Un anno fa, l'8 luglio 2013, Papa Francesco si recava a Lampedusa nel suo primo viaggio dall’inizio del Pontificato.
Radio Vaticana - Una visita che il Pontefice ha compiuto per pregare per i tanti morti in mare, per i corpi senza nome, per i fratelli ancora sepolti nelle acque del Mediterraneo. Forte il suo monito contro la globalizzazione dell’indifferenza, un richiamo al ruolo della comunità internazionale. Parole che sembrano aver dato frutti come sottolinea, al microfono di Benedetta Capelli, Valerio Landri, direttore della Caritas diocesana di Agrigento: ascolta
R. – Diciamo che la visita di Papa Francesco è stata, in qualche modo, propedeutica; ricordate quello che è accaduto ad ottobre. Per cui, in un certo senso, le sue parole sono state profetiche, sono servite a richiamare l’attenzione di tutti noi, a partire dai lampedusani e più in generale a tutti gli italiani, al dovere dell’accoglienza. “Adamo dove sei? Caino dove è tuo fratello”, sono ancora parole che risuonano forte in questi luoghi. L’esperienza di Mare Nostrum che si è attivata subito dopo la tragedia del 3 ottobre ha consentito a Lampedusa di ritornare ad una sua normalità. Adesso, qui è ricominciata la stagione turistica; i migranti chiaramente sono molti meno rispetto a quanti ne siamo abituati a vedere in questo periodo dell’anno, anche se, giusto oggi, sono appena sbarcati sull’isola circa 500 migranti di nazionalità prevalentemente eritrea e ne stiamo aspettando altri. Qui si comprende come l’esperienza di Mare Nostrum non sia sufficiente a frenare l’esigenza di vita nuova dei tanti e tanti migranti che stanno per partire per l’Europa. Lampedusa va ricostruendosi, va a recuperare la sua ordinarietà, ma sa che questa è una calma apparente e che, comunque, la sua vocazione geografica è sempre quella all’accoglienza: tutti sono pronti a fare la loro parte.
D. - Papa Francesco denunciò la globalizzazione dell’indifferenza; un concetto ribadito anche in un messaggio proprio in occasione del primo anniversario della visita a Lampedusa. Eppure la cultura dell’accoglienza, sembra un tratto tipico dei lampedusani e dei siciliani in generale …
R. - Probabilmente è determinante il fatto che i siciliani continuano a vivere come presente l’esperienza della emigrazione. Siamo un popolo che spesso è costretto ad andare altrove, a cominciare dal Nord Italia o nel resto dell’Europa per cercare un lavoro, per avere un futuro migliore … Quindi probabilmente questo ci dà anche una chiave di lettura diversa dell’esperienza migratoria. Ci fa comprendere come partire dalla propria terra, lasciare la propria storia, non sia mai una scelta piacevole, sempre dolorosa, ha un carico di dolore e di sofferenza che va assolutamente rispettato e accolto per quello che è. Quindi probabilmente è per questo che la Sicilia e l’Italia in genere, da questo punto di vista, sta attivando buone risorse. La Sicilia ha questa disponibilità all’accoglienza. La nostra terra è anche abituata ad essere invasa, colonizzata, abbiamo avuto tante dominazioni … Probabilmente questo fa sì che nella nostra cultura ci sia un’apertura alle altre culture.
D. - È cambiato il lavoro della Caritas in questo anno dalla visita di Papa Francesco?
R. - Tante Caritas siciliane sono state interpellate dalla presenza di migranti: Palermo, Siracusa, ma anche tante altre diocesi siciliane grazie anche alla presenza di Mare Nostrum si sono dovute attivare. Penso che questo abbia innescato anche dei meccanismi, delle esperienze che forse adesso non comprendiamo pienamente, ma che comprenderemo domani, risorse che erano in qualche modo addormentate e che adesso con la presenza di migranti si stanno risvegliando. Ci siamo, noi diamo un supporto laddove ci è richiesto e laddove ci è possibile.
D. - Personalmente che ricordo ha di quella visita?
R. – Quella visita ha segnato profondamente Lampedusa. Io mi trovavo in Tunisia dove siamo presenti per un rapporto di reciprocità tra le Chiese. Ho seguito, ho pregato insieme alla Chiesa di Tunisi, mentre ad Agrigento si pregava per le vittime del mare. Ho vissuto l’esperienza di una Chiesa che ha trovato in Lampedusa la sua unità. Quelle parole del Papa sono state un programma pastorale per tutti noi che ancora oggi continua ad essere assolutamente valido. Lampedusa continua a vivere quel giorno come se fosse il presente. Questi sette giorni di festa sono vissuti come se il Papa fosse presente, con la stessa gioia, la stessa attenzione di un anno fa.
