mercoledì, novembre 20, 2013
Massimo Crosti, docente di filosofia politica all’università salesiana di Roma, e Mauro Mantovani, decano della Facoltà di Comunicazione nello stesso ateneo, hanno raccolto in questo volume edito da LAS i contributi degli esperti nell’ambito di un convegno che si è tenuto all’Università Pontificia Salesiana nel marzo scorso

di Carlo Mafera

Due sono le convinzioni di fondo che caratterizzano quest’opera: la prima consiste nella certezza che dalla crisi si può e si deve uscire, la seconda sta nella considerazione che proprio la crisi ha stimolato la creazione, finora teorica, di nuove dinamiche e di nuovi rapporti tra società e mercato. Un’idea ha pervaso il convegno: il pensiero neoliberista non è più sufficiente per risolvere i nuovi problemi economici che l’età della globalizzazione ha imposto alla visione di tutti, esperti e comuni cittadini. Pensare solo che ci siano stati errori o incidenti di percorso nel pensiero neoliberista sarebbe una cattiva rappresentazione della realtà. Come afferma giustamente il prof. Crosti: “Qualora infatti nell’opinione pubblica prevalesse una rappresentazione minimalista della crisi … costruita artificiosamente dagli ideologi del neoliberismo, ciò sarebbe non soltanto un serio ostacolo al suo superamento ma contribuirebbe anche a creare le condizioni per il ripetersi di altre crisi”.

Bisogna oggi prendere sempre più consapevolezza che questa economia di mercato vive in Europa una profonda crisi, dovuta a due principali fattori: innanzitutto il peso eccessivo della finanza speculativa in rapporto all’economia reale; la finanza è utile finché è sussidiaria all’economia reale, ma diventa dannosa quando il rapporto si inverte, e beni, servizi, ambiente e lavoratori vengono asserviti e strumentalizzati dai capitali speculativi.
Una seconda causa è stata messa in evidenza durante il convegno: una cultura fondata sul consumo, che tende a trasformare i beni, anche quelli relazionali, in merci e marginalizza anche il lavoro umano. Perciò alla radice di questa grave crisi c’è un deficit antropologico, etico, relazionale e quindi spirituale, come ha sottolineato nel suo intervento il prof. Mauro Mantovani.

Quali sono allora le vie di uscita da questa visione miope della realtà economica che mette al centro il profitto? Occorrono molte cose nuove, tra cui un progetto per un’Economia di comunione. Tale visione ci dice che l’impresa oggi non fa abbastanza per il Bene comune se si accontenta di pagare le tasse e rispettare le leggi, e delega allo Stato tutto il resto. Non basta più: l’impresa deve usare la ricchezza per la creazione di lavoro e non per la speculazione, per la formazione dei giovani e per progetti a vantaggio degli esclusi. La povertà è sempre il grande spartiacque su cui misurare il Bene comune: se vuoi sapere se una società è giusta, guarda come tratta i più poveri. È un messaggio forte perché dice che usciremo da questa crisi ripensando non solo la funzione della finanza ma anche la natura dell’impresa e del profitto. È questo il principale messaggio di questa crisi economica, se vogliamo ascoltarlo e raccoglierlo.

Solo ripensando ad una economia come comunione, e cioè solidale, daremo il nostro apporto filosofico ad una finanza e ad una economia di comunione, alleate e amiche del Bene comune. Il pensiero cristiano ha contribuito a far nascere la prima economia di mercato, come è stato ben messo in evidenza negli interventi di carattere storico: oggi lo stesso pensiero, tratto dalle ultime encicliche sociali, soprattutto dalla Caritas in Veritate, deve dare il suo essenziale contributo per farla rinascere. L’attuale pontefice Francesco ha ribadito recentemente davanti al Corpo Diplomatico i concetti espressi dal suo predecessore Benedetto XVI: “La povertà diventa più evidente. Si deve lottare per vivere, e spesso per vivere in modo non dignitoso”. Una delle cause, per il Pontefice, è il rapporto malato con il denaro, l’aver accettato “il suo dominio su di noi e sulle nostre società”. È questa l’origine della crisi finanziaria che, “situata in una profonda crisi antropologica, afferma la negazione del primato dell’uomo”. “Abbiamo creato nuovi idoli”, afferma duramente Papa Francesco. Come un moderno vitello d’oro, il “feticismo del denaro e la dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano hanno deformato la finanza e ridotto l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo”.

