L'"abc" del "pastore" all'udienza generale di oggi
La "mission", chiamiamola, è quella semplice (a parole) di essere "un segno vivo della sua presenza e del suo amore". Dove il "sua" sta per "di Gesù", naturalmente. E la "mission" in questione è quella di vescovi, sacerdoti e diaconi, i tre cosiddetti ministeri "ordinati" della Chiesa, perché conferiti con il sacramento dell'Ordine.
Ma non basta quel rito, va da sé, a far di un povero uomo un buon diacono, prete o vescovo che sia. Ecco perciò l'"abc" di Francesco, la "grammatica" - detta altrimenti - di ognuno di essi, delineata giusto oggi all'udienza generale del mercoledì: tredicesima catechesi - per la statistica - sulla Chiesa in genere, le cui "sorti" si sa, stanti le ben note e rassicurazioni affermazioni del Figlio del diretto interessato, sono provvidenzialmente in mano al buon Dio; ma pure dipendono non poco anche dalla qualità umana e spirituale dei suoi pastori, altrimenti Bergoglio perché martellerebbe tanto su questo tasto?
Che siano allora largamente dotati di "accoglienza, sobrietà, pazienza, mitezza, affidabilità, bontà di cuore", raccomanda dunque papa Francesco, come se le citate doti "umane" - da affiancare ovviamente con quelle "inerenti la fede e la vita spirituale" - fossero "l'alfabeto" appunto, "la grammatica di base di ogni vescovo, di ogni prete, di ogni diacono". Lo spiega già con dovizia di dettagli l'apostolo Paolo, ampiamente citato stamane, nelle lettere "pastorali" ai discepoli Tito e Timoteo, perché "senza questa predisposizione bella e genuina a incontrare, a conoscere, a dialogare, ad apprezzare e a relazionarsi con i fratelli in modo rispettoso e sincero, non è possibile offrire un servizio e una testimonianza davvero gioiosi e credibili".
Poi, buona seconda, viene "la consapevolezza" (e che sia "viva") che "non si è vescovi, sacerdoti o diaconi perché si è più intelligenti, più bravi e migliori degli altri, ma solo in forza di un dono, un dono d’amore elargito da Dio" eccetera eccetera. E non è questione di poco conto, anzi! Questa consapevolezza va chiesta lassù ogni giorno, come una "grazia", giacché il vescovo o prete o diacono che ne godrà "non potrà mai assumere un atteggiamento autoritario, come se tutti fossero ai suoi piedi e la comunità fosse la sua proprietà, il suo regno personale".
Terzo ed ultimo, non per importanza, occhio alla "tentazione", Francesco avverte, "di porsi al centro dell'attenzione e di confidare soltanto in se stesso", la tentazione "della vanità, dell’orgoglio, della sufficienza, della superbia. Guai se un vescovo, un sacerdote o un diacono pensassero di sapere tutto, di avere sempre la risposta giusta per ogni cosa e di non avere bisogno di nessuno". Piuttosto il pastore, pur consapevole "di essere chiamato a custodire con coraggio il deposito della fede", come i già citati testi paolini affermano, "si metterà in ascolto della gente. E’ cosciente, infatti, di avere sempre qualcosa da imparare, anche da coloro che possono essere ancora lontani dalla fede e dalla Chiesa". E tutto questo - per inciso - farà bene anche alla "condivisione", "corresponsabilità" e "comunione" anche tra i ministri ordinati confratelli.
Francesco, altra annotazione, è "vicino" oggi a tutti messicani, per la tragedia dei 43 studenti di cui, dopo la sparizione a settembre, si è appena scoperto l'assassinio da parte dei narcotrafficanti. Abbiamo visto così, è stato il commento del Papa al momento dei saluti in spagnolo, "la realtà drammatica di tutta la criminalità che sta dietro il commercio e il traffico di droghe".
Ma a tener banco tra le cronache internazionali, negli ultimi tempi, è ancora la lotta ai fondamentalisti dell'autoproclamato Stato islamico, attivi in Siria e Iraq ma con minacce di allargarsi oltre i confini del Medioriente. E non da ora, anche al di fuori di quella turbolenta area, è noto (ma assai spesso dimenticato) che i cristiani "sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso", dice oggi Francesco, come pure documenta da ultimo il "Rapporto 2014 sulla libertà religiosa nel mondo" stilato da "Aiuto alla Chiesa che soffre". Una "violenza assurda che non accenna a fermarsi", secondo il Pontefice, da cui è arrivato stamane un nuovo, vigoroso appello "a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale, come pure a tutte le persone di buona volontà, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati"; poiché "essi hanno il diritto di ritrovare nei propri Paesi sicurezza e serenità, professando liberamente la nostra fede".
di Paolo Fucili
La "mission", chiamiamola, è quella semplice (a parole) di essere "un segno vivo della sua presenza e del suo amore". Dove il "sua" sta per "di Gesù", naturalmente. E la "mission" in questione è quella di vescovi, sacerdoti e diaconi, i tre cosiddetti ministeri "ordinati" della Chiesa, perché conferiti con il sacramento dell'Ordine.
