Dopo una cerimonia "di massa" come può essere il battesimo, la comunione, la cresima, il matrimonio, ci sarebbe bisogno almeno di altre due messe riparatrici per azzerare quei cattivi pensieri che la nostra pazienza e bontà cristiana non sono riuscite a filtrare.
di Elisabetta Lo Iacono
Stamani sono finita in una messa con dei battesimi. Pensiamo a quanto sarebbe bello, secondo liturgia e fede, questo momento di ingresso nella comunità cristiana con tutti i suoi riti e quello che significano. Il primo sacramento impartito in un momento di festa per la comunità, dove si dovrebbe avere la minima consapevolezza di quanto ci si appresta a seguire e possibilmente non da semplici e distratti spettatori, ficcati in una panca - perché sarebbe brutto andare solo al rinfresco! - a smanettare con il telefonino o a chiacchierare ma senza spendere una parola di risposta al povero e paziente sacerdote.
Ma non c'è mai fine al peggio e questo è rappresentato da parenti e amici che, dotati di macchine fotografiche, tablet e cellulari si alzano in massa per immortalare i momenti fatidici.
Quei cellulari che squillano senza sosta, quei tablet sventolati sulle teste altrui come evangeliari, quelle macchine fotografiche indomabili, a dispetto dei tempi della liturgia.
Dio mi perdoni se ho sperato più volte che quegli aggeggi squillanti andassero in frantumi, che quelle lingue in continuo movimento a tagliare, cucire e rimodellare gli abiti dei presenti, si attorcigliassero su se stesse.
Difficile seguire la cerimonia e pregare in quel contesto. Così ho cercato di mettere a frutto quello che vedevo e di capire. L'esito dei pensieri non è incoraggiante: qualcuno si spaventa dell'integrazione interculturale, pensando di stare in una posizione di dominio, di avere sempre qualcosa da insegnare agli altri. Proprio da qui bisognerebbe ripartire: cosa portiamo in dote alla società, cosa insegniamo come cittadini e come cristiani innanzitutto a quei bambini?
Cosa proiettiamo, a livello valoriale, sul loro futuro, al di là di abiti firmati, gioielli, belle macchine fotografiche?
Forse necessita una rieducazione generale, innanzitutto al rispetto di se stessi e quindi degli altri, a cominciare dall'atteggiamento da tenere (che si sia credenti o no è indifferente) in un luogo sacro dove non ci si può alzare in continuazione a nostro piacimento, dialogare a gesti da una navata all'altra, stare in piedi nelle panche a scattare foto durante i momenti di raccoglimento.
Gli stimoli si sono accumulati velocemente, l'uno a conferma dell'altro, sino a infrangere ogni speranza di un riscatto comportamentale nel giovane che ha concluso la sua sciagurata presenza alla cerimonia in piedi, spalle all'altare, macchina fotografica in pugno e il tentativo di far sorridere il neo battezzato, persino ricorrendo - nel silenzio generale - a rumorose e intollerabili pernacchie.
Che Dio perdoni anche lui.
di Elisabetta Lo Iacono
Stamani sono finita in una messa con dei battesimi. Pensiamo a quanto sarebbe bello, secondo liturgia e fede, questo momento di ingresso nella comunità cristiana con tutti i suoi riti e quello che significano. Il primo sacramento impartito in un momento di festa per la comunità, dove si dovrebbe avere la minima consapevolezza di quanto ci si appresta a seguire e possibilmente non da semplici e distratti spettatori, ficcati in una panca - perché sarebbe brutto andare solo al rinfresco! - a smanettare con il telefonino o a chiacchierare ma senza spendere una parola di risposta al povero e paziente sacerdote.
Ma non c'è mai fine al peggio e questo è rappresentato da parenti e amici che, dotati di macchine fotografiche, tablet e cellulari si alzano in massa per immortalare i momenti fatidici.
Quei cellulari che squillano senza sosta, quei tablet sventolati sulle teste altrui come evangeliari, quelle macchine fotografiche indomabili, a dispetto dei tempi della liturgia.
Dio mi perdoni se ho sperato più volte che quegli aggeggi squillanti andassero in frantumi, che quelle lingue in continuo movimento a tagliare, cucire e rimodellare gli abiti dei presenti, si attorcigliassero su se stesse.
Difficile seguire la cerimonia e pregare in quel contesto. Così ho cercato di mettere a frutto quello che vedevo e di capire. L'esito dei pensieri non è incoraggiante: qualcuno si spaventa dell'integrazione interculturale, pensando di stare in una posizione di dominio, di avere sempre qualcosa da insegnare agli altri. Proprio da qui bisognerebbe ripartire: cosa portiamo in dote alla società, cosa insegniamo come cittadini e come cristiani innanzitutto a quei bambini?
Cosa proiettiamo, a livello valoriale, sul loro futuro, al di là di abiti firmati, gioielli, belle macchine fotografiche?
Forse necessita una rieducazione generale, innanzitutto al rispetto di se stessi e quindi degli altri, a cominciare dall'atteggiamento da tenere (che si sia credenti o no è indifferente) in un luogo sacro dove non ci si può alzare in continuazione a nostro piacimento, dialogare a gesti da una navata all'altra, stare in piedi nelle panche a scattare foto durante i momenti di raccoglimento.
Gli stimoli si sono accumulati velocemente, l'uno a conferma dell'altro, sino a infrangere ogni speranza di un riscatto comportamentale nel giovane che ha concluso la sua sciagurata presenza alla cerimonia in piedi, spalle all'altare, macchina fotografica in pugno e il tentativo di far sorridere il neo battezzato, persino ricorrendo - nel silenzio generale - a rumorose e intollerabili pernacchie.
Che Dio perdoni anche lui.
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