venerdì, dicembre 20, 2013
Nel vasto mondo femminile, oggi proponiamo la testimonianza di Caterina Brunetto che ci parla della sua vocazione di laica consacrata e di come viene vissuta quotidianamente

di Monica Cardarelli

Il sentimento più forte che in questo momento vibra nel mio cuore è quello della gratitudine al Signore per aver permesso di “narrare” la mia vocazione di donna, laica consacrata, per due motivi: perché mi risuonano sempre nel cuore le parole del papa il Beato Giovanni Paolo II che, in occasione del Congresso mondiale degli Istituto Secolari del 1983, ci diceva: “È doveroso conoscere e far conoscere questa vocazione così attuale e vorrei dire così urgente per la Chiesa e per il mondo"; il secondo motivo è perché è sempre una gioia poter parlare della vocazione alla laicità consacrata: grande dono che lo Spirito ha suscitato nella sua Chiesa per i nostri tempi, dono che non è fuori della storia, ma è nella Chiesa, è nel mondo, è per le strade.

Sento dentro di me tanta responsabilità, ma anche tanta gioia, perché mi sembra di poter prendere in mano il carisma di “Missionaria del Vangelo”, carisma che il Signore mi ha messo nel cuore, quando mi ha chiesto di lasciare tutto e di seguirlo e consegnarlo a voi che leggete, perché diventi visibile, diventi espressione di una storia che proprio nel narrarsi si va facendo storia di salvezza.

Sento che devo tornare indietro nel tempo, tornare a quel momento unico in cui ho sentito la chiamata d’amore da parte di Cristo, il più bello tra i figli degli uomini, e la presenza in me dello Spirito Santo che mi ha resa capace di rispondere: “Eccomi”. Egli non mi ha chiamata una volta e basta, ma torna a chiamarmi ogni giorno, aspettandomi su strade sempre nuove e mi tiene per mano per andare sempre avanti.

Sento la gioia che ha invaso la mia vita quando ho letto le parole del profeta Geremia: “Quando le tue parole mi vennero incontro le divorai con avidità;la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome Signore, Dio degli eserciti” (Ger 15,16).
Ho cominciato a pensare che la mia vita poteva avere senso nella misura in cui accoglievo e mi lasciavo accogliere da questa Parola. Una parola da mangiare… Mi sono trovata innamorata, mi sono sentita invadere da una grande passione per Cristo Verbo del Padre, da un forte desiderio di contemplazione, di ascolto, di incarnazione…
Forse il Signore ha pensato per me una vocazione alla vita contemplativa, mi dicevo… ma allo stesso tempo sentivo dentro di me una forte passione per il mondo, per quel mondo uscito buono dalle mani di Dio, di quel mondo che rimane sempre oggetto di quell’appassionato amore del Padre il quale, per la sua salvezza, ha dato il Figlio unigenito e diletto… quel mondo di cui anch’io facevo parte e di cui sentivo, perché li provavo nella mia carne, “i gemiti inenarrabili”, quel mondo che anelava a tornare “buono” così come era uscito dalle mani del creatore.

Questa passione per il mondo nasceva nel mio cuore proprio dall’aver scoperto la bellezza di Cristo che assume la natura umana, si incarna nella storia e in essa ama in un modo unico, cammina, incontra, guarisce, conforta, riprende…
Quanto entusiasmo allora! Ora, a volte, mi assale la paura di non farcela, di conformarmi ad una certa mentalità egoistica, di confondermi con quella parte di mondo che evidenzia soprattutto il marcio che c’è in esso e sono tentata di fare come Giona, ma sento dentro, in forza della vocazione ricevuta, che devo“amare Ninive” così come Dio la ama e come Egli ricorda a Giona.
La passione per il mondo mi aiuta ad abitare la mia umanità, a rimanere in contatto profondo con l’umanità di Cristo, mi trasforma interiormente, mi rende prudente, mi fa chiedere la sapienza per essere in grado di portare ad efficacia di vita la fede e la carità che deriva dall’accoglienza della Parola del Vangelo (cf Gaudium et Spes n°42).
La vocazione che il Signore mi aveva messo nel cuore sin dall’eternità mi è stata rivelata da una donna, laica consacrata nell’Istituto Secolare Missionarie del Vangelo, che la Provvidenza mi ha messo accanto e che me l’ha annunciata quando ancora non si parlava del ruolo dei laici nella Chiesa. Sento ancora lo stupore e la meraviglia che ho provato perché questa nuova forma di vita consacrata sembrava proprio quella pensata e voluta dallo Spirito nella Chiesa per me.
Mi trovavo nella fase più decisiva del mio discernimento vocazionale, mi è stata di aiuto e di esempio, proprio questa laica consacrata, il suo modo di essere e di vivere, il suo modo semplice e attento di accostarsi alla Parola del Vangelo per annunciarlo a noi, giovani della parrocchia, la sua attenzione verso tutti coloro che erano nel bisogno, sia spirituale che materiale, la sua attenzione a dare alle mie ansie e ai miei desideri le risposte che cercavo.

