martedì, febbraio 11, 2014
Trentacinque anni fa in Iran la rivoluzione islamica sanciva la fine del regime dei Pahlavi e vedeva il ritorno in patria dell'ayatollah Ruhollah Khomeini.  

Radio Vaticana - Un evento di rottura che ha portato lentamente Teheran ad un isolamento internazionale, di cui ancora oggi paga le conseguenze. Celebrazioni sono in corso in tutto il Paese, in sostegno della rivoluzione e contro gli Stati Uniti e Israele, considerati ancora oggi acerrimi nemici del regime. Cosa ha significato per il Paese la rivoluzione islamica? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Roberto Tottoli, docente di Islamistica presso l’Università Orientale di Napoli: ascolta

R. – Ha rappresentato un cambiamento epocale fondamentale in anni come lo sono stati gli anni '70, di risorgenza di tematiche islamiche. Se consideriamo che circa il 50 per cento di persiani è costituito da gente giovane, abbiamo la maggioranza di un Paese che ha conosciuto solo la Repubblica islamica, cambiando completamente l’assetto strategico, le relazioni internazionali della Regione e soprattutto di un Paese importante come l’Iran.

D. – Di certo, da quel momento in poi, però, il Paese ha vissuto sempre su un terreno fatto di fratture profondissime …

R. – Sicuramente, perché a 35 anni hanno visto cambiare ogni luogo del mondo, gli effetti della globalizzazione, la rivoluzione dei media che ha determinato capacità di scambio di informazioni in maniera spropositata rispetto a prima, soprattutto usate da giovani e quindi una conflittualità interna che si è sposata anche con una realtà che è andata mutando nei 35 anni: è morto Khomeini, ci sono stati anche contrasti all’interno degli ayatollah e una scena politica che è stata fatta anche di contrapposizioni molto forti.

D. - Oggi l’Iran vive una nuova stagione con la presidenza Rohani, più aperta al dialogo con l’Occidente. Come conciliare la necessità di aprirsi al mondo con le istanze della guida religiosa del Paese?

R. – E’ una sfida molto difficile. Da un lato, io sono molto pessimista su questa possibilità di cambiamento in una realtà e in un quadro politico in cui i guardiani della rivoluzione-ayatollah hanno l'ultima parola sulle scelte politiche; dall’altro, le tensioni dal basso e anche episodi di repressione non possono nascondere che anche la realtà sociale iraniana è fatta di grandi contrasti tra pratiche private e magari molto più libere, e una scena politica bloccata su slogan e partecipazione religiosa che non coincidono e che alla lunga creeranno problemi.

D. – Su una cosa non ci sono dubbi: Teheran ha comunque, oggi, la necessità di imporsi nuovamente sullo scacchiere internazionale. Basti pensare al ruolo di primo piano che gioca, ad esempio, nella guerra siriana …

R. – La presenza di una forza così importante, motivata proprio dall’appartenenza religiosa della minoranza sciita, implica che sicuramente l’Iran ha capacità di interdizione in una regione in cui le minoranze o maggioranze sciite sono molto forti: dall’Iraq stesso alla Siria, fino al Libano. E quindi partecipa pienamente, come uno degli attori principali, tra le grandi potenze attorno al Mediterraneo, insieme ai Paesi del Golfo, Arabia Saudita e anche Turchia. Questo genera tutta una serie di problemi e la realtà più evidente di ciò è anche in Siria dove, certo, la guerra civile non è per motivi religiosi ma in cui la polarizzazione su tematiche religiose vede anche l’Iran in prima fila.

D. – Resta aperta, poi, la partita sul nucleare iraniano, elemento di grande destabilizzazione che ha causato non pochi problemi negli ultimi anni, soprattutto durante la presidenza di Ahmadinejad. Rohani, secondo lei, ce la farà a trovare un compromesso tra sicurezza internazionale e diritto al nucleare civile dell’Iran?

R. – Su questo punto credo che i termini di un equilibrio si possano trovare, senz’altro. Superando il paradosso dell’impossibilità di raffinare le proprie risorse energetiche da parte dell’Iran e dall’altro garantire in ogni caso anche la sicurezza di tutta la Regione. Io credo che soprattutto su questo punto si possa trovare un accordo tra le esigenze legittime iraniane e le esigenze della Regione e anche degli Stati Uniti, con i suoi interessi nell'area. Non credo che costituirà un grosso problema, questo, a lungo andare.

D. – Oggi l’Iran in una parola come si può definire?

R. – Estremamente complesso e giovane.

D. – Quindi, con possibilità di cambiamento?

R. – Penso proprio di sì. Come in tutta la Regione, in Iran – per certi versi – con ostacoli più grandi, ma con una popolazione con una consapevolezza civile anche maggiore.


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