Peggio ancora, ribadisce il Santo Padre, “oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare”. Una cultura dello scarto, dunque, che porta ad una deriva individuale e sociale. In tale contesto, “la solidarietà, che è il tesoro dei poveri, è spesso considerata controproducente”, troppo umana, quasi una minaccia, perché “relativizza il denaro e il potere e rifiuta la manipolazione e la sottomissione della persona”. “Dietro questo atteggiamento - afferma Papa Francesco - si nasconde il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio. Come la solidarietà, infatti, l’etica dà fastidio. Essa conduce a Dio, il quale si pone al di fuori delle categorie del mercato” ed è quindi considerato da finanzieri, economisti e politici, come non gestibile o addirittura pericoloso”.

Se Papa Francesco ha fatto eco ai temi discussi durante il convegno all’Università Salesiana di Roma e ha così sottolineato in modo impietoso la diagnosi della situazione sociale in cui versiamo, gli insigni esperti intervenuti, tra i quali Raffaele Sestini, capo dell’ufficio legislativo del Ministero dello Sviluppo Economico, hanno indicato anche una prognosi e una cura precisa. In particolare Sestini ha proposto nel suo intervento le seguenti misure immediate: “Regolamentare rigorosamente la legalità delle operazioni finanziarie ed economiche prevedendo anche un forte sistema di garanzie sui prodotti finanziari proposti nei mercati secondari da operatori con un’elevata leva finanziaria; garantire una maggiore tutela dei consumatori e rapporti di riserva più elevati per le banche (accordi di Basilea) al fine di ridurre l’indebitamento”. Inoltre, altri punti fondamentali per Sestini stanno nel “separare le banche commerciali (la raccolta di fondi destinati all’erogazioni di prestiti) dalle banche di investimento, regolamentare i derivati, evitare la possibilità di vendite allo scoperto e gli scambi over the counter (scambi cioè che hanno luogo al di fuori delle borse o dei mercati regolati); attivare una politica economica che sappia indirizzare l’apporto della finanza mediante idonee politiche del credito alle imprese che investono, assumono e producono”. E ancora, altre opportune manovre sono “favorire il finanziamento immobiliare attraverso la creazione di garanzie per le giovani coppie, per le nuove assunzioni, per la casa … Affrontare il più generale tema dell’imposizione fiscale sulle rendite finanziarie … rivedere il ruolo delle agenzie di rating, favorendo la nascita di servizi indipendenti e settoriali costituiti anche da associazioni di consumatori”. “Ma – conclude Sestini – è necessario operare a livello internazionale e comunitario per un adeguato governo unitario, innanzitutto europeo, dei flussi finanziari e della manovra pubblica finanziaria e della loro incidenza sull’economia reale dei singoli Paesi, in grado di controllare le rendite finanziarie e le inevitabili tentazioni speculative internazionali”.

Dal canto suo Mons. Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nell’intervento conclusivo ha ribadito l’esigenza della creazione di un’Autorità mondiale di controllo per le operazioni finanziarie ma che deve fare capo alla ‘comunità dei popoli’. Infine, ha sottolineato che soprattutto “l’Europa ha bisogno di un nuovo patto sociale … un obiettivo prioritario, tanto quanto l’obiettivo dell’unificazione politica e l’obiettivo del risanamento economico: ciascuno di questi obiettivi non può essere realizzato indipendentemente dagli altri”.


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