lunedì, ottobre 14, 2013
Si è svolto dal 10 al 12 ottobre il Seminario di Studi promosso dalla sezione donna del Pontificio Consiglio per i laici in occasione del XXV anniversario dell’enciclica sulla donna di Giovanni Paolo II

di Monica Cardarelli

Il titolo scelto per il seminario era “Dio affida l’essere umano alla donna”, riprendendo il punto 30 dell’enciclica. Nei tre giorni numerosi sono stati gli interventi su vari temi e i panel tra i partecipanti e sarebbe riduttivo sintetizzarli in questa sede. Appare però interessante soffermarsi su alcuni spunti di riflessione. Mons. Livio Melina per esempio nel suo intervento introduttivo ha presentato una riflessione sull’affermazione dell’enciclica esplorando le tre dimensioni (teologica, antropologica e storico-culturale) intimamente connesse tra loro tanto da condizionarsi reciprocamente. Ricordando come “il ricevere è il presupposto fondamentale indispensabile, nella creatura, per potersi donare”, mons. Melina ha sottolineato come “la recettività femminile esprime dunque la caratteristica propria della creatura come tale di fronte al suo Creatore: accogliere l’amore previo di Dio, esserne testimone e custode, in un atteggiamento di gratitudine e di lode. In questo senso, come afferma il teologo ortodosso russo Alexander Schmemann, la missione della donna è di custodire la struttura sacramentale o simbolica del mondo, chiamato a celebrare una liturgia cosmica di lode all’Amore originario da cui proviene”.

A proposito del sacerdozio per le donne, mons. Melina ha sottolineato come “partendo da più che giustificate istanze, le correnti di un certo femminismo teologico sono giunte a rivendicare, come parte essenziale della loro agenda, anche l’apertura del sacerdozio ordinato e dei ruoli direttivi all’interno della Chiesa, anche per le donne. ma, ancora una volta, una simile proposta innovativa, in realtà presupponendo il sacerdozio come esercizio di un potere, finisce per concepire l’emancipazione femminile come uguaglianza di possibilità di accesso al governo, senza prestare attenzione al significato simbolico della differenza e quindi al valore specifico della vocazione della donna nella Chiesa. In realtà la conseguenza di una mentalità che privilegia l’efficienza, l’organizzazione e il potere, è precisamente quel ‘clericalismo’ che affligge la Chiesa come uno dei mali, antichi e sempre nuovi, da cui dovrebbero convertirsi i suoi membri investiti di autorità. Esso indica un esercizio del potere ecclesiale sganciato dal senso del servizio e svuotato dalla spiritualità formata nel fiat di Maria, che ha la sua radice profonda proprio nella perdita del senso del primato del dono e della grazia. Il clericalismo, potremmo dire, continuando la riflessione di Balthasar a proposito dell’epoca contemporanea, è una Chiesa ‘senza donne e senza bambini’, senza ascolto, senza meraviglia, senza gratitudine e senza servizio. Ora, sono proprio queste le caratteristiche essenziali della Chiesa, che di fronte a Cristo è Sposa, in atteggiamento mariano di obbedienza amorosa”.

A noi piace ricordare qui solo il brano evangelico di Luca nel noto racconto di Marta e Maria, la prima indaffarata nei preparativi, privilegiando l’efficienza e l’organizzazione forse più tipica del maschile; la seconda seduta ai piedi di Gesù, ascoltando le sue parole e contemplando il suo volto, in atteggiamento di ascolto, come i discepoli. In questa contrapposizione di ruoli, Gesù dice chiaramente che Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta. Non importa dunque il ruolo di potere o gli incarichi affidati, ciò che conta è la relazione con Dio e l’ascolto, l’accoglienza.

