martedì, febbraio 11, 2014
Erano passati 3750 anni dal giorno in cui la mummia era stata depositata con grande cura nel sarcofago di basalto nero venato da intrusioni chiare che sembravano fili di capelli bianchi in una testa nera. 

di Silvio Foini 

Nel lento fluire del tempo, con le stagioni e le generazioni innumerevoli che si erano succedute in quella terra, la mummia era rimasta immobile nel sarcofago, attendendo. Le bende che ravvolgevano intrise di profumati oli e balsami odorosi si erano rapprese a formare solida corazza per l'eternità a quel corpo seccato dal sale degli imbalsamatori di Anubi. Così almeno credette il sovraintendente della Casa della Morte di Karnak quando i lavoranti terminarono il loro compito. Satet era pronto per il viaggio nel mondo dei morti. Non incontrò nessuno nell'Al di Là, anche perché forse quello non era l'altro mondo... Dove era finito? Si trovò al buio, in nessun posto, da nessuna parte. Sentiva di essere ancora lui, questo sì, ma diverso, diverso pur conservando la propria identità. Che fosse morto era certo: la lancia del suo nemico era penetrata nell'addome; non aveva avvertito quel granché di dolore, anche se aveva veduto uscire il sangue a fiotti rossi e pulsanti. Avvertiva una sorta di bruciore, molto lieve invero e si accorgeva di perdere le forze di istante in istante. Ebbe sonno e chiuse gli occhi. Era stanco. Tanto stanco, come quando tornava dalla caccia agli ippopotami sul Nilo e non desiderava nemmeno giacere sulla stuoia con Ananka sua moglie. Si svegliò e provò terrore come mai prima, nemmeno in battaglia. Vide il proprio corpo quasi scheletrito sul tavolo di marmo rosa della Casa della Morte mentre veniva avvolto in bende. Cercò disperatamente di gridare che smettessero... egli era vivo. Lentamente volse lo sguardo attorno: le iscrizioni sui vasi canopi dicevano che i suoi propri visceri erano là dentro... i suoi polmoni, il suo fegato, l'intestino, il cuore... Ma se il suo cuore stava battendo dentro il torace... egli lo sentiva, ritmico, potente, sicuro... bum-bum-bum... era così forte quel battito che l'assordava quasi! Ma che stavano dunque facendo quegli uomini? Seppellivano un morto? Gridò con voce talmente forte, o almeno così gli parve, che chiunque, nel raggio di duecento metri, l'avrebbe udito, ma quei lavoranti seguitarono a fare ciò che stavano facendo.

Satet, disperato, pianse e provò ancora quel terribile senso di impotenza e di terrore Si guardò una mano e la vide bianca e pulita, senza più il sangue e la polvere della battaglia. Era nudo completamente e poté osservare le gambe muscolose e forti, i piedi regolari e larghi, i piedi di un soldato del Faraone. Era in perfetta forma fisica come mai si era sentito, eppure il suo corpo giaceva là, rinsecchito su quel tavolo che preparava i cadaveri per l'eternità. Con lui non v'erano gli dei, non Thot, non Osiride o Ra o Bes e Min o quant'altri; era solo in un mondo che pareva non gli appartenesse Che scherzo gli avevano giocato gli Dei? Aveva sempre pregato e sacrificato sull'ara i frutti del lavoro della terra e della stalla... era questa dunque la ricompensa che spettava ai puri di cuore e di spirito? Senti l’ira montargli nel petto e non poi e trattenersi dal maledire quegli Dei falsi e quei bugiardi dei loro sacerdoti. Poi pianse di nuovo avvicinandosi al suo povero corpo che avevano quasi terminato di avvolgere in bende di lino. Si chinò a baciare quella fronte che pareva di marmo verde e che era stata la sua e quando si rialzò, egli non se ne avvide nemmeno, una lacrima cadde su quel volto scheletrito dal sale di natron e si insinuò sotto le bende strette attorno alla sua bocca e lentamente, si fece strada fra le labbra livide e serrate. Satet uscì dalla Casa della Morte passando attraverso il muro spesso ben quaranta centimetri di sassi ed argilla rossa del deserto. Si meravigliò alquanto di quella nuova possibilità appena scoperta e pensò che in seguito se ne sarebbe potuto servire. Camminò, o almeno gli parve di farlo, lungo la strada della sua città affollata di gente vociante e pittoresca che non gli badò affatto per quanto cercasse di fermare qualcuno o di parlare. Raggiunse la propria piccola dimora nel quartiere dei soldati, entrò. Poté vedere sua moglie Ananka intenta alla preghiera davanti al simulacro di Anubi il dio dei morti. Ebbe infinità pietà accarezzando lievemente i capelli corvini della donna che parvero muoversi sotto l'alito di una brezza di primavera, ma nulla più. Cercò di chiamarla urlandone il nome. Oh Dei crudeli e malvagi, egli poté vedere il grembo di sua moglie... la nuova vita che in esso stava crescendo. Suo figlio non avrebbe mai potuto conoscere il padre. Fu allora che scagliò verso il cielo una tremenda bestemmia. Essa vagò terribile oltre la terra, oltre il mare ed il cielo e salì in alto negli spazi siderali carica d'un odio terribile e disumano. Qualcuno la udì e si sorprese che da quel lembo di terra bagnata dal Fiume potesse giungere un tale carico di furia e di dolore terrificanti sì da sfidare l'Universo intero e Qualcuno sorrise compiaciuto.

