domenica, settembre 14, 2014
Una Giornata di commemorazione e preghiera per i cristiani perseguitati: è stata indetta oggi nell’arcidiocesi di Agrigento da mons. Francesco Montenegro per sensibilizzare i fedeli al dramma di quanti nel Medio Oriente, a causa della loro fede, stanno perdendo case, famiglie e radici.  

Radio Vaticana - Sono previste speciali preghiere in tutte le parrocchie, momenti di riflessione, fiaccolate e Via Crucis. Tiziana Campisi ha chiesto all'arcivescovo Montenegro perché questa giornata proprio il 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Croce: ascolta

R. - Croce significa morte e anche tanti buoni cristiani sono stati condannati alla croce. Ma croce per i credenti significa anche vita, risurrezione. Allora, poggiamo sulla Croce questo desiderio che la pace possa prendere il sopravvento.

D. - Chi è oggi il cristiano perseguitato?

R. - Chi ha il coraggio di manifestare la propria fede e mettere a rischio la propria vita. Là dove si usano le armi, tante volte ci sono altre forme di persecuzioni tacite: può essere l’indifferenza, può essere l’ironia… Ormai manifestare la propria fede richiede davvero coraggio. E siamo chiamati a viverlo. Per molti ancora la fede è facile, ma la fede vera ha sempre un prezzo da pagare.

D. - Se nei Paesi del Medio Oriente le persecuzioni sono violente, in Occidente forse assumono altre forme…

R. - Sì. Ci può essere l’indifferenza, ci può essere il non ascolto, il non tener conto di chi, attraverso la fede, vuol manifestare ciò che ha nel cuore e vuole metterlo nelle vene della società. La fede è sempre andare controcorrente: è il Vangelo che ce lo insegna. E andare controcorrente è sempre una fatica!

D. - Di fronte a queste persecuzioni come reagire?

R. - Prendere coscienza, appunto, che il Vangelo per noi è ciò che conta di più e vale di più: molti cristiani affermano “è meglio morire che fare quello che loro ci dicono”; prendere coscienza del fatto che la pace deve diventare un elemento che unisce i popoli. Allora tutti ci dobbiamo mettere in campo per costruire relazioni di pace. Non possiamo soltanto restare spettatori davanti a ciò che succede in altre terre, ma dobbiamo diventare protagonisti nella nostra terra, aprire i cuori, aprire gli occhi e condividere il cammino.

D. - Dopo la Giornata diocesana di commemorazione e preghiera per i cristiani perseguitati, come andare avanti?

R. - Deve allargarsi la cultura della solidarietà e dell’accoglienza. Abbiamo da tener conto che sono fratelli che portano una ferita nel cuore e il Vangelo ci dice che l’amore può lenire le ferite. Ma l’amore dovrebbe essere anche concreto e non solo fatto a parole: allora come Chiesa, trovare l’olio e il vino e portarli alla locanda, perché il fratello possa ritrovare la sua dignità e la sua serenità.

D. - Da lei l’invito, a tutta la diocesi, a trovare delle modalità di preghiera affinché i fedeli possano esprimere solidarietà nei confronti dei cristiani perseguitati. Quali iniziative in particolare?

R. - Abbiamo chiesto incontri nelle chiese, la celebrazione eucaristica, lo spostarsi al Calvario, lungo la Via Crucis, per ricordare il cammino fatto da Gesù, fermarsi davanti alla Croce del Calvario per un momento di riflessione e di preghiera, ma col cuore aperto alla speranza e non solo alla paura.

D. - Se volesse lanciare una riflessione più ampia…

R. - La fede è qualcosa che deve investire la nostra vita pienamente. La fede non è soltanto devozione, è il coraggio di manifestare con la propria vita ciò in cui si crede. Metterci dalla parte del Crocifisso e del Risorto è percorrere una strada difficile; allora dobbiamo ritrovare il coraggio delle nostre azioni, dobbiamo trovare l’amore per la verità e dobbiamo essere persone che, guardando il Cielo, percorrono questa terra portando quei valori che oggi - forse in parte - sono dimenticati.


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