Di particolare interesse sono stati alcuni interventi che hanno rappresentato una vera e proprio testimonianza di vita, una condivisione, come ad esempio le parole di Marisa Lucarini che ha raccontato il suo percorso di moglie e di madre con tutte le difficoltà, i dolori e le perdite che ogni vita porta con se. “Mi sono sposata a 22 anni e con mio marito abbiamo desiderato mettere la nostra vita e il nostro matrimonio nelle mani di Dio. Ecco, vorrei partire da questo: non credo che si possa parlare di maternità senza sottolineare la paternità, anche se oggi è spesso considerata opzionale. Io e mio marito abbiamo camminato insieme e oggi ripercorrendo con il pensiero i 30 anni del nostro matrimonio ho la conferma che il Signore ci ha pensati insieme ma diversi, talmente diversi che solo insieme riusciamo ad avere un equilibrio. Anche nell’accettazione delle gravidanze, nell’educazione dei figli, in tutta la nostra vita comune ci ha aiutato molto l’essere due piatti della stessa bilancia: uno è necessario all’equilibrio dell’altro, quando uno va giù l’altro lo aiuta a sollevarsi”.

Una vita familiare non certo facile e per certi versi comune a tante coppie ma non per questo scontata, anzi. “Dopo poco tempo, quando sono rimasta incinta del secondo figlio, ho temuto. Ho pensato che sarebbe stata un’esperienza che avrebbe confermato la mia incapacità di vivere in funzione di un'altra persona. Il mio orgoglio mi spingeva a pensare che sarebbe stata una prova troppo dura per me e quando la gravidanza venne interrotta da un aborto spontaneo cedetti alla tentazione di interpretare questo fatto come una punizione di Dio, come se mi avesse tolto il figlio che avevo rifiutato. Dopo l’aborto sono nati altri due figli ma l’esperienza più importante è stata nel periodo successivo alla nascita del terzo figlio. (…) Sono state proprio quelle gravidanze che finalmente mi hanno insegnato che la vita viene da Lui e non da me. A me era chiesto solo di accoglierla e custodirla comunque. Ho scoperto che qualche volta i figli sono “solo” per la Vita Eterna – e certamente il termine “solo” è da leggere tra virgolette. Questa scoperta è stata l’apertura dei miei occhi: pensavo che essere aperti alla vita significasse avere tanti figli, invece ho capito che l’apertura vera è rispetto a quello che pensa il Signore per me”.

Femminilità, maternità, fecondità, accoglienza…un universo di sentimenti contrastanti tra loro, dalla delicatezza alla forza, dalla tenacia alla generosità. Non è facile parlare delle donne e del femminile poiché, in qualunque ambito si trovino, è essenziale che possano esprimere il proprio essere femminile. C’è bisogno del ‘genio femminile’, sia nella società civile che nella comunità ecclesiale; non si può più prescindere dalle donne e dal loro sguardo sul mondo. “C'è un paradosso nell'esperienza dell'amore: due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare”, scriveva il poeta Rainer Maria Rilke, parole citate nel suo intervento da Costanza Miriano, a cui era stata affidata una relazione su “Identità maschili e femminili mature”.

“Uomo e donna sono due povertà che si incontrano e si donano.” Ha proseguito Costanza Miriano – “Avere un’identità adulta a mio parere significa proprio accogliere questa verità: cioè che l'altro non potrà mai colmare tutte le attese, anche involontarie, o le pretese che noi riversiamo sulla persona che ci è a fianco. Avere un orizzonte più grande significa invece che le piccole mancanze e delusioni reciproche le possiamo vivere non come crepacci nei quali cercare di non cadere, né tanto meno come rivendicazioni, ma come “giogo soave”, un peso leggero che serve alla propria conversione, che è poi il fine della vita qui sulla terra”.

Particolarmente interessante la sua affermazione circa la sponsalità a Cristo, propria di ogni cristiano: “Ogni uomo e ogni donna sono chiamati a essere sposi prima di tutto del Signore, sia che siano consacrati, e allora è direttamente lui lo sposo, sia che siano invece sposati, e quindi l'altro diventa la via privilegiata per amare e ricevere amore da Dio, che rimane sempre però il nostro sposo. Quello che guarisce i rapporti è ricordare che se il fine oggettivo del matrimonio è quello di generare figli, quello soggettivo è generare se stessi, quindi, poiché esattamente come per le persone consacrate, è il rapporto con Dio che ci definisce, lo sposo è la via per realizzare questa unione con Dio”.