La spedizione tornò dall'Egitto in primavera. Tesori che avevano accompagnato illustri defunti e valorosi soldati dei Faraoni stavano accuratamente riposti in robuste casse di legno stivate sulla nave che aveva posto gli ormeggi nel porto. Quella più voluminosa, quella che conteneva il sarcofago ligneo della mummia giaceva nella parte più protetta della stiva.

Il sovraintendente del museo cui il carico era destinato aveva raccomandato che fosse trattata con sommo riguardo: conteneva una mummia risalente al periodo più oscuro della storia dell'antico Egitto ed avrebbe potuto rivelare molti particolari non ancora noti agli studiosi. Il mare, calmo per tutta la durata del viaggio, quella notte era al contrario mosso ed onde molto alte flagellavano senza sosta il litorale del porto. La nave, un cargo di notevole stazza pur ancorato con tutte le precauzioni del caso, correva il seno pericolo di spezzare gli ormeggi. Il comandante osservava il mare in burrasca dall'oblò della propria cabina traendo lunghe boccate di fumo azzurrognolo dalla vecchia pipa di radica col bocchino d'osso rosicchiato dai denti ed imprecava contro quel contrattempo che gli aveva impedito di scaricare sulla banchina quanto ancora aveva stivato a bordo del suo "Cassiopea" Non che fosse particolarmente superstizioso... ma in quelle casse c'erano cose dalle quali sentiva che, prima si fosse allontanato, meglio sarebbe stato per sé e per la nave Aveva avuto quella sensazione già nel porto di Alessandria al momento del carico L'aveva anche detto all'archeologo, al conte Luca Satte che, gli avevano raccontato dimorava in Italia al confine con la Svizzera in uno strano luogo dal nome ancor più curioso: il Piffero del Gatto. Questi un giovanottone di 37 anni, dai capelli brizzolati ed una corta barbetta, piglio volitivo ed altero, aveva appena sorriso dei timori del capitano ed aveva risposto: "Occorre aver paura del presente più che del passato." Il capitano non era però del tutto d'accordo. Quante leggende conosce la gente di mare. Si sa comunque che queste nascono da una verità di base e quelle che narravano di navi che trasportavano cose trovate nelle necropoli non erano particolarmente tenere! Il capitano sputò la condensa del tabacco che era risalita amarissima lungo il cannello della pipa ed imprecò perche un'onda più violenta delle altre fece rollare il cargo e perdere quasi l'equilibrio a lui. La cassa nella stiva, quella contenente il sarcofago ligneo della mummia urto violentemente contro la parete della nave che resse bene il colpo anche se fra le assi di legno catramato si produsse una minutissima falla e qualche goccia di acqua salata si insinuò.

Un'ora più tardi la cosa si ripeté ed ancora più volte quella notte. Verso le cinque e trenta del mattino, il mare, con buona pace del capitano della "Cassiopea" si calmò e la burrasca lasciò il posto ad una calma assoluta. Nella stiva però quasi due centimetri d'acqua di mare bagnavano la cassa contenente il sarcofago di legno e quel che più contava era che anche il contenuto si era bagnato. Qualcosa. nel buio si mosse e qualcuno, perso negli abissi del tempo e dello spazio, sorrideva compiaciuto. Il conte Satte, signore della tenuta denominata "II Piffero del Gatto" sovrintese di persona alle operazioni di scarico della "Cassiopea" e fece porre particolare attenzione ai facchini che trasportavano la cassa del sarcofago sino al furgone appositamente approntato per il suo trasporto. Imprecò notando che il legno era venuto a contatto con l'acqua. "Maledetti imbecilli! - Esclamò assestando un vigoroso colpo alla cassa col palmo della mano. - Ve lo avevo detto! Mi ero raccomandato la più estrema cura! Che credete? E' una reliquia... o quasi! Se sarà stata danneggiata la pagherete cara. Avanti, fate piano ora!" Incitò infine il conte osservandosi la mano con cui aveva percosso la cassa. Una scheggia del legno era visibile sotto la pelle del palmo e bruciava un poco. Quindi salì accanto all'autista del furgone, una Mercedes nera con vetri oscurati ed indicò la strada da seguire.

