sabato, settembre 20, 2014
Per tre giorni la popolazione deve stare in casa. Le famiglie dei malati sono in quarantena. Una parrocchia di Makeni ha raccolto del cibo per loro. 

di Davide Demichelis 

Vatican Insider - Le strade sono deserte, negozi e mercati chiusi. Padre Carlo Di Sopra, superiore dei missionari saveriani in Sierra Leone, guarda sconsolato fuori dalla finestra. Quel deserto è surreale. Poi sente una sirena: “Quando passa un’ambulanza, monta la paura”. Un altro caso, molto probabilmente un’altra vittima del virus letale. Un mese fa le vittime di ebola in Sierra Leone erano più di cento, e 350 gli ammalati, e i numeri sono in costante crescita.

È venerdì, giorno di preghiera per i musulmani. Tutte le moschee però sono chiuse. Domenica non verranno aperte neanche le chiese, in tutta la Sierra Leone. “In tempi straordinari sono necessarie misure straordinarie” ha dichiarato il presidente Ernest Bai Koroma, intervenuto alla televisione nazionale per annunciare l’ultimo provvedimento del governo: per tre giorni nessuno potrà uscire di casa, da ieri a domani. Una misura che ha lo scopo di impedire i contatti fra le persone e quindi la diffusione del contagio, non a caso comprende i tre giorni in cui più persone si riuniscono in occasione delle celebrazioni religiose.

“Quest’estate abbiamo dovuto sospendere i campi estivi per i ragazzi” ricorda padre Claudio. Per evitare i contatti ravvicinati sono cambiati anche alcuni riti: a messa i fedeli non si danno più il segno della pace e all’ingresso delle chiese vi è sempre dell’acqua con clorochina, per lavare le mani.

La gente ha paura di dichiarare i casi di ebola, perché i malati vengono isolati in ospedale e i loro parenti messi in quarantena. Lo stigma della malattia poi segna tutta la famiglia. Ebola dunque, sta causando enormi problemi sociali, oltre che sanitari. “Le famiglie dei malati, confinate in casa, vengono guardate a vista dalla polizia. Spesso sono ridotte alla fame, non possono nemmeno uscire per andare a far provvista di cibo. Per questo abbiamo raccolto degli aiuti alimentari fra i nostri parrocchiani e glieli abbiamo portati, tenendoci sempre a distanza di sicurezza” segnala padre Carlo.

Il Consiglio interreligioso, che rappresenta tutte le confessioni religiose praticate nel Paese, segnala che “mai nella nostra storia nazione abbiamo dovuto affrontare una malattia così devastante” . In un documento diffuso questa settimana invita la popolazione a non dar credito a false informazioni (c’è anche chi sostiene che la malattia sia un’invenzione del governo) e a seguire le prescrizioni igieniche dettate dal governo: lavare le mani, evitare contatti ravvicinati e riunioni pubbliche segnalare i casi di malattia e tenersi a distanza dai cadaveri, che possono essere particolarmente contagiosi.

Abc, “Avoid body contact” (evitare i contatti fisici), è il motto diffuso dalle autorità: “Ma qui non è facile seguire queste prescrizioni – sbotta padre Carlo – in Africa il contatto è parte integrante della cultura. Eppure da qualche tempo non possiamo neanche più dare un passaggio in auto a chi ce lo chiede, può essere troppo rischioso”. Anche il documento dei leader religiosi della Sierra Leone consiglia particolare attenzione: “Ebola è pericoloso, ma si può prevenire. State a casa, pregate e aderite alle prescrizioni mediche. Amen, amin”.


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