Partendo da questa affermazione si capisce come solo “Amando lo sposo, la sposa, si ama Dio, e questo ci permette innanzitutto di uscire dalla logica “del ragioniere” che sembra prevalere in tante coppie. E poi, ad un livello molto più profondo, l'uomo maschio e femmina è a immagine di Dio, quindi necessariamente il rapporto con l'altro ci dice qualcosa di decisivo su noi stessi (…) e ci costringe a una domanda sul senso, ci costringe alla conversione”.

Ci piace pensare con Costanza Miriano che “accostarsi al mistero del maschile e del femminile ci introduce al mistero di Dio, che ci ha creati maschio e femmina, a sua immagine. Per mezzo della donna l’umanità è invitata a trovare la sua vocazione sponsale con il Signore. È sempre una vocazione in cui la Sposa risponde con il suo amore a quello dello Sposo, dice la Mulieris Dignitatem, lo sposo con la S maiuscola, il Signore. Per questo, scrive il Catechismo della Chiesa cattolica, la dimensione mariana, la vocazione prima di tutto sponsale dell'umanità, precede quella petrina”.

Nell’udienza speciale che papa Francesco ha riservato ai partecipanti al Seminario di studio – “E’ una realtà che mi sta molto a cuore” ha detto - ha precisato come la maternità comporti “una ricchezza di implicazioni sia per la donna stessa, per il suo modo di essere, sia per le sue relazioni, per il modo di porsi rispetto alla vita umana e alla vita in genere. Chiamando la donna alla maternità, Dio le ha affidato in una maniera del tutto speciale l’essere umano”.

Ha ricordato però i due pericoli che possono mortificare la donna e la sua vocazione: da un lato “ridurre la maternità ad un ruolo sociale, ad un compito, anche se nobile, ma che di fatto mette in disparte la donna con le sue potenzialità, non la valorizza pienamente nella costruzione della comunità. Questo sia in ambito civile, sia in ambito ecclesiale.”, dall’altro invece il pericolo “di promuovere una specie di emancipazione che, per occupare gli spazi sottratti dal maschile, abbandona il femminile con i tratti preziosi che lo caratterizzano.” Ha poi sottolineato come "la donna abbia una sensibilità particolare per le 'cose di Dio', soprattutto nell’aiutarci a comprendere la misericordia, la tenerezza e l’amore che Dio ha per noi. A me piace anche pensare che la Chiesa non è 'il' Chiesa, è 'la' Chiesa. La Chiesa è donna, è madre, e questo è bello. Dovete pensare e approfondire su questo”.

Dopo aver ribadito che l’enciclica Mulieris Dignitatem si pone come base per una riflessione profonda e organica, per un lavoro di approfondimento e promozione, ha condiviso con i presenti e con tutti i fedeli la sua sofferenza per l’attuale situazione della donna nella Chiesa. “Anche nella Chiesa è importante chiedersi: quale presenza ha la donna? Io soffro - dico la verità - quando vedo nella Chiesa o in alcune organizzazioni ecclesiali che il ruolo di servizio – che tutti noi abbiamo e dobbiamo avere – che il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servidumbre. Non so se si dice così in italiano. Mi capite? Servizio. Quando io vedo donne che fanno cose di servidumbre, è che non si capisce bene quello che deve fare una donna. Quale presenza ha la donna nella Chiesa? Può essere valorizzata maggiormente? E’ una realtà che mi sta molto a cuore e per questo ho voluto incontrarvi - contro il regolamento, perché non è previsto un incontro del genere - e benedire voi e il vostro impegno. Grazie, portiamolo avanti insieme! Maria Santissima, grande donna, Madre di Gesù e di tutti i figli di Dio, ci accompagni. Grazie!”.

Non resta quindi che accogliere l’invito e l’augurio di papa Francesco ad approfondire la riflessione sulla donna nella Chiesa e nella società.


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