lunedì, novembre 10, 2014
Aperta oggi pomeriggio, lunedì 10 novembre, la 67ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana. La prolusione del Cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha aperto i lavori.

di Paolo Fucili 

Ai tempi lontani ma non troppo dell'immediato dopoguerra, l'Italia era una distesa di macerie. Macerie di case e di persone, "da cui chi era in piedi ha realizzato quel patto sociale da cui è nata la Costituzione"; e allora "le differenze", ricorda il cardinal Bagnasco, "non impedivano di intendersi sui principi fondamentali". Oggi non sono le case, ma è tutto l'alfabeto umano da ricostruire, lo chiama il presidente dei vescovi italiani rivolgendosi ai "rappresentanti" in politica del nostro popolo. Detto altrimenti, "per poter rispondere doverosamente al 'che cosa fare?' , è necessario chiederci chi siamo, che cosa vogliamo essere. In altri termini, potremmo dire che bisogna rifondare la politica, mettere cioè a fuoco che cosa vuol dire stare insieme, lavorare insieme per esser che cosa", recita al punto 9 dei 9 totali, come conclusione, la "prolusione" dell'arcivescovo di Genova al via del lavori, oggi pomeriggio ad Assisi, dell'Assemblea generale numero 67 della Conferenza episcopale italiana. (la prolusione: guarda il video)

Un energico monito, nella sostanza, indirizzato all'Italia e all'Occidente in genere, a mettersi alla "scuola di un'alta autorità", quella di "coloro che soffrono", poiché "l'ascolto delle sofferenze illumina e guida ogni politica. Le sofferenze anzitutto dei giovani, tra i quali c'è chi il lavoro non lo cerca neppure più. "La disoccupazione", osserva Bagnasco, non accenna ad invertire la direzione". L'auspicio è che "si ragioni non solo in termini di finanza, ma innanzitutto di produzione e sviluppo, assicurando con ogni sforzo che il patrimonio industriale e professionale, di riconosciuta eccellenza, possa rimanere saldamente ancorato in casa nostra", ma nella realtà intanto "si sta perdendo una generazione. Che cosa sarà di tanti giovani? Quali vie li attendono se sono costretti a rimanere ai bordi di una società che sembra rifiutarli? Quali loschi personaggi – in Italia e altrove – sono pronti a farne scempio per i loro interessi?", chiede il Presidente CEI.

Famiglia in primo piano ancora, nell'odierna prolusione di Assisi, per ricordare che "una società che ascolta seriamente la realtà familiare ha stabilità e futuro". Nessuna menzione esplicita di progetti di unioni civili al centro delle recenti attenzioni della politica, pur denunciando "distinguo pretestuosi che hanno l'unico scopo di confondere la gente", come un "cavallo di Troia di classica memoria". In ogni caso, "è irresponsabile indebolire la famiglia", avverte il presidente dei vescovi con riferimento a "nuove figure", le chiama, per "scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell'umano". Un richiamo ispirato al sinodo appena concluso in Vaticano sulla famiglia, dove appunto è "risuonato" che "l'amore non è solo sentimento" e "i figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere": piuttosto "sono i soggetti più deboli e delicati", e "hanno diritto ad un papà e una mamma".

E in tema di infanzia ed educazione, un cenno è andato alla scuola tentata oggi dalle "sirene" della tecnologia, "macchine" cioè che forniscono "dati" ma non insegnano - come invece san fare adulti "capaci e appassionati della loro missione" - ad aprir "menti e cuori alla verità, al pensare, alla sintesi delle conoscenze, delle competenze e delle esperienze".
Spazio fin d'oggi nella prolusione al tema centrale dell'Assemblea, "vita e formazione permanente del presbitero", su cui si sofferma il messaggio a firma Francesco recapitato dal Vaticano dal nunzio in Italia mons. Bernardini. La formazione del sacerdote, scrive il Papa ai vescovi italiani riuniti ad Assisi, "non ha un termine, perché i sacerdoti non smettono mai di esser discepoli di Gesù, di seguirlo". E se il tempo intiepidisce la generosa dedizione iniziale, "allora è vano cucir toppe nuove su un vestito vecchio": no ai "preti clericali, il cui funzionamento rischia di allontanare la gente dal Signore", e no ai "preti funzionari che mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la loro consolazione", scrive severo il Pontefice.

Ai sacerdoti italiani va il riconoscimento, da parte dei vescovi, della "ammirevole generosità" con cui svolgono in mezzo alla gente il loro ministero, con la sottolineatura del profondo legame "sacramentale" tra il vescovo e il suo presbiterio. Perciò "il sacerdote", recita un passo centrale della prolusione, non è un "solista del bene", ma deve piuttosto "lavorare di squadra", in un rapporto fraterno con gli altri sacerdoti fatto di "realismo" e accettazione di "gioie e limiti".

Ogni pastore, esorta Bagnasco, impari a specchiarsi in Gesù, "per misurare la propria maturità umana, spirituale e sacerdotale", come "criterio di giudizio esigente e pieno di grazia. E nell'imminenza dell'anno della vita consacrata, uno speciale pensiero va a religiosi e suore "di cui c'è tanto bisogno" per rafforzare e rinnovare "l'impegno della diffusione del Vangelo, dell'educazione cristiana, della carità verso i bisognosi, della preghiera contemplativa".

Ultima annotazione sulla recente visita compiuta dalla presidenza CEI in Terrasanta, con tappe in Israele e a Gaza, per riferire della "sconcertante" impressione di "toccar con mano il pervicace progetto di eliminar la presenza cristiana dalla Terrasanta come da altre ragioni sia del Medioriente che dei Balcani e della Terra". Basta, scandisce perciò severo il presidente dei vescovi, con "affermazioni altisonanti sui diritti umani" per poi fingere di non vedere "una ingiustizia che sa di genocidio" e di "crimine contro l'umanità".


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