lunedì, gennaio 12, 2015
Udienza agli ambasciatori accreditati in Vaticano - No al Dio “pretesto ideologico” del fondamentalismo 

di Paolo Fucili 

L’atmosfera fiabesca dei presepi, ormai smontati e riposti nei cassetti, non inganni. Basta leggere i pur sintetici ma chiari Vangeli dell’infanzia. Perché l’annuncio di pace dei cori angelici, nella notte stellata della Betlemme che fu, è solo una faccia della medaglia. Anzi, ci sono persino antiche Natività nell’arte, tanto d’Oriente quanto d’Occidente – abbiamo appreso stamane dalla viva voce di Papa Bergoglio – in cui il bambinello giace non in una culla, ma in freddo sepolcro. “Accanto all’accoglienza gioiosa per la nuova nascita”, secondo l’esegesi appunto di Francesco, “vi è tutto il dramma di cui Gesù è oggetto, disprezzato e reietto fino alla morte in Croce”. Ecco insomma “il cuore indurito dell’umanità, che fatica ad accogliere il Bambino”, lasciato “al freddo e al gelo” – abbiam finito appena di cantare - a causa dell’eccezionale “tutto esaurito” negli alberghi dell’epoca.

Trattasi di quell’“indole del rifiuto”, l’ha chiamata oggi il Pontefice, da cui discende la meglio nota “cultura dello scarto”, vero e proprio leit motiv del magistero bergogliano. Ovvero “non guardare al prossimo come ad un fratello da accogliere, ma lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita”, se non addirittura trattarlo da “concorrente”, “suddito da dominare”. Vedi il famigerato re Erode, vero e proprio “emblema” – Francesco dice - dell’indole sopra citata, giacché sentendosi minacciato dalla nascita di un solo, innocuo bambino, nel dubbio non esitò a farli uccidere tutti. Ma non solo la storia, pure l’odierna cronaca internazionale di giornali e TV è prodiga di esempi, di cui il Pontefice ha infarcito svariate cartelle di testo lette stamane al qualificato e variegato uditorio riunito nel Palazzo apostolico vaticano.

“Il pensiero corre subito al Pakistan, dove un mese fa oltre cento bambini sono stati trucidati con inaudita ferocia”, nella strage compiuta il 16 dicembre scorso dai talebani, in una scuola di Peshawar. Per non dire dell’attentato di Parigi al giornale Charlie Hebdo, già prontamente deplorato dal Papa in altre circostanze, che stamane gli ha ispirato la ferma denuncia di “forme fuorviate” di religione. Sono le riflessioni condivise oggi con i ben 180 ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, in rappresentanza di altrettanti paesi, convocati a Roma (dove solo 83 risiedono stabilmente) per il consueto scambio di auguri di inizio d’anno.

“Pace”, che è “una parola a noi molto cara”, è il primo augurio di Bergoglio a tutti i popoli idealmente presenti stamane (solo 15 paesi del mondo non intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede, tra cui Arabia Saudita, Cina, Vietnam), tra i pregevoli affreschi della solenne “sala regia”. E invece oggi nel mondo è come se si combattesse una terza “guerra mondiale”, sebbene “a pezzi”, ebbe a dire tempo fa Francesco con un’espressione ripresa tale e quale oggi, con allegato elenco dei più roventi focolai di guerra accesi qua e là nel pianeta.

Il primo è l’Ucraina, poi Terrasanta (“che la soluzione di due stati diventi effettiva”, il Papa chiede, “entro confini chiaramente stabiliti e riconosciuti internazionalmente”), Nigeria, Libia e via via Repubblica centroafricana, Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo, per rimanere nell’Africa nera. Ma “agghiaccianti”, con virgolettato di Francesco, sono in particolare i conflitti in Iraq e Siria, a causa del terrorismo fondamentalista che è anch’esso “cultura dello scarto, applicata a Dio”, rifiutato e usato come “mero pretesto ideologico”.

Bisogna fermare quelle violenze con una risposta “nel quadro del diritto internazionale”. E sulla persecuzione dei cristiani di quell’area, “un Medioriente senza cristiani sarebbe un Medioriente sfigurato e mutilato”, scandisce oggi ancora Bergoglio con annesso appello perché “i leader religiosi, politici intellettuali, specialmente musulmani, condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione”.

Ma tutte le guerre, senza eccezione, “rivelano il volto più emblematico della cultura dello scarto”, vale a dire “calpestare” deliberatamente vite altrui, da parte di chi ha la forza. Pensiamo ad un crimine “orrendo” che esse portano con sé, Francesco suggerisce, cioè la violenza sessuale, “gravissima offesa alla dignità della donna”.

Tra gli “scartati” del mondo Bergoglio elenca quindi i malati africani di Ebola, per i quali chiede “adeguata assistenza umanitaria” e “impegno comune per debellare il morbo. Poi profughi e rifugiati, in cerca spesso di un “futuro” e basta, non necessariamente “migliore”, quando “rimanere nella propria patria può significare una morte certa”; ma quanti, è la domanda, “perdono la vita in viaggi disumani, sottoposti alle angherie di aguzzini avidi di denaro?”. Infine anziani, diversamente abili, giovani cui son negate “concrete prospettive lavorative per costruirsi il proprio avvenire”; ma “non esiste peggior povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro”.

Allo scoccare però di un nuovo anno “non vogliamo che il nostro sguardo sia dominato dal pessimismo”. Nell’attesa dell’imbarco in aereo in serata, direzione Sri Lanka poi Filippine, il pensiero di Francesco è andato ai viaggi degli ultimi mesi. Anzitutto c’è l’Albania, nazione giovane dove in tema appunto di “indole del rifiuto” vige al contrario “un clima di rispetto e fiducia reciproca tra cattolici, ortodossi e musulmani”, perché “la cultura dell’incontro è possibile”, Bergoglio là ha toccato con mano; poi la Turchia, dove “ho potuto constatare i frutti del dialogo ecumenico e religioso, nonché l’impegno verso i profughi” di altri paesi del Medioriente.

L’anno vecchio poi ha segnato lo storico “disgelo” tra Stati Uniti e Cuba dopo mezzo secolo di tensioni, “esempio a me molto caro” – ha commentato il Pontefice – “di come il dialogo possa davvero costruire ponti”. Ora, Francesco esorta, tutta la comunità internazionale è chiamata a due ambiziosi obiettivi, una nuova Agenda di sviluppo post-2015, con alcuni Obiettivi di sviluppo sostenibile, e un nuovo Accordo sul clima. E non è mancato neppure un incoraggiamento speciale alla “cara” Italia, provata dal “perdurante clima di incertezza politica, sociale, economica”, perché “non ceda al disimpegno e alla tentazione dello scontro”.


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