Radio Vaticana - Una visita che il Pontefice ha compiuto per pregare per i tanti morti in mare, per i corpi senza nome, per i fratelli ancora sepolti nelle acque del Mediterraneo. Forte il suo monito contro la globalizzazione dell’indifferenza, un richiamo al ruolo della comunità internazionale. Parole che sembrano aver dato frutti come sottolinea, al microfono di Benedetta Capelli, Valerio Landri, direttore della Caritas diocesana di Agrigento: ascolta
R. – Diciamo che la visita di Papa Francesco è stata, in qualche modo, propedeutica; ricordate quello che è accaduto ad ottobre. Per cui, in un certo senso, le sue parole sono state profetiche, sono servite a richiamare l’attenzione di tutti noi, a partire dai lampedusani e più in generale a tutti gli italiani, al dovere dell’accoglienza. “Adamo dove sei? Caino dove è tuo fratello”, sono ancora parole che risuonano forte in questi luoghi. L’esperienza di Mare Nostrum che si è attivata subito dopo la tragedia del 3 ottobre ha consentito a Lampedusa di ritornare ad una sua normalità. Adesso, qui è ricominciata la stagione turistica; i migranti chiaramente sono molti meno rispetto a quanti ne siamo abituati a vedere in questo periodo dell’anno, anche se, giusto oggi, sono appena sbarcati sull’isola circa 500 migranti di nazionalità prevalentemente eritrea e ne stiamo aspettando altri. Qui si comprende come l’esperienza di Mare Nostrum non sia sufficiente a frenare l’esigenza di vita nuova dei tanti e tanti migranti che stanno per partire per l’Europa. Lampedusa va ricostruendosi, va a recuperare la sua ordinarietà, ma sa che questa è una calma apparente e che, comunque, la sua vocazione geografica è sempre quella all’accoglienza: tutti sono pronti a fare la loro parte.
D. - Papa Francesco denunciò la globalizzazione dell’indifferenza; un concetto ribadito anche in un messaggio proprio in occasione del primo anniversario della visita a Lampedusa. Eppure la cultura dell’accoglienza, sembra un tratto tipico dei lampedusani e dei siciliani in generale …
R. - Probabilmente è determinante il fatto che i siciliani continuano a vivere come presente l’esperienza della emigrazione. Siamo un popolo che spesso è costretto ad andare altrove, a cominciare dal Nord Italia o nel resto dell’Europa per cercare un lavoro, per avere un futuro migliore … Quindi probabilmente questo ci dà anche una chiave di lettura diversa dell’esperienza migratoria. Ci fa comprendere come partire dalla propria terra, lasciare la propria storia, non sia mai una scelta piacevole, sempre dolorosa, ha un carico di dolore e di sofferenza che va assolutamente rispettato e accolto per quello che è. Quindi probabilmente è per questo che la Sicilia e l’Italia in genere, da questo punto di vista, sta attivando buone risorse. La Sicilia ha questa disponibilità all’accoglienza. La nostra terra è anche abituata ad essere invasa, colonizzata, abbiamo avuto tante dominazioni … Probabilmente questo fa sì che nella nostra cultura ci sia un’apertura alle altre culture.
D. - È cambiato il lavoro della Caritas in questo anno dalla visita di Papa Francesco?
R. - Tante Caritas siciliane sono state interpellate dalla presenza di migranti: Palermo, Siracusa, ma anche tante altre diocesi siciliane grazie anche alla presenza di Mare Nostrum si sono dovute attivare. Penso che questo abbia innescato anche dei meccanismi, delle esperienze che forse adesso non comprendiamo pienamente, ma che comprenderemo domani, risorse che erano in qualche modo addormentate e che adesso con la presenza di migranti si stanno risvegliando. Ci siamo, noi diamo un supporto laddove ci è richiesto e laddove ci è possibile.
D. - Personalmente che ricordo ha di quella visita?
R. – Quella visita ha segnato profondamente Lampedusa. Io mi trovavo in Tunisia dove siamo presenti per un rapporto di reciprocità tra le Chiese. Ho seguito, ho pregato insieme alla Chiesa di Tunisi, mentre ad Agrigento si pregava per le vittime del mare. Ho vissuto l’esperienza di una Chiesa che ha trovato in Lampedusa la sua unità. Quelle parole del Papa sono state un programma pastorale per tutti noi che ancora oggi continua ad essere assolutamente valido. Lampedusa continua a vivere quel giorno come se fosse il presente. Questi sette giorni di festa sono vissuti come se il Papa fosse presente, con la stessa gioia, la stessa attenzione di un anno fa.
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