La Vita di Edoardo II d’Inghilterra torna alla ribalta al Teatro Olimpico di Vicenza con la regia di Andrea Baracco, nell'ambito del 66° ciclo di Spettacoli classici
Città Nuova - Quando Bertolt Brecht, giovanissimo, mise mano alla riscrittura dell’Edoardo II di Christopher Marlowe, non aveva ancora formulato le sue teorie sul “teatro epico” e sull'effetto di “straniamento”. Muoveva i suoi primi passi di artista, e il testo di Marlowe rappresentava per lui un’indagine, quasi antropologica, sul contesto umano, politico e sociale in cui avrebbe espresso le proprie idee. La sua scrittura, più asciutta e teatrale, riportava il testo alla contemporaneità dell’epoca descrivendo il caos morale dei suoi tempi, quel travagliato primo dopoguerra che avrebbe poi generato, in Europa, inimmaginabili mostri.
La tragedia del re d’Inghilterra, reo di amare il giovane Gaveston - una rovinosa passione che gli farà perdere regno, dignità e la stessa vita -, non è soltanto la violenta vicenda di un amore impossibile per il suo favorito, ma una feroce analisi sugli intrighi e sulla dissolutezza della politica e del potere. Sarà odiato, vilipeso, torturato, soprattutto per aver osato elevare un uomo qualunque al di sopra dei Pari d’Inghilterra, infischiandosene delle convenzioni.
Testo poco conosciuto e pochissimo rappresentato, Vita di Edoardo II d’Inghilterra è tornato alla ribalta grazie all’acuto giovane regista Andrea Baracco che, per il 66° ciclo di Spettacoli classici di Vicenza, lo ha preferito ad altre più conosciute rivisitazioni classiche brechtiane (vedi Coriolano o Antigone), operando con intelligenza dei tagli e una riduzione dei personaggi. Baracco vi intravvede «quello che si potrebbe definire un “governo dei sensi” che prende decisamente il sopravvento sul “governo della ragione”».
Brecht, pur sottolineando l'umiltà degli inizi di Gaveston quale figlio di un macellaio spinto quasi inconsapevolmente nel mondo spietato della potere, concentra la sua attenzione sul re e sui leader politici che si rivoltano contro di lui portandolo alla guerra civile. Nel mantenere gran parte della struttura di Marlowe, Brecht modifica alcuni dettagli importanti. Come, ad esempio, la figura di Mortimer, l’avversario: non è più un guerriero, ma uno studioso (e Baracco lo presenta saltellante in mezzo a libri sparsi), chiamato ad argomentare a favore della messa al bando di Gaveston dalla corte reale. Catturato dall'esercito del re, questi lo libera pensando che potrebbe servirgli come colto testimone del suo trionfo. Scelta che, invece, si dimostrerà un errore mortale poichè Mortimer si unisce alle macchinazioni della regina, sua amante, per deporlo. Baracco ha realizzato una messinscena di grande forza visiva e poetica, grazie alla fisicità degli attori e a elementi scenici - usati e collocati nel difficile, ma suggestivo, spazio del palladiano Teatro Olimpico -, che si caricano di significati simbolici (alla Nekrosius). Inventa la figura di un narratore (un clownesco e lucido Lucas Waldem Zanforlini) che illustra e raccorda il susseguirsi degli eventi dandogli una scansione temporale con un enorme orologio rotolato a vista. Il trono è una stilizzata sedia di ferro con due palloncino bianchi appesi che scoppieranno all’inizio degli eventi. L’infelice regina, sempre barcollante e in equilibrio precario come quasi tutti i personaggi, trascinerà continuamente una valigia, anima errante ed esclusa che paga la misoginia del consorte. Altre invenzioni costellano la dinamica messinscena. Come le corde al collo che trascinano ora il monarca ora Gaveston imprigionati, ma anche stese in parallelo, nella emblematica sequenza di una doppia uccisione. E a nulla servirà il processo, con un enorme foglio di carta strappato, per la messa al bando del favorito; né il tentativo reiterato di fare abdicare il re, con quel “No!” ripetuto più volte, e nel tira e molla della corona che non vuole togliersi dimostrandosi follemente risoluto nel confronto faccia a faccia con Mortimer. La morte giungerà avvolgendo a turno ciascuno con delle lenzuola di plastica che li soffocherà, mentre il giovane erede al trono distaccandosi dalla follia omicida, mostrerà le mani insanguinate: l’eredità lasciatagli. Energia e passione animano tutti gli attori, presenze forti nei ruoli chiave che fanno funzionare il gioco scenico di complotti e lotte intestine, di violenze, seduzioni e omicidi. E sono tutti da ricordare: a partire da Gabriele Portoghese, il re, ed Ersilia Lombardo, Andrea Trapani, Luigi Di Pietro, Mauro Conte, e il già citato Zanforlini. Al Teatro Olimpico di Vicenza.
