giovedì, maggio 22, 2014
C'è modo e modo di essere Chiesa. 

di Elisabetta Lo Iacono 

C'è quello di Madre Teresa di Calcutta e di migliaia di religiosi e laici impegnati ogni giorno, in tutto il mondo, con gli ultimi e i più poveri e c'è quello di chi "sporca" la Chiesa e la sua credibilità con buffet riservati a vip. Peraltro in un contesto - quello della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - che doveva nutrire l'anima più che il corpo.

La notizia della platea per i vip sul terrazzo del palazzo della Prefettura degli Affari Economici stride con una "Chiesa povera e per i poveri", con quell'idea di Chiesa, di società e di fratellanza auspicata da papa Francesco, con quella misericordia che faccia dissolvere le bolle del futile che nutrono l'indifferenza e che ci hanno fatto perdere il "senso della responsabilità fraterna" e "la capacità di piangere" per gli altri. L'omelia di papa Francesco pronunciata a luglio dell'anno scorso a Lampedusa ha rappresentato un momento di forte richiamo a tutti noi per una rivisitazione delle nostre vite che non possono correre sui binari dell'individualismo e dell'egoismo, bensì fermarsi nelle stazioni dei disagi e delle sofferenze, per aiutare coloro che si trovano in difficoltà ma anche - se ci pensiamo bene - per aiutare noi stessi a essere uomini e donne coerenti.

Quelle parole sembrano essersi infrante su quella terrazza panoramica del Vaticano, contro lo scoglio dei privilegi di chi, appartenendo a una elite nelle sue differenti diramazioni, è abituato ad avere una corsia preferenziale, anche in un evento di fede, snaturandone persino l'alto valore simbolico e spirituale. Non riesco a coniugare i momenti di profonda devozione che hanno vissuto la piazza e le strade attigue a San Pietro (popolate da coloro che dopo ore e ore in piedi non sono neppure riusciti ad avvicinarsi) con quel tintinnio di bicchieri, come si trattasse di una festa qualsiasi.

Saranno gli organismi preposti a verificare chi sono stati i promotori dell'iniziativa, i finanziatori, chi ha fatto partire gli inviti, chi ha avuto la pessima idea di abbinare al parterre in sedie bianche pure il buffet, in quello stridente accostamento di sacro e profano. Non interessano poi tanto i nomi dei responsabili, interessa prioritariamente che questa vicenda non venga fatta passare sotto silenzio, bensì si provveda a scardinare certi sistemi di potere esercitato anche dimostrando che si può riservare uno spazio del Vaticano a scopi non consoni con il momento che stava vivendo la Chiesa. Un metodo vecchio che va contro la corrente di grande innovazione dimostrata da una Chiesa sempre capace di rinnovarsi, intenzionata a far comprendere come stare arroccati su posizioni di potere sia fuori tempo e tanto lontano dal regno di Cristo. Quanto ci ha insegnato in questo la rinuncia di papa Benedetto XVI e quanto gli appelli di papa Francesco che adesso, essendo il pontefice regnante, dovrà risolvere anche queste situazioni non secondarie ai fini dell'immagine e della credibilità della Chiesa.

L'unica strada sarà quella di fare luce sui promotori del "santo buffet" e sicuramente papa Francesco, così attento al tema della povertà, troverà il modo e il coraggio di risolvere questo increscioso episodio alla radice. Se lo aspettano quanti erano accalcati da sabato in quella piazza per condividere un momento di fede; se lo aspettano quanti hanno letto sorpresi e indignati le cronache di questi giorni; se lo aspetta la Chiesa quella vera, di periferia, quella che sta con gli ultimi perché prende alla parola il Vangelo e lo testimonia ogni giorno attraverso preghiere e opere concrete, non fra tartine e calici di vini su una terrazza vaticana.


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