Sguardo di compassione per un paese che va alla deriva. Quello di un missionario.
La cupa impressione del Titanic e del suo triste destino: vista dalla terra inglese - con uno sguardo esterno ma che favorisce la sintesi - la nostra patria offre sempre più questa impressione. Un grande Paese, pur con enormi risorse e potenzialità, che fa acqua da ogni parte. Sembra di trovarsi di fronte a tutto un sistema che stia cedendo... Non è solo il lavoro che manca, manca anche la spinta della fiducia in un avvenire, del coraggio, dei valori, di una visione che mobiliti le energie. Perfino la consapevolezza della gravità del momento. Si gioca in politica ancora come se si fosse in guerra: gli uni contro gli altri. E i problemi restano.
È solo una visione dall’esterno, da fuori senz’altro. Ma da un punto di vista privilegiato: Londra, il porto di arrembaggio di migliaia di giovani italiani, che arrivano ormai sempre più giovani, anche diciottenni. Un porto di speranza come ogni metropoli e di disperazione. Da gennaio, infatti, qui muore per droga un giovane italiano al giorno. Tantissimi, tuttavia, vi combattono in prima linea per riuscire a guadagnarsi qualche obiettivo. La padronanza della lingua inglese, un lavoretto, un corso universitario o un’autonomia ambita. Questa metropoli dà chances nuove o schiaccia senza remissione.
Emerge in patria, in un paesaggio inquietante, papa Francesco. Unico segno di speranza. Mostra a contrario la durezza dei tempi, la perdita di senso e di valori, l’inconsistenza dei leaders. Ricorda i tempi imbarbariti e oscuri di un certo Medioevo, dove la figura del vescovo rappresentava un baluardo di civiltà per tutti. Non era solo autorità religiosa, ma una stella polare. Un’icona, un oggetto sacro cioè, che rimanda a qualcosa di più grande e divino. E qui è la dignità dell’uomo, l’unità di un popolo, il valore della vita, la responsabilità di fronte all’altro e alla comunità.
Pare di essere in patria di fronte a una metastasi di mali antichi che prende ormai il sopravvento. "Tutti i nodi tornano al pettine" scandisce pacatamente John, figlio di italiani emigrati da Torino, nato qui a Londra. Per lui ritornare ogni volta in Italia è come rivedere la faccia di una persona malata di un male inesorabile nel suo lento avanzare. Ogni volta sta peggio ed è ciò che sfugge a chi ci vive accanto quotidianamente.
Abbiamo rincorso tanti idoli, questa è la loro sterile ricompensa. Idoli come il denaro ad ogni costo. La libertà, anzi la profanazione di questa, considerandola un bulldozer che calpesta tutto quello che incontra. Il senso del farla franca. L’interesse personale. La sopraffazione su chi è differente, minoranza o emigrante. Il gusto esasperato dell’immagine, dell’apparire e la TV di questi anni ne è maestra. Ma un idolo – esattamente al contrario di un’icona - è un accentratore per eccellenza, un prosciugatore di energie. Vi ruba l’anima senza accorgervi. Ha un prorompente senso di sé, un narcisismo esasperato. E i suoi eroi negativi.
Una riscossa morale collettiva. Ecco l’assoluta urgenza del momento. È ora di voltare pagina. Mettendo al primo posto gli ultimi: i giovani e gli emigranti. Si rivela indispensabile un’attenzione nuova, convinta, ai valori che fanno vivere una comunità. Solo allora si potrà cantare per davvero un inno nazionale che inizia con due parole sacre: Fratelli d’Italia. Anche se - ennesimo paradosso - è l’inno di una nazione dalla conflittualità infinita. Solo così, però, si entra nell’era di Papa Francesco, in un cammino decisamente tracciato da lui. Altrimenti si rimane a quel periodo fatto di clan, di corporazioni, di privilegi dove regnava il feudo e il suo signore. È ora di uscire dal nostro piccolo mondo antico. Dio attende alla frontiera.
