sabato, novembre 02, 2013
In marcia il 22 novembre con la famiglia di Vito Scafidi

Liberainformazione - Ormai è una questione quotidiana. Ogni giorno c’è un “piccolo” crollo in una scuola, una crepa che si apre e desta preoccupazione, un neon che si stacca dal soffitto. Da quel 22 novembre 2008 nessuno di questi eventi è più visto come isolato. Perché c’è stato il miracolo Vito. Vito Scafidi, 17 anni anni, occhi blu più del mare e un sorriso sempre stampato in faccia, con la voglia di vivere che gli esce da tutti i pori. Quella mattina un vento forte soffia dalla Val Susa, un vento che porta via gli alberi. Ma con la sentenza del 28 ottobre 2013 è stato sancito che quel vento non ha fatto cadere il soffitto della 4 G del Liceo Darwin.

Sì perché, fin dal primo minuto, tutti sono corsi a parlare di “tragica fatalità”. La stessa che ha fatto sgretolare la scuola elementare di San Giuliano o la casa dello studente de l’Aquila. La sentenza ci dice che sono almeno sei le persone responsabili di quel crollo, persone che a vario titolo avrebbero dovuto vigilare sulla sicurezza di quell’edificio e che non l’hanno fatto. Un edificio vecchio, che negli anni ha subìto molte trasformazioni e lavori di ristrutturazione. E che nel controsoffitto custodisce le macerie di alcuni di questi lavori, detriti che guardano dall’alto gli studenti, giorno dopo giorno, tra i banchi di scuola. I calcinacci, i tubi, le cisterne: tutto lì ammucchiato in una misura superiore a ciò che è consentito reggere dalla struttura. Finché si è aperto il baratro e quel baratro si inghiottisce Vito e ferisce alcuni suoi compagni. Uno di loro, Andrea Macrì, resterà per sempre in sedia a rotelle. Da allora qualcosa è cambiato. L’anagrafe sull’edilizia scolastica, ancora in divenire, è uno strumento che ci restituisce una situazione molto grave in cui pare che poco più di un terzo delle scuole siano a norma. Siamo quindi lontani dalla meta, che resta quella di poter custodire il presente e il futuro del nostro Paese, rappresentato anche dai nostri studenti, in luoghi sicuri e belli, accoglienti e inclusivi.

Ancora molti passi da fare in avanti, ma sicuramente in questi cinque anni neanche un passo indietro. Non credo ci siano parole per descrivere il fatto che un ragazzo possa essere ucciso da un crollo nel luogo che custodisce il suo futuro. Credo però che ci siano parole che non possono descriverlo. Quelle parole sono “tragica fatalità”. E la sentenza mi dà ragione.

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