male: invece loro, i nazisti, prendevano bambini di 6-7 mesi, che balbettavano dal freddo; li prendevano per i piedini, come quando escono dalla pancia della madre; li facevano dondolare 6-7 volte e poi con violenza li tiravano in alto e sparavano, come se fossero dei volatili». Confida Mieli: «Un giorno Papa Wojtyla mi domandò: “Figliolo, come hai fatto a salvarti da quell’inferno?”. Io lo guardai e gli dissi: “Santità, a questa domanda non so rispondere! Però so una cosa certa: lei è una persona molto più colta di me, molto più istruita, molto più brava e perciò gli sta molto più vicino lei che non io: dovrebbe domandarlo al Signore...”».

Alla conferenza stampa, oltre all’autore, a padre Lombardi e a Colagrande, saranno presenti Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma e mons. Marco Gnavi, responsabile dell’ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso del Vicariato. Nella postfazione del libro il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni nota da parte sua che «quando si ascoltano o si leggono le testimonianze della Shoa, l’enormità dei fatti e la forza dei racconti non può essere comparabile a qualsiasi commento. La parola va lasciata ai testimoni». Alberto Mieli, aggiunge, «ha cominciato molto tardi a raccontare le sue esperienze di perseguitato e sopravvissuto ai campi e forse non ci ha neppure riferito tutto. Il suo racconto stupisce per tanti motivi. Sembrerebbe l’ennesima storia sovrapposta a tantissime altre parallele, eppure c’è una tensione, una umanità, una sensibilità, una originalità assoluta». Non molti, rileva Di Segni, «hanno descritto il disastro delle conseguenze delle leggi razziali con la forza con cui Alberto ha raccontato la rovina della sua famiglia, la disperazione e la vergogna del padre, le disavventure di ragazzi espulsi dalla scuola e improvvisamente buttati per le strade a cercare mezzi di sopravvivenza. Ed era solo l’inizio della tragedia. Ognuno di quelli che si è salvato, si è salvato giorno per giorno, con una serie di ripetuti miracoli. Chi crede vi potrà vedere, oltre al mistero dell’o r ro re estremo, una mano che guida le vicende dei singoli, purtroppo pochi, che riescono a districarsi e a sopravvivere, per venircelo a raccontare».

La Giornata della memoria, ricorrenza internazionale, cade oggi perché proprio il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata russa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.

Nel corso della conferenza stampa padre Lombardi, kippah in testa, ha confermato, tra l’altro, che Papa Francesco si recherà probabilmente ad Auschwitz nel corso della sua visita in Polonia del prossimo luglio.

«Non amo i gesti teatrali», ha detto il gesuita, raccontando che, però, il giorno della visita del Papa in sinagoga, lo scorso 17 gennaio, aveva ascoltato la presidente della comunità ebraica romana Ruth Dureghello esprimere il suo dissenso nei confronti della proposta, emersa nelle scorse settimane in Francia in seguito agli attentati terroristici del 13 novembre a Parigi, che gli ebrei non indossino il copricapo rituale per motivi di sicurezza, considerando che invece ognuno debba poter continuare ad esprimere la sua fede e la sua identità.

«Non ho dimenticato quell’invito», ha proseguito Lombardi, «ho tirato fuori la kippah che ci avevano dato il giorno della visita in sinagoga e ora la indosso in segno di solidarietà e amicizia».

La stessa Dureghello, seduta accanto al gesuita durante la presentazione del libro, ha commentato: «Le sta benissimo». Padre Lombardi, che ha espresso la sua «emozione» per il fatto che la Giornata della memoria venga vissuta «in una casa vaticana» come la sede dell’emittente radiofonica «insieme ad uno dei pochissimi superstiti» dei campi di concentramento, Alberto Mieli, ha poi rievocato i tre discorsi pronunciati dai tre Papi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco al memoriale della Shoah di Gerusaelemme, lo Yad Vashem, e i due discorsi pronunciati da Wojtyla e Ratzinger ad Auschwitz e che «penso tra non moltissimo tempo» anche Bergoglio lì pronuncerà.

Una conferma, questa, di quanto preannunciato a novembre scorso dal presidente polacco Andrzej Duda, che, in seguito ad un’udienza dal Papa, aveva riferito l’intenzione di Francesco di recarsi in visita al lager, oltre che al santuario mariano di Czestochowa, in occasione del prossimo viaggio in Polonia per la Giornata mondiale della gioventù di Cracovia a luglio. Il gesto della stretta di mano al presidente dell’Iran, Hassan Rohani, nell’ambito della sua visita in Italia, è stato giudicato «incoerente» dalla presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, a margine della presentazione del libro. «Credo che sia quanto mai necessario - ha detto Dureghello - un’assunzione di responsabilità da parte delle dirigenze politiche nel momento in cui si compiono alcuni atti che sicuramente hanno alla base un fondamento ma che io non comprendo». Alla domanda se si riferisca anche alla visita di Rohani in Vaticano, Dureghello ha replicato: «Comprendo un po’ di più la posizione del clero, è un approccio diverso di un mondo religioso che si apre ma alla stessa maniera credo che una coerenza di gesti debba essere necessaria da ogni parte».

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