di Renato Zilio
La cupa impressione del Titanic e del suo triste destino: vista dalla terra inglese - con uno sguardo esterno ma che favorisce la sintesi - la nostra patria offre sempre più questa impressione. Un grande Paese, pur con enormi risorse e potenzialità, che fa acqua da ogni parte. Sembra di trovarsi di fronte a tutto un sistema che stia cedendo... Non è solo il lavoro che manca, manca anche la spinta della fiducia in un avvenire, del coraggio, dei valori, di una visione che mobiliti le energie. Perfino la consapevolezza della gravità del momento. Si gioca in politica ancora come se si fosse in guerra: gli uni contro gli altri. E i problemi restano.
È solo una visione dall’esterno, da fuori senz’altro. Ma da un punto di vista privilegiato: Londra, il porto di arrembaggio di migliaia di giovani italiani, che arrivano ormai sempre più giovani, anche diciottenni. Un porto di speranza come ogni metropoli e di disperazione. Da gennaio, infatti, qui muore per droga un giovane italiano al giorno. Tantissimi, tuttavia, vi combattono in prima linea per riuscire a guadagnarsi qualche obiettivo. La padronanza della lingua inglese, un lavoretto, un corso universitario o un’autonomia ambita. Questa metropoli dà chances nuove o schiaccia senza remissione.
Emerge in patria, in un paesaggio inquietante, papa Francesco. Unico segno di speranza. Mostra a contrario la durezza dei tempi, la perdita di senso e di valori, l’inconsistenza dei leaders. Ricorda i tempi imbarbariti e oscuri di un certo Medioevo, dove la figura del vescovo rappresentava un baluardo di civiltà per tutti. Non era solo autorità religiosa, ma una stella polare. Un’icona, un oggetto sacro cioè, che rimanda a qualcosa di più grande e divino. E qui è la dignità dell’uomo, l’unità di un popolo, il valore della vita, la responsabilità di fronte all’altro e alla comunità.
Pare di essere in patria di fronte a una metastasi di mali antichi che prende ormai il sopravvento. "Tutti i nodi tornano al pettine" scandisce pacatamente John, figlio di italiani emigrati da Torino, nato qui a Londra. Per lui ritornare ogni volta in Italia è come rivedere la faccia di una persona malata di un male inesorabile nel suo lento avanzare. Ogni volta sta peggio ed è ciò che sfugge a chi ci vive accanto quotidianamente.
Abbiamo rincorso tanti idoli, questa è la loro sterile ricompensa. Idoli come il denaro ad ogni costo. La libertà, anzi la profanazione di questa, considerandola un bulldozer che calpesta tutto quello che incontra. Il senso del farla franca. L’interesse personale. La sopraffazione su chi è differente, minoranza o emigrante. Il gusto esasperato dell’immagine, dell’apparire e la TV di questi anni ne è maestra. Ma un idolo – esattamente al contrario di un’icona - è un accentratore per eccellenza, un prosciugatore di energie. Vi ruba l’anima senza accorgervi. Ha un prorompente senso di sé, un narcisismo esasperato. E i suoi eroi negativi.
Una riscossa morale collettiva. Ecco l’assoluta urgenza del momento. È ora di voltare pagina. Mettendo al primo posto gli ultimi: i giovani e gli emigranti. Si rivela indispensabile un’attenzione nuova, convinta, ai valori che fanno vivere una comunità. Solo allora si potrà cantare per davvero un inno nazionale che inizia con due parole sacre: Fratelli d’Italia. Anche se - ennesimo paradosso - è l’inno di una nazione dalla conflittualità infinita. Solo così, però, si entra nell’era di Papa Francesco, in un cammino decisamente tracciato da lui. Altrimenti si rimane a quel periodo fatto di clan, di corporazioni, di privilegi dove regnava il feudo e il suo signore. È ora di uscire dal nostro piccolo mondo antico. Dio attende alla frontiera.
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