"Non andiamo dove va il camion con l'altra roba signor Conte?" Domandò l'autista gettando sguardi nello specchietto retrovisore esterno. "No, la cassa prima di essere consegnata al sovraintendente del museo rimarrà qualche giorno nella mia casa affinché possa riparare io stesso ai danni che può aver provocato l'umidità. Due giorni di viaggio sarebbero un tempo troppo lungo." L'autista emise solo un "Ah!" per tutta risposta e si concentrò alla guida. Non scorse il sorriso sinistro che aleggiava sulle labbra del giovane conte signore padrone del luogo che aveva nome "II Piffero del Gatto" ed archeologo illustre. Dopo circa quattro ore di viaggio, il furgone nero attraversava una fitta foresta di pini. Avevano lasciato l'autostrada da circa tre quarti d'ora e percorrevano adesso una stretta provinciale tutta curve e dossi. Il conte non aveva più parlato da quando aveva indicato all'autista il casello d'uscita e l'uomo provava uno strano senso di disagio. Non voleva domandare nulla al giovane che sedeva nel sedile accanto al proprio il perché di quelle ore silenziose. Perché, per esempio si udivano quegli strani rumori provenire dall'interno del furgone; perché l'archeologo aveva fatto finta di non udirli seppur a tratti, fossero divenuti molto forti; perché ancora il conte stringeva spasmodicamente tra le mani quel sasso bianco recante incomprensibili segni sulla superficie ed ogni tanto sembrava pregasse...E poi, che odore era quello che avvertiva?

I quattro servitori del Conte Satte, deposero con cura la cassa contenente il sarcofago sul grande tavolo quindi si ritirarono lasciando solo il loro padrone che stava guardando la cassa perso in chissà quali pensieri. Sul bel volto passavano in rapida successione ombre scure di grande turbamento ed improvvisi sorrisi con scuotimento del capo. Rimase a lungo con lo sguardo posato sulla cassa quindi sembrò aver preso una decisione. Posò sul tavolo la pietra che aveva sempre stretto fra le mani, raccolse da un angolo del sotterraneo un piede di porco e con lentezza quasi sacrale, lo posizionò fra i legni della cassa: scricchiolii sinistri provenirono dal legno. Sollevò il coperchio liberandolo dai chiodi. Con notevole sforzo l'appoggiò ad una parete. La parte superiore del sarcofago ligneo appariva ora in tutta la propria stupenda bellezza. La maschera funeraria aveva un'espressione di grande serenità e gli occhi blu dipinti sul legno parevano fissare il soffitto del sotterraneo come se questo non esistesse. Il giovane conte sfiorò con le punte delle dita della mano quel volto di legno annerito dai secoli quindi le piccole mani incrociate sul petto e sospirò. Rimase per più di mezz'ora a contemplare quel sarcofago ornato di stucchi dorati rappresentanti il dio Horus, la dea Nut con le sue grandi ali trapunte di stelle, il dio Anubi con la testa di sciacallo. Provava gioia mista a timore rimanendo a contemplare quel manufatto che proveniva dalla notte dei tempi e si domandava che cosa avrebbe, trovato sotto quel coperchio. Metri di antiche bende che ricoprivano poveri resti mortali, qualche amuleto d'oro, alcune pietre semipreziose quali topazi e tormaline. Con mani tremanti tentò di sollevarlo ma riuscì a smuoverlo solo dopo snervanti tentativi. Probabilmente le resine ne avevano incollato i bordi a quelli della cassa vera e propria. Quando lo rimosse completamente ed apparve la mummia: la luce dalla torcia infissa alla parete di pietra sembrò abbassarsi considerevolmente per qualche attimo quindi tornò alla intensità normale. Il Conte Satte non trovò affatto ciò che aveva immaginato vi fosse all'interno del sarcofago di legno. Il corpo vigoroso di un giovane soldato egiziano rivestito delle armi più belle giaceva composto nella morte da mani pietose. Solamente il volto celato da una maschera di bronzo di rara bellezza e fattura. Il nemes o copricapo smaltato in oro e turchese portava, al posto dei consueti cobra e avvoltoio il triangolo d'oro quale fregio. Nel triangolo alcune incisione che il conte, pur conoscenza delle antiche scritture egiziane, cioè ieratico, demotico e geroglifico, non riuscì a decifrare. Alfine si decise e sollevò la maschera.

Apparve il volto nobile fiero del valoroso soldato del Faraone che un giorno di 3750 anni prima era stato ferito a morte in battaglia da una lancia ma non aveva voluto, con tutte le sue forze morire! Dal sotterraneo della casa su al Piffero del Gatto uscì un urlo disumano che si perse lungo i clivi e le valli penetrando in ogni casa facendo rabbrividire coloro che l’udirono.

Continua... 

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