Gazprom: «L’Ucraina ha un debito gasiero di 1,8 miliardi di dollari. A rischio il gas verso l’Ue»
GreenReport - Oggi Vladimir Konstantinov, presidente del Consiglio supremo (Parlamento) dell’autoproclamata Repubblica indipendente della Crimea, ha detto a Ria Novosti: «La Crimea prenderà il controllo dei beni e degli averi pubblici ucraini che si trovano sul suo territorio, in particolare del gruppo petrogasiero Chernomorneftegaz». Konstantinov ha spiegato che «i beni pubblici appartenenti allo Stato ucraino passeranno sotto il possesso della Repubblica della Crime, quanto ai beni privati resteranno loro. E’ evidente che il gruppo Chernomorneftegaz, così come il produttore di vino Massandra e altre imprese vinicole pubbliche passeranno sotto il controllo di Simferopoli. Sono nostre e non se ne discute».
Dato che l’indipendenza della Crimea appena proclamata durerà probabilmente fino al 16 marzo, quando la popolazione russa di Crimea deciderà di ritornare con la Federazione della Russia dalla quale l’aveva staccata nel 1954 Nikita Krusciov, il pezzo di infrastrutture gasiere di Chernomorneftegaz in Crimea finirà a Gazprom e nelle mani di Vladimir Putin, che magari festeggerà l’evento stappando una bottiglia di vino, pure quello della Crimea, e dunque nuovamente made in Russia.
Proprio l’industria del gas sembra quella più preoccupata e prudente per le conseguenze delle sanzioni europee verso Mosca. Diversi media russi ed europei hanno fatto notare, dopo l’indipendenza-annessione della Crimea, che l’itinerario sotto il Mar Nero del gasdotto South Stream sarebbe più corto se passasse in quelle che ormai sono le ex acque terriotoriali dell’Ucraina (altro contenzioso molto delicato che si aprirà tra Mosca e Kiev), ma oggi Mario Meren, del consiglio di amministrazione del gruppo tedesco Wintershall, ha precisato che «l’eventuale cambiamento dello status della Crimea non avrà alcun impatto sull’itinerario del gasdotto South Stream. L’itinerario è ottimale e non vediamo alcuna ragione per modificarlo. Essendo il territorio situato più vicino all’Ucrainaè anche il più attivo sul piano tettonico, è più pericoloso tracciare l’itinerario in quelle acque. Una tale soluzione non è giudiziosa dal punto di vista economico e tecnologico». La cosa interessa molto anche a noi italiani, perché il progetto South stream è finanziato al 20% dalla nostra Eni, consorziata con la russa Gazprom (50%), la Wintershall e la francese Edf (15% ciascuna).
South Stream nasce proprio per aggirare la problematica Ucraina e portare 63 miliardi di m3 all’anno di gas russo e dell’Asia centrale, gestito da Gazprom, fino in Europa. Il gigantesco gasdotto dovrebbe comprendere 4 condotte da 15,75 miliardi di m3 ciascuna, entrare in linea nel 2015 e raggiungere la piena operatività già nel 2018. Una parte della pipeline, quella che collegherà la costa russa di Anapa a quella bulgara di Varna, passerà sul fondo del Mar Nero, nelle acque territoriali della Turchia, Paese Nato che sulla questione della Crimea si è schierato con Usa ed Ue (e che quanto a sismicità è molto più a rischio della Crimea).
Intanto la pressione energetica-economica di Mosca sui Kiev (e l’Ue, alla quale il nuovo governo di destra dell’Ucraina ha rivolto domanda di associazione) cresce: oggi l’amministratore delegato di Gazprom, Alexei Miller, ha detto che «il debito gasiero dell’Ucraina si eleva attualmente a più di 1,8 miliardi di dollari e rischia di ripercuotersi sui programmi di investimenti ed i dividendi di Gazprom». Cosa che dovrebbe preoccupare non poco i soci occidentali del monopolista gasiero russo, come – ancora una volta – l’italiana Eni.
Miller ha sottolineato in una conferenza stampa a Mosca che «gli arretrati dei pagamenti del gas si traducono in un finanziamento insufficiente dei nostri progetti di investimento ed in mancanza di entrate per il nostro bilancio. Questi arretrati riguardano anche i dividendi distribuiti ai nostri azionisti. Tra i nostri azionisti privati ci sonno molti stranieri. Si tratta di togliere loro guadagni, loro dividendi. Abbiamo bisogno di chiarezza in questa questione».
Il debito gasiero dell’Ucraina con la Russia è aumentato con l’inizio dell’anno, con il caos nel Paese mentre era in corso la rivoluzione anti-russa di Kiev. Miller fa finta di non entrare nelle questioni politiche ma poi spara un paio di bordate che hanno come bersaglio Kiev, e un avvertimento anche a Bruxelles: «Certo, l’Ucraina attraversa una crisi politica profonda, ma questo non la dispensa dal pagare la nota del gas. Non c’è alcun dubbio che il nostro comportamento attuale nei riguardi dell’Ucraina sia assolutamente leale. Gazprom è nel pieno diritto di reclamare un anticipo per le forniture del gas russo all’Ucraina. Ora, noi non lo reclamiamo perché siamo coscienti che questo permette all’Ucraina di evitare una catastrofe economica ed impedisce di mettere in pericolo il transito del gas russo verso l’Europa».