Città Nuova - Quando Bertolt Brecht, giovanissimo, mise mano alla riscrittura dell’Edoardo II di Christopher Marlowe, non aveva ancora formulato le sue teorie sul “teatro epico” e sull'effetto di “straniamento”. Muoveva i suoi primi passi di artista, e il testo di Marlowe rappresentava per lui un’indagine, quasi antropologica, sul contesto umano, politico e sociale in cui avrebbe espresso le proprie idee. La sua scrittura, più asciutta e teatrale, riportava il testo alla contemporaneità dell’epoca descrivendo il caos morale dei suoi tempi, quel travagliato primo dopoguerra che avrebbe poi generato, in Europa, inimmaginabili mostri.
La tragedia del re d’Inghilterra, reo di amare il giovane Gaveston - una rovinosa passione che gli farà perdere regno, dignità e la stessa vita -, non è soltanto la violenta vicenda di un amore impossibile per il suo favorito, ma una feroce analisi sugli intrighi e sulla dissolutezza della politica e del potere. Sarà odiato, vilipeso, torturato, soprattutto per aver osato elevare un uomo qualunque al di sopra dei Pari d’Inghilterra, infischiandosene delle convenzioni.
Testo poco conosciuto e pochissimo rappresentato, Vita di Edoardo II d’Inghilterra è tornato alla ribalta grazie all’acuto giovane regista Andrea Baracco che, per il 66° ciclo di Spettacoli classici di Vicenza, lo ha preferito ad altre più conosciute rivisitazioni classiche brechtiane (vedi Coriolano o Antigone), operando con intelligenza dei tagli e una riduzione dei personaggi. Baracco vi intravvede «quello che si potrebbe definire un “governo dei sensi” che prende decisamente il sopravvento sul “governo della ragione”».
Brecht, pur sottolineando l'umiltà degli inizi di Gaveston quale figlio di un macellaio spinto quasi inconsapevolmente nel mondo spietato della potere, concentra la sua attenzione sul re e sui leader politici che si rivoltano contro di lui portandolo alla guerra civile. Nel mantenere gran parte della struttura di Marlowe, Brecht modifica alcuni dettagli importanti. Come, ad esempio, la figura di Mortimer, l’avversario: non è più un guerriero, ma uno studioso (e Baracco lo presenta saltellante in mezzo a libri sparsi), chiamato ad argomentare a favore della messa al bando di Gaveston dalla corte reale. Catturato dall'esercito del re, questi lo libera pensando che potrebbe servirgli come colto testimone del suo trionfo. Scelta che, invece, si dimostrerà un errore mortale poichè Mortimer si unisce alle macchinazioni della regina, sua amante, per deporlo. Baracco ha realizzato una messinscena di grande forza visiva e poetica, grazie alla fisicità degli attori e a elementi scenici - usati e collocati nel difficile, ma suggestivo, spazio del palladiano Teatro Olimpico -, che si caricano di significati simbolici (alla Nekrosius). Inventa la figura di un narratore (un clownesco e lucido Lucas Waldem Zanforlini) che illustra e raccorda il susseguirsi degli eventi dandogli una scansione temporale con un enorme orologio rotolato a vista. Il trono è una stilizzata sedia di ferro con due palloncino bianchi appesi che scoppieranno all’inizio degli eventi. L’infelice regina, sempre barcollante e in equilibrio precario come quasi tutti i personaggi, trascinerà continuamente una valigia, anima errante ed esclusa che paga la misoginia del consorte. Altre invenzioni costellano la dinamica messinscena. Come le corde al collo che trascinano ora il monarca ora Gaveston imprigionati, ma anche stese in parallelo, nella emblematica sequenza di una doppia uccisione. E a nulla servirà il processo, con un enorme foglio di carta strappato, per la messa al bando del favorito; né il tentativo reiterato di fare abdicare il re, con quel “No!” ripetuto più volte, e nel tira e molla della corona che non vuole togliersi dimostrandosi follemente risoluto nel confronto faccia a faccia con Mortimer. La morte giungerà avvolgendo a turno ciascuno con delle lenzuola di plastica che li soffocherà, mentre il giovane erede al trono distaccandosi dalla follia omicida, mostrerà le mani insanguinate: l’eredità lasciatagli. Energia e passione animano tutti gli attori, presenze forti nei ruoli chiave che fanno funzionare il gioco scenico di complotti e lotte intestine, di violenze, seduzioni e omicidi. E sono tutti da ricordare: a partire da Gabriele Portoghese, il re, ed Ersilia Lombardo, Andrea Trapani, Luigi Di Pietro, Mauro Conte, e il già citato Zanforlini. Al Teatro Olimpico di Vicenza.
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