Ma non basta quel rito, va da sé, a far di un povero uomo un buon diacono, prete o vescovo che sia. Ecco perciò l'"abc" di Francesco, la "grammatica" - detta altrimenti - di ognuno di essi, delineata giusto oggi all'udienza generale del mercoledì: tredicesima catechesi - per la statistica - sulla Chiesa in genere, le cui "sorti" si sa, stanti le ben note e rassicurazioni affermazioni del Figlio del diretto interessato, sono provvidenzialmente in mano al buon Dio; ma pure dipendono non poco anche dalla qualità umana e spirituale dei suoi pastori, altrimenti Bergoglio perché martellerebbe tanto su questo tasto?
Che siano allora largamente dotati di "accoglienza, sobrietà, pazienza, mitezza, affidabilità, bontà di cuore", raccomanda dunque papa Francesco, come se le citate doti "umane" - da affiancare ovviamente con quelle "inerenti la fede e la vita spirituale" - fossero "l'alfabeto" appunto, "la grammatica di base di ogni vescovo, di ogni prete, di ogni diacono". Lo spiega già con dovizia di dettagli l'apostolo Paolo, ampiamente citato stamane, nelle lettere "pastorali" ai discepoli Tito e Timoteo, perché "senza questa predisposizione bella e genuina a incontrare, a conoscere, a dialogare, ad apprezzare e a relazionarsi con i fratelli in modo rispettoso e sincero, non è possibile offrire un servizio e una testimonianza davvero gioiosi e credibili".
Poi, buona seconda, viene "la consapevolezza" (e che sia "viva") che "non si è vescovi, sacerdoti o diaconi perché si è più intelligenti, più bravi e migliori degli altri, ma solo in forza di un dono, un dono d’amore elargito da Dio" eccetera eccetera. E non è questione di poco conto, anzi! Questa consapevolezza va chiesta lassù ogni giorno, come una "grazia", giacché il vescovo o prete o diacono che ne godrà "non potrà mai assumere un atteggiamento autoritario, come se tutti fossero ai suoi piedi e la comunità fosse la sua proprietà, il suo regno personale".
Terzo ed ultimo, non per importanza, occhio alla "tentazione", Francesco avverte, "di porsi al centro dell'attenzione e di confidare soltanto in se stesso", la tentazione "della vanità, dell’orgoglio, della sufficienza, della superbia. Guai se un vescovo, un sacerdote o un diacono pensassero di sapere tutto, di avere sempre la risposta giusta per ogni cosa e di non avere bisogno di nessuno". Piuttosto il pastore, pur consapevole "di essere chiamato a custodire con coraggio il deposito della fede", come i già citati testi paolini affermano, "si metterà in ascolto della gente. E’ cosciente, infatti, di avere sempre qualcosa da imparare, anche da coloro che possono essere ancora lontani dalla fede e dalla Chiesa". E tutto questo - per inciso - farà bene anche alla "condivisione", "corresponsabilità" e "comunione" anche tra i ministri ordinati confratelli.
Francesco, altra annotazione, è "vicino" oggi a tutti messicani, per la tragedia dei 43 studenti di cui, dopo la sparizione a settembre, si è appena scoperto l'assassinio da parte dei narcotrafficanti. Abbiamo visto così, è stato il commento del Papa al momento dei saluti in spagnolo, "la realtà drammatica di tutta la criminalità che sta dietro il commercio e il traffico di droghe".
Ma a tener banco tra le cronache internazionali, negli ultimi tempi, è ancora la lotta ai fondamentalisti dell'autoproclamato Stato islamico, attivi in Siria e Iraq ma con minacce di allargarsi oltre i confini del Medioriente. E non da ora, anche al di fuori di quella turbolenta area, è noto (ma assai spesso dimenticato) che i cristiani "sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso", dice oggi Francesco, come pure documenta da ultimo il "Rapporto 2014 sulla libertà religiosa nel mondo" stilato da "Aiuto alla Chiesa che soffre". Una "violenza assurda che non accenna a fermarsi", secondo il Pontefice, da cui è arrivato stamane un nuovo, vigoroso appello "a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale, come pure a tutte le persone di buona volontà, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati"; poiché "essi hanno il diritto di ritrovare nei propri Paesi sicurezza e serenità, professando liberamente la nostra fede".
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