di Umberto Mazzantini
GreenReport - Oggi Vladimir Konstantinov, presidente del Consiglio supremo (Parlamento) dell’autoproclamata Repubblica indipendente della Crimea, ha detto a Ria Novosti: «La Crimea prenderà il controllo dei beni e degli averi pubblici ucraini che si trovano sul suo territorio, in particolare del gruppo petrogasiero Chernomorneftegaz». Konstantinov ha spiegato che «i beni pubblici appartenenti allo Stato ucraino passeranno sotto il possesso della Repubblica della Crime, quanto ai beni privati resteranno loro. E’ evidente che il gruppo Chernomorneftegaz, così come il produttore di vino Massandra e altre imprese vinicole pubbliche passeranno sotto il controllo di Simferopoli. Sono nostre e non se ne discute».
Dato che l’indipendenza della Crimea appena proclamata durerà probabilmente fino al 16 marzo, quando la popolazione russa di Crimea deciderà di ritornare con la Federazione della Russia dalla quale l’aveva staccata nel 1954 Nikita Krusciov, il pezzo di infrastrutture gasiere di Chernomorneftegaz in Crimea finirà a Gazprom e nelle mani di Vladimir Putin, che magari festeggerà l’evento stappando una bottiglia di vino, pure quello della Crimea, e dunque nuovamente made in Russia.
Proprio l’industria del gas sembra quella più preoccupata e prudente per le conseguenze delle sanzioni europee verso Mosca. Diversi media russi ed europei hanno fatto notare, dopo l’indipendenza-annessione della Crimea, che l’itinerario sotto il Mar Nero del gasdotto South Stream sarebbe più corto se passasse in quelle che ormai sono le ex acque terriotoriali dell’Ucraina (altro contenzioso molto delicato che si aprirà tra Mosca e Kiev), ma oggi Mario Meren, del consiglio di amministrazione del gruppo tedesco Wintershall, ha precisato che «l’eventuale cambiamento dello status della Crimea non avrà alcun impatto sull’itinerario del gasdotto South Stream. L’itinerario è ottimale e non vediamo alcuna ragione per modificarlo. Essendo il territorio situato più vicino all’Ucrainaè anche il più attivo sul piano tettonico, è più pericoloso tracciare l’itinerario in quelle acque. Una tale soluzione non è giudiziosa dal punto di vista economico e tecnologico». La cosa interessa molto anche a noi italiani, perché il progetto South stream è finanziato al 20% dalla nostra Eni, consorziata con la russa Gazprom (50%), la Wintershall e la francese Edf (15% ciascuna).
South Stream nasce proprio per aggirare la problematica Ucraina e portare 63 miliardi di m3 all’anno di gas russo e dell’Asia centrale, gestito da Gazprom, fino in Europa. Il gigantesco gasdotto dovrebbe comprendere 4 condotte da 15,75 miliardi di m3 ciascuna, entrare in linea nel 2015 e raggiungere la piena operatività già nel 2018. Una parte della pipeline, quella che collegherà la costa russa di Anapa a quella bulgara di Varna, passerà sul fondo del Mar Nero, nelle acque territoriali della Turchia, Paese Nato che sulla questione della Crimea si è schierato con Usa ed Ue (e che quanto a sismicità è molto più a rischio della Crimea).
Intanto la pressione energetica-economica di Mosca sui Kiev (e l’Ue, alla quale il nuovo governo di destra dell’Ucraina ha rivolto domanda di associazione) cresce: oggi l’amministratore delegato di Gazprom, Alexei Miller, ha detto che «il debito gasiero dell’Ucraina si eleva attualmente a più di 1,8 miliardi di dollari e rischia di ripercuotersi sui programmi di investimenti ed i dividendi di Gazprom». Cosa che dovrebbe preoccupare non poco i soci occidentali del monopolista gasiero russo, come – ancora una volta – l’italiana Eni.
Miller ha sottolineato in una conferenza stampa a Mosca che «gli arretrati dei pagamenti del gas si traducono in un finanziamento insufficiente dei nostri progetti di investimento ed in mancanza di entrate per il nostro bilancio. Questi arretrati riguardano anche i dividendi distribuiti ai nostri azionisti. Tra i nostri azionisti privati ci sonno molti stranieri. Si tratta di togliere loro guadagni, loro dividendi. Abbiamo bisogno di chiarezza in questa questione».
Il debito gasiero dell’Ucraina con la Russia è aumentato con l’inizio dell’anno, con il caos nel Paese mentre era in corso la rivoluzione anti-russa di Kiev. Miller fa finta di non entrare nelle questioni politiche ma poi spara un paio di bordate che hanno come bersaglio Kiev, e un avvertimento anche a Bruxelles: «Certo, l’Ucraina attraversa una crisi politica profonda, ma questo non la dispensa dal pagare la nota del gas. Non c’è alcun dubbio che il nostro comportamento attuale nei riguardi dell’Ucraina sia assolutamente leale. Gazprom è nel pieno diritto di reclamare un anticipo per le forniture del gas russo all’Ucraina. Ora, noi non lo reclamiamo perché siamo coscienti che questo permette all’Ucraina di evitare una catastrofe economica ed impedisce di mettere in pericolo il transito del gas russo verso l’Europa».
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