Ho preso coscienza della chiamata del Signore; ciò ha fatto scaturire in me l’impegno a farmi eco di quella voce che chiama alla sua sequela e a partecipare alla missione della Chiesa in qualunque ambiente il Signore mi avrebbe messo.
Ho sentito rivolto a me l’invito di Gesù a farmi prossimo, a scendere da Gerusalemme a Gerico con lo sguardo attento ai tanti fratelli, soprattutto giovani, lasciati ai margini delle strade, feriti dalla paura del domani, dalla precarietà della vita e degli affetti, derubati del loro futuro, in attesa di chi sappia prendersi cura di loro, pagando di proprio, per restituirgli identità, senso di appartenenza, dignità, famiglia.

Ho capito sempre più che, come laica consacrata, il territorio era il luogo in cui dovevo vivere pienamente la mia vocazione e missione e crescere quotidianamente in Cristo e nella Chiesa.
Ho compreso sempre più che il territorio era il luogo da accogliere come dono; luogo in cui incarnarmi per pregare, annunciare, vivere e testimoniare Cristo e la sua Parola nella ferialità della mia vita; luogo in cui sentirmi particolarmente impegnata ad annunciare la gioia di appartenere a Cristo; luogo che mi avrebbe permesso di scoprire la bellezza di Cristo, del suo unico modo di amare, incontrare, guarire la vita, allietarla, confortarla; luogo in cui potevo e posso cantare con la vita questa bellezza.
Mi sono resa conto che il mio ambiente era il luogo in cui accogliere, come un campo di terra buona, il seme della Parola perché in me e attraverso me potesse fecondare la vita, sperimentare il dono di essere madre, sorella e amica di quanti il Signore avrebbe messo ogni giorno, accanto a me; compagna di cammino soprattutto per i giovani nel viaggio della vita per scoprire insieme che “l’abbiamo ricevuta e in abbondanza” (cf. Gv 10,10).

In forza della mia vocazione di laica consacrata, ho cercato di vivere la mia professione di insegnante come servizio al bambino e alle famiglie, ho potuto avvicinare tante realtà e mi sono resa conto che cresceva sempre più nelle persone il bisogno di essere autentici, di ritrovare la propria identità cristiana, di stare insieme, di ritrovare il senso dell’appartenenza, di fare comunità, luoghi in cui riconoscere ed essere riconosciuti, ambienti in cui si possa essere protagonisti, ma anche in cui si possa interagire e condividere affetti e relazioni.

Ho capito che i fratelli che mi stanno accanto desideravano percepire una vita pienamente vissuta, respirare la gioia di appartenere a Qualcuno e che la sua Parola era ed è il pane quotidiano di cui sfamarsi sempre e comunque.
Solo allora, a mio avviso, può scattare l’inquietudine necessaria per cominciare a porsi domande di senso e che è possibile scoprire che è bello impegnarsi per “sempre”.

Inserita nel mondo, lo Spirito mi aiuta a scoprire e a leggere i nuovi segni dei tempi per rispondere ad essi in maniera evangelica e potermi adoperare per “ordinare le realtà temporali secondo Dio”, usando il linguaggio concreto degli uomini per presentare una visione immediata e concreta della realtà storica in cui la Chiesa vive, in cui ogni cristiano vive.
Là dove vivo ed opero, mi sforzo di essere pronta ad accogliere le sfide fatte da mille contraddizioni, da mille povertà, ma anche da tante ricchezze; di essere presenza significativa là dove la gente soffre e a condividere la “prossimità” immettendovi le energie nuove di quel regno dove sembra apparentemente inutile “lanciare” il Vangelo.


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